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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


XXXII DOMENICA PER ANNUM (A)
Pomposa, 6 novembre 1999

1. "Arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte, entrarono con lui alle nozze e la porta fu chiusa". Fra le immagini di cui la S. Scrittura si serve per rivelarci e descriverci l’avvenimento della nostra salvezza, c’è anche l’immagine delle nozze e del banchetto di nozze. Non a caso ci racconta il Vangelo di Giovanni, quando Gesù ha voluto rivelare che la salvezza era iniziata, lo fece durante un banchetto di nozze. Che cosa intende dirci la Parola di Dio servendosi di quest’immagine per parlarci del nostro definitivo destino? Che l’uomo, che ciascuno di noi è pre-destinato a vivere nella più profonda comunione e nella gioiosa intimità eternamente col Signore: "saranno sempre con il Signore", ci ha appena detto l’apostolo nella seconda lettura.

Questa destinazione finale della nostra persona dà una precisa configurazione alla nostra esistenza presente: è sempre lo scopo ultimo in vista del quale una cosa è fatta, che plasma la cosa stessa nella sua natura. Destinati come siamo ad "essere sempre col Signore", ad "entrare con lui alle nozze", la nostra vita si configura come "attesa" della, come "preparazione" alla sua venuta: venuta del Signore che per ciascuno di noi coincide col momento della nostra morte.

La consapevolezza viva che fino a quando saremo in questa vita, siamo in "attesa" del Signore, è oggi insidiata ed in molte coscienze estinta da un duplice atteggiamento. O non si attende "niente e nessuno" all’infuori della nostra esperienza temporale, perché riteniamo che la morte sia la fine di tutta la nostra persona e l’ingresso nel nulla eterno. O non si attende "niente e nessuno" all’infuori della nostra esperienza temporale, perché ne siamo così sommersi da vivere di questa vita come fosse l’unica.

La parabola evangelica mostra precisamente questi due modi diversi di vivere dentro a questo tempo: o "attendendo la venuta del Signore" così da farsi trovare al momento opportuno [le vergini sagge] o "vivendo come se…" il Signore non dovesse venire [le vergini stolte]. Ma la stessa parabola non ci nasconde che questi due modi di vivere dentro al tempo sono così radicalmente opposti da avere due esiti finali diametralmente contrari: le une entrano definitivamente col Signore alle nozze, le altre restano definitivamente fuori. "E la porta fu chiusa": è la fine di tutto e per tutti.

Diventa allora di capitale importanza sapere che cosa significhi concretamente vivere la propria vita come "attesa", come "preparazione". La parabola del Vangelo ce lo dice in un modo velato: "le stolte presero le lampade, ma non … in piccoli vasi". La diversità, dunque, consiste nel fatto che pur avendo tutte "le lampade", alcune hanno preso – saggiamente – olio per nutrirne sempre la fiamma, mentre altre non hanno – stoltamente – pensato a tenere sempre desta la fiamma. Ci aiuta un confronto con un’altra parola di Gesù. A chi durante la vita non ha fatto la volontà del Padre, anche se dice [nella preghiera]: "Signore, Signore"; anche se fosse stato dotato di carismi straordinari, il Cristo dirà esattamente: "non vi ho mai conosciuti" (Mt 7,23). La saggezza delle une consiste nell’esprimere la propria fede attraverso la fedeltà di opere conformi alla volontà di Dio: la stoltezza delle altre consiste nel non nutrire la luce della fede con l’impegno della carità. "Prendono con sé, olio" scrive S. Girolamo "coloro che si adornano di opere conformi alla fede; non prendono con sé olio coloro che professano la stessa fede, ma trascurano l’esercizio della virtù". L’attesa dunque del Signore, "vivere nell’attesa" del Signore significa vivere nella fedele obbedienza alla santa volontà del Signore; radicare sempre l’esercizio della nostra libertà nella sua Parola: senza alcuna fuga, senza evasioni.

2. Carissimi missionari/e: oggi il Vescovo vi affida il "mandato" di visitare ogni famiglia, portando il Vangelo della misericordia ad ognuna di esse. Nella semplicità del gesto, voi siete inseriti dentro l’opera più grande che accada su questa terra: la salvezza definitiva della persona umana.

La pagina evangelica e la pagina dell’apostolo, appena proclamate, rivelano in modo particolarmente suggestivo il significato del "mandato" che state per ricevere.

"Fratelli – ci dice l’apostolo – non vogliamo lasciarvi nell’ignoranza circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza". L’apostolo sa bene perché la peggiore ignoranza è quella "circa i morti": sul destino finale della persona. L’incapacità di rispondere alla domanda "a che cosa sono ultimamente destinato?", l’incertezza cioè sul senso ultimo della vita. E noi che cosa diciamo per non lasciare l’uomo "nell’ignoranza circa quelli che sono morti"? Ecco cosa diciamo: "noi crediamo … che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che …". Annunciamo il Vangelo della misericordia di Dio che ci salva dalla perdizione eterna. E voi andate a portare, nel nome del Signore, questo Vangelo.

La vita che viviamo ogni giorno, se non è più vissuta "nella ignoranza circa quelli che sono morti", cambia di prospettiva e siamo come le vergini sapienti che vivono in attesa. Portando il Vangelo ad ogni famiglia, voi in fondo ricordate ad ogni persona che è il Signore stesso che visita ogni casa, che chiede di essere accolto per introdurci nella sua comunione di vita.

Andate dunque nel nome del Signore: perché nessuno resti escluso dal banchetto di nozze.