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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


OMELIA NATALE 1996 COMACCHIO
Messa dell’alba

“Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Facciamo nostro questo invito che i pastori si rivolsero vicendevolmente ed andiamo anche noi a Betlemme. Per vedere l’avvenimento che il Signore ci fa conoscere attraverso la sua Parola e rivivere nella divina Liturgia. E che cosa videro? “andarono dunque ... mangiatoia”. Tutto qui? Tutto qui: un bambino appena nato, così povero da essere collocato in una mangiatoia. Ma che cosa ha in sé di “straordinario” questa scena di miseria, di povertà, di umiliazione indegna? Lo Spirito Santo ce lo rivela attraverso le parole dell’apostolo: “si sono manifestati la bontà...”. Chi sia quel bambino comincia a svelarsi: è la manifestazione della bontà di Dio e del Suo amore per gli uomini. Per cui quando tu vai a Betlemme e ti poni davanti al presepio e guardi quel bambino, devi dire: “ecco la bontà di Dio; ecco il suo amore per gli uomini”. Ma in che cosa consiste questa bontà e questo amore? Ascoltate: “egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia”. Ecco, fratelli e sorelle, il nucleo essenziale del mistero che i pastori, e dopo loro ogni fedele, hanno contemplato e per cui “se ne tornarono, glorificando e lodando Dio”: hanno contemplato la gratuità dell’amore di Dio! Dio non ci ama perché meritiamo di essere amati: il suo amore è pura grazia. “Egli ci ha salvati non in virtù ...” in nessun luogo come in ciò che videro i pastori, noi possiamo vedere l’assoluta gratuità dell’amore di Dio.
 L’eterno Figlio di Dio, infatti, si è fatto uomo perché ciascuno di noi fosse partecipe della vita divina. Chi poteva meritare che il Figlio di Dio assumesse la nostra condizione umana? Chi poteva pretendere di entrare nel possesso della stessa vita divina? Qui è solo amore: solo grazia e sola misericordia. Ed allora contempliamo oggi tutti i benefici che ci vengono da questo amore.
 “ A te, una volta prostrato ed escluso dal Paradiso; a te, destinato a morire ininterrottamente durante un lungo esilio e disperso alla stregua di polvere e cenere; a te, senza speranza di vivere, è stata data con l’incarnazione del Verbo, la facoltà di tornare, dal lontano luogo ove eri, al tuo Creatore; di riconoscere il tuo Padre; di passare dalla servitù alla libertà; di essere innalzato dalla condizione di forestiero alla dignità di figlio” (S. Leone Magno, secondo discorso del Natale del Signore 5)
 L’amore di Dio, apparso oggi, svela così anche all’uomo la sua dignità: egli appartiene al Signore in modo completamente diverso da come gli appartiene ogni altra creatura.

“I Pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio...”. Come dobbiamo noi tornare da ciò che abbiamo visto? Come i pastori: glorificando e lodando Dio. Come glorifichiamo Dio? colla nostra vita. E’ ciò che abbiamo chiesto: “fa che risplenda nelle nostre opere il mistero della fede che rifulge nel nostro spirito” . E concluderemo la celebrazione di questa divina Liturgia colla seguente preghiera: “concedi alla tua Chiesa di conoscere con la fede le profondità del tuo mistero, e di viverlo con amore intenso e generoso”.