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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Dedicazione della Cattedrale
Cattedrale di San Pietro, 20 ottobre 2011


1. I misteri che celebriamo nella dedicazione della Cattedrale sono tanto numerosi e così profondi, cari fratelli, che non ci è possibile gustarne che una minima parte, nella luce dello Spirito.

Iniziamo umilmente dal santo Vangelo, dove ci è rivelata la sostituzione del tempio di Gerusalemme colla persona del Verbo incarnato. Nel gesto di Gesù viene profeticamente anticipato quanto ci dice l’Apocalisse: "Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio" [21, 22].

Nella fede di Israele il tempio era il luogo della presenza di Dio, il luogo dove riposava la Sua Gloria. Non solo, ma il tempio era anche il luogo dove si raccoglieva il popolo di Dio, il centro di riferimento riunificativo della comunità.

"Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere … Egli parlava del tempio del suo corpo". Il corpo risorto del Verbo incarnato è il tempio poiché in esso è presente la Gloria di Dio. "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità" [Gv 1, 14]. E pertanto "i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità" [4, 22], non in un qualche luogo privilegiato. "In Verità", cioè nel Verbo fattosi carne, poiché è la sua umanità risorta il luogo dove possiamo "accostarci al monte di Sion e alla città del Dio vivente".

Nel tempio poi si ricostruiva l’unità del popolo di Dio. Nel corpo risorto del Signore, il vero tempio, si ricostruisce l’unità delle genti: il suo corpo che è la Chiesa. "Io, quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me" [Gv 12, 32].Ogni uomo è attratto dentro al mistero di Cristo, e se crede diventa partecipe della sua stessa vita. Tutta l’umanità nella Chiesa diventa il tempio di Dio. L’atto unico della morte e risurrezione di Cristo ci strappa dalle nostre solitudini, e "veniamo impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo" [1 Pt 2, 5].

Lasciamoci rapire, cari fratelli, dallo splendore delle "vie del Signore", che resosi presente in mezzo a noi ci unisce a Sé, per formare il vero tempio.

2. Alcuni giorno or sono la Chiesa nell’Ufficio delle letture ci ha fatto leggere e meditare la prima parte del profeta Zaccaria.

Al sommo sacerdote Giosuè viene detto dal Signore: "Se camminerai nelle mie vie e osserverai le mie leggi, tu avrai il governo della mia casa, sarai il custode dei miei atri e ti darò accesso fra questi che stanno qui" [3, 7].

Queste grandi promesse erano state precedute da un gesto impressionante. Giosuè vestito di abiti immondi viene spogliato e rivestito di abiti di festa.

Cari fratelli, si parla di noi. Nel santo Vangelo Gesù compie innanzi tutto una grande opera di purificazione della casa di Dio. E lo fa con una potenza inaudita: "scacciò tutti fuori dal tempio".

Leggendo assieme le due pagine bibliche siamo condotti ad una comprensione più profonda del nostro ministero sacerdotale. Siamo i custodi degli atri del Signore e ci è dato accesso alla Gerusalemme celeste. Ma questa custodia presuppone che ci svestiamo delle nostre impurità, e ci vestiamo del Signore nostro Gesù Cristo. Nulla di impuro entri negli atri del Signore.

I nostri pensieri siano sempre limpidi; i nostri affetti orientati solamente a Gesù; "nessuna parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione" [Ef 4, 29].

Custodi come siamo della santità del tempio, le liturgie che celebriamo siano così rivelatrici del mistero da suscitare in tutti la nostalgia della stessa liturgia celeste.

Cari fratelli, consentitemi al riguardo di leggere un testo dello Pseudo-Dionigi, detto del vescovo ma vero anche per ogni presbitero che celebra. "Il sacro vescovo, stando davanti al divino altare, celebra le … sante operazioni di Gesù, nostra divinissima provvidenza … Così egli celebra e guarda con occhi intellettuali il venerabile ed intelligibile spettacolo dei misteri" [La Gerarchia Ecclesiastica III, 13; CD II, 441 C]. Così sia.