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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Domenica XXII per Annum (B)
Bologna, Villa S. Giacomo, 2 settembre 2012


1. Nel Vangelo Gesù parlando della condotta umana, distingue come due luoghi o spazi in cui essa si svolge: "fuori dall’uomo" - "dentro all’uomo". Sono luoghi o spazi che denotano anche, nell’insegnamento di Gesù, l’origine della condotta umana: "dal di fuori" - "dal di dentro".

In ordine a che cosa Gesù richiama la nostra attenzione sulla distinzione tra questi due "spazi umani"? In ordine a determinare la condizione morale dell’uomo, la quale – secondo tutta la tradizione biblica – è di importanza decisiva per determinare la condizione dell’uomo di fronte a Dio. L’idea di una "morale autonoma" è del tutto assente dalla Sacra Scrittura.

In sostanza, l’insegnamento di Gesù è chiaro: "non c’è nulla di fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo". Che cosa intenda Gesù per "cose che escono dall’uomo", lo spiega nel modo seguente: "dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive". Ne fa poi una terribile esemplificazione.

Carissimi diaconi permanenti, questo insegnamento di Gesù è molto profondo. Cerchiamo, coll’aiuto della sua grazia, di coglierne alcuni aspetti.

Il primo è costituito da una grande verità riguardante l’uomo: la persona umana non diventa buona o cattiva senza decidere di diventarlo. Il bene ed il male si realizzano, diventano reali, mediante la scelta libera dell’uomo: Gesù dice "dal di dentro… cioè dal cuore degli uomini". La persona umana diventa "qualcuno" con una propria identità e qualità morale – santo o perverso! – mediante le sue proprie azioni, cioè le azioni che sono causate dalla propria libertà ["dal di dentro" - "dal cuore"]. La libertà della persona è la radice, è la sorgente del divenire buono o cattivo dell’uomo. Essa non determina solo l’azione di cui la persona è autore, ma il divenire buono o cattivo dell’uomo in quanto uomo. Gesù parla della "contaminazione dell’uomo".

Si comprende allora l’urgenza con cui l’apostolo Giacomo nella seconda lettura ci raccomanda: "accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime". Come anche raccomanda la parola di Mosè: "or dunque, Israele, ascolta". È l’interiorità della persona che deve essere "seminata" dalla parola di Dio, illuminata dalla luce della divina sapienza. Esiste una grande tradizione spirituale, che inizia coi Padri del deserto, riguardante la purezza del cuore, la sua custodia, la vigilanza circa i pensieri che possono introdurvisi. È una tradizione radicata nelle, e fondata sulle parole di Gesù che stiamo meditando.

A questo punto non possiamo non fare una breve considerazione. Viviamo oggi in una cultura che, consapevolmente o inconsapevolmente, contesta alla radice le parole di Gesù, rendendole insignificanti o persino impensabili. È quella cultura che contesta l’esistenza di un "di dentro" dell’uomo; di un "io" capace nella sua autonoma trascendenza di causare liberamente il proprio agire. Il "di dentro" dell’uomo è ridotto ad un prodotto del funzionamento del nostro cervello; il nostro "io" ad un risultato dei processi cerebrali. È un’associazione casuale di fatti biologici, di proteine, di acidi. Oppure, si pensa che la responsabilità sia sempre dei meccanismi sociali. Siamo in una vera e propria emergenza dell’"io".

2. A parte questa condizione culturale, esiste una difficoltà reale per noi tutti a rimanere nell’interiorità, a non disperderci nella esteriorità: l’esteriorità della preghiera; l’esteriorità dell’esercizio della carità; in una parola: una vita vissuta all’esteriore. Gesù, facendo proprie le parole di Isaia, direbbe: onorare Dio con le labbra, ma non col cuore.

Come uscire da questa condizione? Come entrare in se stessi? Uno dei grandi maestri che ci ha insegnato a trovare la chiave di questo ingresso è santa Teresa d’Avila. Direi che ella ci insegna veramente a vivere il Vangelo di oggi.

Come sicuramente vi è noto, Teresa paragona l’io della persona ad un castello con molte dimore. La dimora più interna è abitata solo da Dio, sempre, e dall’io della persona che non abbia scelto di starsene fuori da se stesso. "Essere in se stessi", "vivere col Signore" significa in concreto decidersi a oltrepassare la porta del castello, cioè cominciare a pregare, col cuore non solo con le labbra. È stata la grande scoperta di Teresa: essere se stessi, cercare Dio, e pregare col cuore, coincidono.

Cari diaconi permanenti, non possiamo prolungarci ulteriormente. La pagina evangelica è un forte richiamo ad essere nella verità: veramente liberi e liberamente veri, per "onorare Dio non con le labbra, ma col cuore".

Mi piace terminare con un testo di san Gregorio Magno. "Che altro sono gli uomini santificati se non dei fiumi che irrigano […] la terra riarsa? E tuttavia essi […] si inaridirebbero qualora […] interrompessero il flusso dal luogo da cui sono sgorgati. Se infatti non si raccolgono nell’interiorità del cuore [ad cor non redeant] e non incatenano il loro desiderio per il Creatore […] si inaridiscono […]. Ciò che dispensano all’esterno […] lo attingono alla fonte dell’amore" [Omelie su Ezechiele I, 5, 16].