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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


OMELIA VENERDÌ SANTO
Cattedrale Ferrara
10 aprile 1998

La solenne semplicità della liturgia che stiamo celebrando ci guida ad un raccoglimento profondo, ad una contemplazione pacata del mistero della morte di Cristo. La “parola della Croce” rappresenta la suprema rivelazione del mistero di Dio: della sua sapienza e del suo amore. Essa risuoni profondamente nel nostro cuore.
Vorrei cominciare con una considerazione molto semplice. Dopo che gli apostoli videro la gloria del Risorto, ci si poteva forse aspettare che essi avrebbero fatto in modo di dimenticare, e di far dimenticare la terribile umiliazione che il Signore risorto aveva subito nella sua passione e morte. E’ accaduto il contrario. Anzi un evangelista, Luca, costruisce tutto il suo racconto evangelico come la narrazione del viaggio che Gesù compie dalla Galilea verso Gerusalemme, per esservi messo a morte. Il racconto poi di Giovanni, appena ascoltato, vede nella Croce la glorificazione del Cristo. Dunque, è essenziale che ogni cristiano custodisca intatta nel suo cuore, che la Chiesa faccia sempre memoria della passione e morte del Signore. L’esempio dei santi è, come sempre, al riguardo inequivocabile. Alcuni di essi furono talmente pervasi dal ricordo di Cristo sofferente, da divenirne anche fisicamente, attraverso le stigmate, il segno vivente. Ed allora mi rivolgo questa sera a ciascuno di voi con le parole stesse di S. Chiara: “contempla l’ineffabile carità per la quale volle patire sul legno della croce e su di essa morire della morte più infamante … rispondiamo, dico a Lui che chiama e geme, ad una voce e con un solo cuore: non mi abbandonerà mai il ricordo di Te e si struggerà in me l’anima mia” (Lettera IV ad Agnese).
 
2. Ma la parola di Dio risponde ad una domanda che sorge inevitabilmente nel cuore di chi medita la passione di Cristo: perché questa sofferenza? perché questa morte così umiliante? La  domanda poi si fa particolarmente urgente, quando pensiamo che Cristo ha liberamente scelto di morire in questo mondo. Non ha subito la sua passione; ha voluto quella passione e quella morte. Pertanto la domanda si fa ancora più drammatica: perché ha voluto morire in quel modo? La parola di Dio risponde nel modo seguente: per i nostri peccati, a causa dei nostri peccati! Egli, il solo giusto, ha preso su di sé tutto il nostro peso di peccato; si è addossato le nostre colpe, per mutare la nostra condizione e reintegrarci nella vita nuova. In questo senso passione-morte-risurrezione sono un unico ed identico mistero. Gesù si sentì «addosso» il peccato: non solo il mio, il tuo, ma tutti i peccati commessi da Adamo fino alla fine del mondo. E’ questa la vera passione di Cristo. “Non faceva differenza, in questo momento, il fatto che non li avesse commessi lui; erano suoi perché se li era liberamente assunti: egli portò i nostri peccati nel suo corpo (1Pt 2,24); Dio lo trattò da peccato, in nostro favore (2Cor 5,21). “E’ l’intero genere umano con le sue innumerevoli colpe, con tutta la sua perdizione, a pesare sul Figlio di Dio fatto uomo: è con tutta questa maledizione che Egli sta davanti al Padre, mentre passa davanti al Sinedrio, davanti ad Erode, davanti a Pilato, davanti alla folla”. E’ in questa condivisione che noi siamo stati salvati, perché Egli si è abbandonato al Padre. “E’ questa misteriosa coincidenza fra “peccatore” e “Figlio” la vera passione di Cristo. Quando ci poniamo di fronte alla passione di Cristo, non dovremmo mai cessare di dire: è stato a causa del mio peccato!
Ma la parola di Dio ci conduce ancora più in profondità, nel rispondere alla domanda del perché della passione e morte di Cristo. La nostra fede infatti ci insegna che la passione così come è stata scelta da Cristo, non era assolutamente necessaria per la nostra salvezza. Nel senso spiegato in un antico inno liturgico: “una sola goccia del suo sangue, può salvare il mondo intero”. Perché allora, diremmo, un tale “spreco”? S. Paolo ci risponde: “Dio (il Padre) dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8); e S. Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). La vera ragione della passione, la più profonda è questa: il Padre invia il suo Figlio unigenito e Questi acconsente ad essere inviato “in una carne di peccato”, per subire la morte. In questo modo, all’uomo era tolta ogni possibilità di dubitare dell’amore di Dio  verso di sé. Come infatti non esclamare, con la liturgia: “O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il Figlio”. In sostanza, tutto il cristianesimo è racchiuso in queste parole: “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito”.
Questa sera possiamo continuare il nostro faticoso vivere quotidiano con più grande certezza nel cuore: “Dio mi ama: di fronte a Lui la mia persona è di un’infinita preziosità”. La parola della Croce è solo questa.
Attraverso l’apertura del costato, ci è stato aperto il passaggio fino al Cuore di Dio. Attraverso questa ferita, è aperto l’ingresso al segreto del cuore ed appaiono quelle viscere di misericordia con cui è venuto a visitarci il nostro Dio.
“Il mio merito, pertanto, è la misericordia del Signore”. Non siamo privi di merito fino a che Egli non lo è di misericordia: le misericordie del  Signore sono molte, anche i nostri meriti allora lo sono. E poiché la misericordia del Signore dura in eterno, anche noi cantiamo in eterno la sua misericordia (cfr. S. Bernardo, Sermone sul cantico dei Cantici, LXI, 5).