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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


SOLENNITÀ DI SAN GIORGIO
23 aprile 1999 - Cattedrale di Ferrara


La solennità del martire S. Giorgio, al quale i nostri padri hanno voluto affidare la protezione della nostra città e nel cui onore han voluto erigere questo tempio mirabile, ci obbliga a riflettere profondamente sulla nostra identità personale di discepoli di Cristo e sull’identità della nostra comunità cittadina. E’ proprio del martirio, nell’universo multiforme e splendido della santità cristiana, esprimere in forma inequivocabile la verità dell’esistenza cristiana, la sua – per così dire – immutabile definizione.

1. "Chi … mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli". La posizione che l’uomo durante la sua vita terrena assume di fronte a Cristo, decide del suo destino eterno. Cristo ha valore determinante per ogni persona, poiché è il crocevia obbligato delle sorti eterne dell’uomo. Quella nei confronti di Cristo è la decisione suprema per ognuno di noi. Essa, come ogni scelta-decisione umana, può realizzarsi in due modalità che fra loro sono opposte: "mi riconoscerà", "mi rinnegherà". Riconoscere Cristo significa dichiararsi pubblicamente a suo favore, affermando giusta la sua richiesta ad essere riconosciuto come unico salvatore dell’uomo; rinnegare significa sconfessare Gesù non riconoscendo più la fondatezza della sua esigenza ad essere l’unico Signore. Questo riconoscimento deve essere compiuto "davanti agli uomini", cioè pubblicamente. "Quanto vi dico nella tenebra, ditelo nella luce" aveva detto poc’anzi Gesù "ciò che sentite sussurrato all’orecchio, proclamatelo sopra le terrazze".

Nel martire cristiano rifulge senza equivoci questo pubblico riconoscimento di Cristo. Ma la caratteristica singolare del martirio è che essa è accaduto in un contesto di lotta, di contrasto contro poteri che vogliono mettere a tacere la testimonianza cristiana. Nel caso poi del nostro martire, l’immaginazione cristiana ha espresso in un modo straordinariamente limpido questa dimensione del martirio, raffigurando S. Giorgio in lotta contro il drago. Il drago infatti è il simbolo, nell’arte cristiana, dei poteri che si oppongono più tenacemente alla fede cristiana.

"Non abbiate paura", ripete Gesù due volte nella pagina evangelica. Il pubblico riconoscimento di Cristo viene distrutto nella coscienza dei cristiani non dai poteri di questo mondo, ma dalla loro paura. La paura nel martire è stata sconfitta, e lo deve essere in ciascuno di noi, dalla certezza delle due verità insegnateci nel Vangelo di oggi.

"Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima". E’ la certezza che la persona umana non è "a disposizione" di nessuno, non è "in potere" di nessuno, se non è essa stessa a vendersi al padrone di turno. Ciò che costituisce la vera identità della persona, e cioè la sua relazione ed appartenenza al Signore, non gli può essere strappata da nessuno. I potenti di questo mondo possono togliere la vita in questo mondo, non la vita eterna: ed è questa che conta.

"Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono contati". E’ la certezza che Dio si prende cura di ogni discepolo del suo Figlio: anche nei minimi particolari. E ciò a causa del fatto che ciascuno di noi è prezioso ai suoi occhi, è di valore incomparabile.

La fortezza del Martire è quindi la fortezza che nasce dalla consapevolezza che il Cristo è l’unico Signore al quale è stato dato "il nome che è al di sopra di ogni nome, perché ogni ginocchio si pieghi in cielo, sulla terra e sotto terra, ed ogni lingua proclami: "Cristo è il Signore"".

2. Vi dicevo all’inizio che è proprio del martirio esprimere in forma inequivocabile la verità dell’esistenza cristiana. Se infatti il "martirio del sangue" è riservato ad alcuni discepoli del Signore, il "martirio della volontà" è vocazione di ogni cristiano: è la pura e semplice definizione della vita cristiana. Il Concilio Vaticano II insegna: "Se a pochi è concesso [il martirio del sangue], devono però tutti essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini, e a seguirlo sulla via della Croce durante le persecuzioni, che non mancano mai nella Chiesa" (Cost. dogm. Lumen Gentium 42). A creare i martiri non sono malintesi umani che un dialogo migliore potrebbe togliere, ma una necessità intrinseca al messaggio evangelico: la sua contrapposizione ai príncipi di questo mondo. Ed ogni cristiano è posto in questa contrapposizione.

Da che cosa oggi è insidiata questa vocazione del cristiano al martirio? da una progressiva evanescenza della persona del Verbo incarnato come vivente in mezzo a noi. La persona del Signore risorto è resa evanescente dal pensare che l’essenza della fede cristiana consista nell’affermazione di alcuni valori morali condivisibili da tutti. Alla singolare unicità di Cristo si va sostituendo un generico comune codice morale che spesso maschera una ricerca del proprio utile. Il "caso serio" del Crocefisso-risorto si svuota in un superficiale chiacchierare umanistico e pacifista.

Il martire ci pone nella serietà della nostra sequela di Cristo e ci dice:

"Dimori sempre in te il comandamento di Dio e ti offra senza interruzioni luce e splendore per il discernimento degli eventi; poiché se esso da molto tempo occupa la direzione della tua anima e predispone per te opinioni veritiere su ciascuna cosa, non permetterà che tu sia mutato in peggio da alcuna delle cose che accadono, ma farà sì che con la mente così predisposta tu possa reggere, come scoglio lungo il mare, sicuro e immoto alla violenza dei venti e all’assalto dei flutti."
(S. Basilio di Cesarea)