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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


XXIV DOMENICA PER ANNUM
S. Messa per i catechisti
16 settembre 2001

1. "Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una …". Carissimi catechisti, il Signore ha voluto farvi dono, durante questa celebrazione dei divini Misteri, del vertice della sua Rivelazione; chiedervi di meditare sulla pagina più bella del santo Vangelo.

La parabola della pecora smarrita è la sintesi perfetta di tutta l’economia della salvezza; è la narrazione riassuntiva della storia dei rapporti di Dio colla sua creatura umana.

La parabola narra in primo luogo il comportamento di Dio verso l’uomo. Dio ha cento pecore e ne perde una. Carissimi catechisti, chi è questo "uno"? Ciascuno di noi, ogni e singola persona umana. Entriamo di colpo nel cuore del Vangelo, dell’annuncio cristiano: davanti a Dio non conta il "genere umano". Egli vede il singolo: è di Lui che si prende cura. Quest’incredibile verità cristiana, la superiorità del singolo sul genere, può essere espressa anche colla seguente proposizione [puramente ipotetica]: esistesse anche una sola persona umana, essa sarebbe il senso totale dell’universo e della redenzione. Ogni uomo è tale per cui in lui deve accadere tutto il mistero della Redenzione e in lui trovare intera giustificazione.

Che cosa fa il "Pastore" nei confronti di quell’una? Poiché si è perduta, ritorna a rifare il cammino di essa: "va dietro a quella perduta". E’ il pastore che ora va dietro alla pecora: il Verbo si fa carne; assume pienamente la natura e la condizione umana. "Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe" [Eb 2,14a].

Fino a quando, fin dove "va dietro a quella perduta"? "finché la ritrova". E dove la trova? in quale luogo si è messo l’uomo? Il luogo proprio dell’uomo è la morte , e fin che l’uomo non è tirato fuori dalla morte non è in verità salvato. Ed infatti il Verbo incarnato è giunto fino alla morte, "per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè la morte" [ib].

"Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa". S. Gregorio M. commenta stupendamente questo testo: "Cristo si pose la pecorella sulle spalle, perché assumendo la natura umana portò su se stesso il peso dei nostri peccati… Trovata la pecorella rientra a casa, come il nostro Pastore che compiuta la redenzione, tornò al regno dei cieli ove trovò gli amici e i vicini, cioè i cori degli angeli, che sono suoi amici perché custodiscono sempre e in modo immutabile la sua volontà. Sono anche suoi vicini perché godono senza tregua lo splendore del suo aspetto. Va notato che non dice: "rallegratevi riguardo la pecora smarrita", ma "con me", perché sua gioia è la nostra vita [ejus gaudium est vita nostra], e quando ritroviamo la via al cielo rendiamo perfetta l’intensità della nostra gioia" [Omelie sui Vangeli II, XXXIV, 3; in OGM, CN ed. Roma 1994, pag. 441-443]. Veramente in quelle parole "se la mette in spalla e va a casa" è descritto tutto l’atto redentivo di Cristo. "Egli … assume una forma che gli appartiene [= va dietro a quella perduta], portando in se stesso tutto quanto me stesso con quello che mi appartiene [= se la mette in spalla], per consumare in se stesso il peggio, perché io partecipi a ciò che appartiene a Lui, tramite questa unione [= e va a casa]" [S. Gregorio Nazianzeno, Orazione 30,6; in Tutte le orazioni, ed. Bompiani, Milano 2000, pag. 725].

2. Carissimi catechisti, l’esercizio del vostro ministero ecclesiale si radica dentro alla vicenda significata dalla parabola: la cura che Dio ha per l’uomo, la passione che Dio sente per la dignità dell’uomo.

Confrontando le tre parabole, S. Ambrogio scrive: "Chi sono costoro, il Padre, il pastore, la donna? Non forse Dio Padre, il Cristo e la Chiesa? Il Cristo ti porta col suo corpo, avendo preso su di sé i tuoi peccati; la Chiesa ti cerca; il Padre ti accoglie. Ti riporta sulle spalle come fa un pastore, viene a cercarti come fa una madre, ti riveste come fa un padre" [Esp. del Vangelo sec. Luca VII, 208; in OOSA 12, CN ed., Roma 1978, pag. 255].

Voi siete la maternità della Chiesa che cerca l’uomo perduto, narrando le grandi opere del Signore per l’uomo: introducendolo nel mistero di Cristo.

Il vostro ministero ha quindi anche una grande rilevanza culturale: esso riporta l’uomo alla conoscenza piena della sua dignità in Cristo. "chi fa ritorno a Cristo ritrova se stesso, chi abbandona Cristo abdica a se stesso" [S. Ambrogio, ibid. pag. 263].

Il Signore vi accompagni e vi sostenga perché ognuno di voi sia capace di narrare le grandi opere del Signore.