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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


S. Messa in suffragio a vent’anni dall’uccisione di tre giovani carabinieri da parte della cosiddetta "Banda della Uno Bianca"
Chiesa di S. Caterina da Bologna al Pilastro, 4 gennaio 2011


1. La pagina di S. Giovanni desunta dalla prima lettura appena ascoltata, ci ha insegnato che sulla scena del mondo si scontrano due forze incarnate in due figure: "chi pratica la giustizia" e "chi commette l’iniquità".

Ma più profondamente, ci insegna l’apostolo, ciascuna delle due figure fa riferimento a due persone: "chi pratica la giustizia è giusto come egli, Gesù, è giusto"; "chi commette l’iniquità viene dal diavolo". Ecco, ora sono descritte – potremmo dire – le forze in campo: Gesù il Signore, sempre presente nella storia umana mediante la testimonianza dei suoi discepoli che praticano la giustizia; il diavolo, sempre presente nella storia umana mediante chi commette l’iniquità.

L’opposizione tra il male ed il bene, l’iniquità e la giustizia, tra Satana e Dio è il tessuto vero della trama storica; a volte è più nascosto, a volte riappare in tutta la sua violenza.

Gentili autorità, cari amici, poco distante da questo luogo santo è accaduto un fatto emblematico di quanto l’apostolo ci ha insegnato. È avvenuto lo scontro fra chi ha praticato la giustizia e chi ha commesso la più efferata delle iniquità, l’omicidio di innocenti. È avvenuto lo scontro fra chi consente, difendendo la legge, di praticare la giustizia, e chi introduce nel tessuto civile il seme dell’odio.

Perché vogliamo ricordare, perché abbiamo il dovere di ricordare quanto è avvenuto già vent’anni or sono su questa strada?

Innanzitutto c’è un’inestinguibile debito di riconoscenza verso questi tre ragazzi, e in loro verso l’Arma dei Carabinieri e tutte le forze dell’ordine. Essi hanno dato la loro vita per una convivenza radicata nel consenso dei supremi valori dello spirito: la giustizia, la libertà, la pace sociale. In una società dalla quale il debito della gratitudine è sempre meno onorato, a causa di una sproporzionata esaltazione dei diritti soggettivi, l’atto che l’Arma ogni anno compie a ricordo dei tre giovani caduti, richiama tutti a non dimenticare uomini ai quali dobbiamo la sicurezza, la libertà e la serenità nella convivenza.

"A egregie cose il forte animo accendono/ l’urne dei forti", dice il poeta [Foscolo, I sepolcri 151-152]. Il ricordo dei tre giovani uccisi deve aiutare tutti, in primo luogo i loro odierni coetanei, a percepire la bellezza e la grandezza di chi consacra la vita per il bene comune. Una vita non donata ad una grande causa è vissuta invano. Gesù ha detto che se il grano di frumento caduto in terra non muore, resta solo.

Ed infine ma non da meno, la memoria di questi tre giovani invita tutti alla vigilanza. La libertà dell’uomo, di ogni uomo, è sempre in bilico fra il bene ed il male, la giustizia e l’ingiustizia, la verità e l’errore. È questa strutturale ambiguità la più profonda insidia al bene comune, ad una società giusta e pacifica. Sembra un’ovvietà, ma siamo portati a dimenticarlo: chi fa giusta una società sono gli uomini giusti prima ancora che leggi giuste. Gravi turbamenti della giustizia sono sempre possibili, fino a quando non ci saremo convertiti. "Chiunque è nato da Dio non commette peccato" ci ha detto l’apostolo "perché un germe divino dimora in lui, e non può peccare perché è nato da Dio".

2. Gentili autorità, cari amici, la parola di Dio appena ascoltata ci apre una prospettiva di serena speranza: "il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo". Queste parole sono la risposta ad un profondo bisogno che è dentro di noi.

Certamente, esiste e deve esistere una giustizia penale umana; chi ha ucciso deve accettare la punizione, senza sconti, come vera e propria espiazione non solo davanti agli uomini ma anche davanti a Dio. L’estenuazione della giustizia penale non è solo un fatto socialmente pericoloso e giuridicamente insipiente: è una ferita all’ordine morale fondato sulla verità e la volontà di Dio.

Ma nonostante tutto questo, ci resta nel cuore un’amarezza di fondo: alla fine, tuttavia, chi commette l’iniquità ha compiuto un atto che non ha ritorno; quei tre giovani, Otello, Mauro ed Andrea, sono stati privati per sempre della loro vita. E viene da pensare: l’ingiustizia ha detto l’ultima parola.

Non è così! "il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo". "Distruggere", dice la parola di Dio. Il bisogno dell’uomo di credere ad una giustizia eterna e più forte, capace di rendere la vita che i tre giovani hanno dato compiendo il loro dovere, trova in Cristo la risposta definitiva. L’ultima parola è la sua, ed è parola che ridona la vita eterna ai giusti.

Cristo "è apparso per distruggere le opere del male": esiste la giustizia definitiva, la riparazione che ristabilisce per sempre il diritto, la revoca della sofferenza passata. Che anche questa celebrazione sia, alla fine, occasione per rafforzare la nostra speranza, poiché "il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo".