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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Sesta Domenica per Annum [B]
Cattedrale, 15 febbraio 2015


Cari fedeli, domenica scorsa la lettura evangelica terminava mostrandoci Gesù che è totalmente dedito alla predicazione del Regno di Dio. Il miracolo di guarigione narrato nel Vangelo di oggi rivela che nella persona e nella potenza di Gesù, il Regno di Dio comincia ad irrompere nel mondo.

1. La condizione del lebbroso secondo la legislazione ebraica era disumana. Poiché si riteneva che la lebbra fosse infettiva, il lebbroso doveva vivere nella solitudine: «se ne starà solo, abiterà fuori dall’accampamento». Anzi, se qualcuno passasse, il lebbroso deve avvertire della sua presenza gridando «immondo! immondo!»

Riprendiamo in mano ora la pagina evangelica. La prima costatazione è che questa legislazione che mirava all’esclusione del lebbroso dal consorzio umano, viene completamente violata. Da parte del lebbroso: «venne a Gesù», il quale probabilmente aveva attorno a sé altre persone.

Ma soprattutto quella legislazione è ignorata da Gesù. Egli infatti «stese la mano, lo toccò». Era il gesto più anti-legale: toccare un lebbroso. Che cosa muove Gesù a compiere un gesto così “rivoluzionario”? Perché – come dice il testo evangelico – fu «mosso a compassione». E’ la compassione umano-divina del cuore di Cristo verso l’escluso, verso l’ultimo, verso chi è privato di ogni riconoscimento da parte degli altri. 

Ed infatti il segno, la conferma della guarigione è l’ammissione piena al consorzio umano: «Va’, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro». Fermiamoci un momento su queste ultime parole: «a testimonianza per loro».

Il lebbroso guarito dal contatto con Gesù è il segno che in Israele e nel mondo, mediante l’agire di Gesù, è venuto il Regno di Dio, che prende sotto la sua protezione gli ammalati, i poveri, i peccatori.


2. Carissimi fedeli, carissimi diaconandi, il S. Padre Francesco parla spesso di una «cultura dell’esclusione». Che cosa significa? Che l’organizzazione della società umana comporta inevitabilmente, nel suo progresso, che alcune persone sono escluse dal benessere comune. Sono comunque residui di umanità. E’ il prezzo che si deve pagare.

Questa «cultura dell’esclusione» si manifesta soprattutto verso chi è più debole: il bambino e l’anziano.  

La pagine evangelica che stiamo meditando è in radicale opposizione alla «cultura dell’esclusione». Il lebbroso, esemplificazione suprema dell’esclusione al tempo di Gesù, viene da Lui toccato; viene da Lui guarito; viene da Lui riammesso nel consorzio umano. La pagina evangelica è la proposta di una «cultura dell’inclusione». 

Carissimi diaconandi, voi conoscete bene la data e la modalità della nascita nella Chiesa del diaconato. Fu per evitare e risolvere un problema di esclusione. Le vedove dei greci convertiti erano meno servite delle vedove dei giudei convertiti. Dunque nel vostro DNA è inscritta la «cultura dell’inclusione»; dovete essere immunizzati dalla «globalizzazione dell’indifferenza».

Il vostro servizio alla carità abbia soprattutto tre destinatari, secondo le vostre possibilità e responsabilità: i bambini nascituri o abbandonati, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana per farne poi quello che si vuole; i giovani, i quali oggi vivono – privi spesso come sono di lavoro – l’esperienza di essere una generazione della quale si può fare senza; gli anziani malati terminali, per i quali si vanno preparando leggi che legalizzano la loro eliminazione, sotto la maschera dell’eutanasia. 

Siate veramente i testimoni del Vangelo della carità.