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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


S. Carlo
4 novembre 1997

1. “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi”. Siamo portati subito dallo Spirito Santo che ci parla in questo modo, a fissare il nostro sguardo contemplativo sul dono che Cristo ha fatto di se stesso sulla Croce. Esso è l’evento centrale di tutta la realtà, è la rivelazione suprema. Di che cosa? dell’amore. E così considerando attentamente e profondamente contemplando il fatto che “Egli ha dato la sua vita per noi”, noi veniamo a conoscere l’amore. Grande mistero è l’amore, se solo la morte di Cristo sulla Croce ce lo può svelare! Difficile scienza quella dell’amore, se solo dalla croce di Cristo possiamo impararla! Necessaria conoscenza quella dell’amore, se per insegnarcela “Egli ha dato la sua vita per noi”. «Grande sacramento, necessario e segreto» dice Agostino. «Tutta quanta la Scrittura mette in evidenza quanto valga l’amore (Quid valeat caritas, omnis Scriptura commendat)» (in I Joan. V,13). Le parole dell’evangelista sono eco delle parole di Gesù nel Vangelo: “Io sono il buon pastore ... e offro la vita per le pecore”.
 Ma il S. Vangelo mette in risalto questa sera soprattutto una dimensione del dono che Cristo ha fatto di Se stesso e quindi del suo Amore: la libertà. Parlando precisamente del dono della sua Vita, Egli dice: “Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla ed il potere di riprenderla di nuovo”. “La offro da me stesso”: dietro a questa offerta non sta nessuna necessità di nessun genere. E’ un dono, è un amore che non ha nessuna spiegazione all’infuori di se stesso. E’ cioè un puro amore, completamente gratuito, assolutamente incondizionato. Anzi, il dono che Gesù fa di Se stesso ha la sua origine in una misteriosa decisione presa all’interno della Trinità stessa. E’ una decisione-iniziativa del Padre che per la libertà umana del Figlio assume il volto di un comandamento: “questo comando ho ricevuto dal Padre mio”. La donazione di Cristo è ancorata, radicata dentro al vincolo trinitario che unisce nello Spirito Santo il Padre ed il Figlio. Così, nel supremo abbandono Egli rimarrà fedele al suo Amore: “Padre non la mia ma la Tua Volontà sia fatta”.

2. “...quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”. A ben considerare, rischiamo di rimanere schiacciati dal peso immenso di quel “quindi anche noi”. Cioè: l’amore che risplende nel dono di Cristo sulla Croce deve essere presente anche in noi, così che anche noi doniamo la vita.
 “Ecco da dove venivano le parole del Signore: «Pietro, mi ami? Pasci le mie pecore». E perché sappiate bene che egli voleva che Pietro pascesse le pecore in questo modo, ossia fino a dare per loro la propria vita, subito dopo gli disse: «Quando tu eri giovane, ti cingevi, e andavi dove volevi; quando invece sarai vecchio, un altro ti cingerà, e ti porterà dove tu non vuoi». E l’evangelista soggiunse: «Disse questo per indicare la morte con la quale avrebbe glorificato Dio». E disse questo proprio a colui cui aveva detto «Pasci le mie pecore», appunto per insegnargli a dare la vita per le sue pecore”. (S. Agostino, ibid v,11).
 E questa sera noi vediamo l’amore di Cristo nella persona di S. Carlo: egli ha dato la sua vita per i suoi fedeli. Ancora oggi, restiamo impressionati dalla vita di penitenza, di preghiera e di attività pastorale che lo consumò all’età di soli 46 anni. Soprattutto dopo la pestilenza del 1575.

Conclusione

 Cinque giovani vivono un momento particolare del loro cammino verso il sacerdozio: avete intrapreso il sentiero dell’amore!
 Due anni orsono questa Chiesa prendeva possesso della mia persona: Cristo mi chiamava a donare la mia vita per essa.
 Pregate per loro; pregate per me: sia in noi lo stesso amore di Cristo. Tutto il resto passa e non vale nulla: rimane il dono che Cristo ha fatto di Se stesso.