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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


TERZA DOMENICA DI AVVENTO (A)
Ro e Bondeno
16 dicembre 2001

1. "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?". La domanda che Giovanni Battista fa rivolgere a Cristo dai suoi discepoli, è la domanda fondamentale che l’uomo rivolge al Cristo. È Lui che l’uomo, ogni uomo, ciascuno di noi, attende oppure è un altro l’atteso?

Questa domanda però può nascere solo nel cuore di chi attende: se uno non nutre nessuna attesa; se ritiene di avere già tutto ciò di cui ha bisogno; se pensa di non dover più desiderare nulla, non domanda certo a Cristo nulla. Carissimi fratelli e sorelle, la vera malattia spirituale di tanti di noi oggi è di aver tagliato la misura delle nostre speranze dentro l’orizzonte puro e semplice di una vita temporale, di un’esistenza ridotta ad essere produttrice e consumatrice di beni transeunti. Che cosa attende un uomo così fatto? Nulla, se non l’annoiata sazietà dei beni materiali.

La domanda di Giovanni in primo luogo dunque ci scuote perché ci riporta alla verità più profonda della nostra persona ed alle sue esigenze più autentiche: che cosa l’uomo ha il diritto di sperare? e Cristo è il compimento di questa speranza?

Consideriamo attentamente la risposta di Cristo, la risposta cioè che da alla domanda se è Lui che l’uomo attende. Notate in primo luogo che la verifica è fatta attraverso, potremmo dire, un’esperienza sensibile: "andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete". La risposta di Cristo, la risposta chi è Cristo, è un fatto constatabile, un fatto che accade dentro alla normale trama dei rapporti umani che sono intessuti attraverso i nostri sensi.

Il fatto che Gesù chiede di verificare per conoscere la sua identità è costituito e da opere compiute a favore dell’uomo ["i ciechi ricuperano la vista…"] e da un annuncio ["ai poveri è predicata la buona novella"]. Dunque non basta fermarsi ai fatti senza ascoltare attentamente le sue parole; non basta ascoltare i suoi discorsi senza considerare attentamente le sue opere.

Bisogna però fare molta attenzione alle ultime parole: "e beato colui che non si scandalizza di me". Cioè: chi cerca di capire chi è Gesù in rapporto alle sue attese, può essere sconcertato e come respinto dalla sua posizione. Perché? e qui noi tocchiamo veramente il fondo della questione. Gesù è colui che l’uomo attende, consapevolmente o inconsapevolmente, perché Egli è Dio fatto uomo. Non è solamente il profeta che annunzia una dottrina di Dio; non è solamente il taumaturgo che libera l’uomo dai suoi mali fisici. Egli è Dio che viene a vivere la nostra stessa vita perché l’uomo possa vivere la vita eterna di Dio. Ma Egli ha compiuto questo "mirabile scambio" nella umiltà e nella distruzione della Croce.

Carissimi fedeli, prepariamoci al Natale guidati da questa pagina del Vangelo: dobbiamo scoprire Cristo, la divinità di Dio nell’umiltà della nostra condizione umana.

2. E’ questi colui che l’uomo attende? che cosa il Dio fatto uomo dà all’uomo diritto di sperare?

Poiché questa vita, la vita umana, è abitata da una Presenza che la rende degna di essere vissuta, l’uomo ha il diritto di sperare che niente di ciò che in essa è vero, giusto, bello andrà distrutto. Essa è destinata all’eternità. Nella vita più banale c’è l’eccezionale.

Non è forse questo che l’uomo attendeva o qualcosa d’altro? Ciascuno interroghi il suo cuore. L’uomo, in sostanza, chiedeva che il suo desiderio di una beatitudine illimitata non fosse costretto a ridursi dentro la misura dell’effimero. Chiedeva che la sua vita, la realtà della sua vita non fosse giudicata un’illusione passeggera. "io sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza"