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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


FESTA DEL B. GIOVANNI TAVELLI
S. Girolamo 24 luglio 2001

1. "Figlio dell’uomo: ti ho posto per sentinella alla casa di Israele". Carissimi, la festa annuale del b. Giovanni è occasione propizia perché ancora una volta meditiamo sul ministero pastorale che ci è stato affidato. Sia dall’insegnamento del beato sia dall’esempio della sua vita siamo guidati ad un’intelligenza sempre più profonda della Parola di Dio circa il nostro servizio al popolo di Dio.

Il profeta ci dice che ciascuno di noi è "posto per sentinella alla casa di Israele". "Colui al quale è affidata la cura degli altri è chiamata sentinella". commenta S. Gregorio M. "affinché stia in atto spiritualmente … per poter vedere da lontano tutto ciò che sta per venire" [Omelie su Ezechiele/1, CN ed., Roma 1979, pag. 241-242]. L’altezza spirituale a cui siamo chiamati consiste nel porci sempre dentro la luce della sapienza divina, comunicataci attraverso la sua parola: "quando sentirai dalla mia bocca una parola tu dovrai avvertirli da parte mia". Nel nostro intimo noi dobbiamo essere continuamente guidati da ciò che la Parola di Dio ci dice; nella nostra vita esterna dobbiamo essere continuamente pressati dalle necessità pastorali. Dentro, il pastore medita i misteri di Dio; fuori, porta il peso del ministero.

Nella lettera che il b. Giovanni scrisse al marchese Nicolo III d’Este, dice: "Tu sai che andando per via, stando a mensa, et qualunque operatione me fatia, me sforzo empirme de te et sempre haverte ne la mia memoria. Né in quella permetto stare cogitatione né rappresentatione la quale io intenda habbi offendere li occhi de la tua divina Maestà": ecco la sentinella che sta sempre in alto e vigilante. "Alta per non soccombere all’amore delle cose terrene, vigilante da ogni lato per non essere colpita dai dardi del nemico occulto" [S. Gregorio M., ibid. Pag. 244]. E nello stesso tempo, il b. Giovanni può scrivere nella stessa lettera: "mi sono sforzato, quanto è possibile alla mia pochezza, admonire et reprendee et correggere questo chiricato et questo populo et ognuno trarre alla via della salute".

La responsabilità del pastore verso il suo popolo come risulta dalle parole del profeta e del b. Giovanni si configura in modo preciso: il pastore deve indicare la via della vita e quindi richiamare colo che stanno percorrendo la vita della morte. Come non ricordare quanto Paolo disse agli anziani di Efeso?: "dichiaro solennemente oggi davanti a voi che io sono senza colpa riguardo a coloro che si perdessero, perché non mi sono sottratto al compimento di annunciarvi tutta la volontà di Dio" [At 20,26-27]. E che cosa ha fatto il b. Giovanni, che cosa è chiesto a noi di fare per essere senza colpa riguardo a coloro che si perdessero? "sapete" dice ancora l’apostolo "come non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case, scongiurando Giudei e Greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù" [ib. 20-21].

2. "Io sto in mezzo a voi come colui che serve". Questa definizione che Cristo dà di se stesso è sconcertante: Egli è colui che cerve, ed il suo servizio è consistito nel dono della sua vita: un dono sacramentalmente sempre presente nella Chiesa e nel mondo. Il Verbo incarnato non ha posto colla sua libertà umana nessun impedimento alla perfetta coincidenza fra la sua Persona divina, la sua missione umana e il dono di se stesso. Egli è Colui che serve; colui che dona se stesso: niente altro.

Leggendo attentamente la vita del b. Giovanni, possiamo renderci conto di come questa pagina evangelica ispirasse e governasse tutta la sua esistenza: la rinuncia più dolorosa alla sua decisione di vivere una vita ritirata per assumente obbedendo il ministero episcopale; il faticoso visitare la diocesi per esortare, ammonire, correggere; la sua totale dedizione ad ogni bisogno del suo popolo.

Carissimi fratelli sacerdoti, anche di ciascuno di noi è vero quanto il Concilio Vaticano II dice di ogni persona umana: "l’uomo … non può ritrovarsi pienamente se non attraverso il dono sincero di sé" [cfr. Cost. past. Gaudium et Spes 24,4]. O la nostra esistenza è un’esistenza donata o è un’esistenza perduta. Tutto il nostro ministero pastorale non ha altra ragione d’essere e quindi non ha altra logica: "io sto in mezzo a voi come colui che serve". Creandoci a sua immagine e somiglianza, Dio ha inscritto nella nostra persona la vocazione, e quindi la responsabilità e la capacità dell’amore e dono di sé. L’amore è la nativa e fondamentale vocazione dell’uomo. L’uomo sperpera il patrimonio della sua umanità quando cerca una realizzazione di sé fuori dal dono di sé.

Voglio concludere con quanto scriveva il b. Giovanni nel De perfectione religiosa [cap. XVI]: "in questa carità ci sia concesso di stare per essere una cosa sola con Lui, ed Egli abiti in noi, nostro Dio che ha creato tutte le cose".