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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Celebrazione del 150° Anniversario dell’Unità di Italia
Basilica di S. Petronio, 17 marzo 2011


La nostra presenza orante in questo tempio, "che tanta nei secoli accolse anima umana", nasce da quel naturale amore di patria che dimora in ogni animo nobile. Il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia ci ha portato davanti al Signore dei popoli e delle nazioni, per invocare sulla nostra nazione il benessere spirituale e materiale, la pace sociale, il vero progresso nel bene.

1. La prima lettura ci riporta colla memoria ad uno dei momenti più drammatici della storia di Israele, quando la sua stessa esistenza era messa in pericolo. È per questo che "Ester, presa da angoscia mortale per il pericolo che incombeva su di lei e il suo popolo, cercò rifugio presso il Signore". L’evento di cui la Sacra Scrittura ha conservato la memoria, ci introduce profondamente in questa celebrazione, perché esso pone una domanda: quando una comunità nazionale, e lo Stato che la rappresenta, è in pericolo? Non intendo in pericolo di recessione economica; di dissoluzione dell’ordine sociale; di gravi disordini istituzionali; o di altre dimensioni della vita di una comunità. Ma in pericolo quanto al suo essere stesso. Lasciamo per il momento inevasa la domanda.

La regina Ester trova la sorgente del suo coraggio nella memoria degli avvenimenti che hanno fondato il suo popolo, memoria custodita attraverso la narrazione dei medesimi fatta di generazione in generazione.

"Fin dalla mia infanzia, mio padre mi raccontava che …": ecco la narrazione fatta dalla generazione dei padri alla generazione dei figli. "Tu, o Signore, scegliesti Israele fra tutte le nazioni e i nostri padri fra i loro antenati …": ecco il ricordo degli eventi fondatori.

Se vogliamo che la nostra nazione e lo Stato che la rappresenta non sia a rischio, è necessario che custodisca la memoria dei suoi eventi fondatori, attraverso la narrazione dei medesimi di generazione in generazione.

Questa narrazione avviene in primo luogo nella famiglia, prima custode dell’identità di un popolo. La storia recente e passata della nostra nazione dimostra come essa sia stata soprattutto salvaguardata nei momenti più difficili dalla consistenza della famiglia.

Troviamo pertanto la risposta, nella sostanza, alla domanda che sopra avevo lasciato inevasa. La perdita della memoria di ciò che ha originato la nostra Nazione, la conseguente dilapidazione dell’eredità che quel "principio" ci ha trasmesso e continua a trasmetterci, costituisce il rischio più serio per uno Stato e per una nazione. Un grande diagnostico delle malattie della vita degli Stati ha scritto: "a volere che una repubblica viva lungamente è necessario ritirarla spesso verso il suo principio" [N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca, libro III, I; in I classici del pensiero italiano, vol. 1, Biblioteca Treccani 2006, 309].

In una lettera inviata ai Vescovi italiani in data 6 gennaio 1994, il Servo di Dio Giovanni Paolo II aveva descritto il contenuto della memoria nazionale dell’Italia. Esso è costituito da una triplice eredità: l’eredità della fede; l’eredità della cultura; l’eredità dell’unità.

La nostra Nazione è ciò che è perché il Vangelo è stato attivo fin nelle più intime profondità del suo essere. Nei confronti di questa eredità vedo una duplice responsabilità. La prima è propriamente della Chiesa: custodire questo principio di vita. Il più grande servizio che la Chiesa può fare alla comunità civile è annunciare il Vangelo per generare comunità di credenti. Ma esiste anche al riguardo una responsabilità di ogni italiano credente o non nei confronti di questa eredità. Sarebbe assai pericoloso per il destino della nostra nazione se un male inteso concetto di laicità escludesse i cristiani dal dibattito e dalla deliberazione pubblica, a causa della loro fede; se leggi, decreti amministrativi, giurisprudenza oscurassero la presenza pubblica dei segni della fede, e soprattutto dei valori che il cristianesimo ha depositato nella nostra coscienza pubblica.

Si tratta, poi, dell’eredità della cultura, di quel modo di essere nel mondo e nella vita che ci caratterizza come popolo italiano. È un’eredità che si è espressa nella letteratura, nell’arte, nella filosofia, nelle istituzioni ed ordinamento giuridico, in quel senso di umana fraternità che ci rende come istintivamente estranei ad ogni forma di razzismo e di intolleranza.

Si tratta infine dell’eredità dell’unità, sulla quale in modo particolare siamo chiamati oggi a riflettere. Se dal punto di vista statuale essa è nata 150 anni orsono, l’unità era già profondamente radicata nella coscienza degli italiani che, in forza della comune fede, delle vicende storiche, della lingua e della cultura si sono sempre sentiti parte integrante di un unico popolo.

2. La regina Ester, fatta memoria degli eventi fondatori, e vivendo la situazione attuale del popolo, prega: "infondi a me coraggio, Signore che sei al di sopra di tutti gli dei e domini ogni autorità".

Cari amici, abbiamo bisogno che il Signore ci infonda coraggio. Coraggio di assumere quella triplice eredità che costituisce il contenuto della nostra memoria nazionale; di assumere la responsabilità dell’identità del nostro popolo: per custodirla, per non permettere che venga deturpata o distrutta.

Non è questo il momento, quello di una solenne liturgia, per dire più concretamente il contenuto della responsabilità che dobbiamo assumere nei confronti della triplice eredità, e dei pericoli che ciascuna di esse sta correndo.

La mia missione pastorale si colloca prima di tutto su un altro piano. Il bilancio che oggi tutti siamo chiamati a compiere non deve essere solo di carattere politico, ma anche e soprattutto di carattere culturale ed etico.

Quali sono i valori sui quali deve esistere quel consenso che precede ogni legittima diversificazione partitica? il richiamo alla Carta costituzionale non basta a custodire l’unità: è necessario risvegliare forze unificanti precedenti. Quali? esse esistono nel nostro popolo e nascono da quell’eredità culturale di cui parlavo. È questa che va custodita e risvegliata in ogni coscienza; non sostituita. Ed è un’eredità, quella culturale, generata dal cristianesimo.

È in questa viva tradizione che ciascuno trova i presupposti viventi dell’unità della Nazione, e quindi il vero senso dello Stato. "Non ha senso parlare di libertà e di democrazia, se non si chiarisce dove stanno i presupposti di una democrazia possibile, di una libertà possibile" [R. Guardini, Scritti politici, in Opera Omnia VI, Morcelliana, Brescia 2005, 470], di una legalità possibile.

E siamo così giunti al punto fondamentale: è nel cuore di ogni italiano che nasce e si conserva la nostra nazione e la sua unità. È in ognuno di noi che è presente tutto quel patrimonio formatosi di generazione in generazione, attraverso dolori, lotte e sofferenze, ed il martirio di tanti la cui memoria è in benedizione.

Noi non possiamo viverne al di fuori e sradicarci da esso: sarebbe il suicidio della nazione.

Il Dio che è al di sopra di tutti gli dei e domina ogni autorità, infonda in ciascuno di noi il coraggio di continuare ad essere ciò che la divina Provvidenza ci ha donato di essere.