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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


OMELIA S. MESSA CRISMALE
4 APRILE 1996

1. “Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione”.
Chi parla così è un profeta che descrive l’esperienza fondamentale della sua vicenda esistenziale: il momento della sua vocazione, il momento in cui gli viene svelato il senso ultimo della sua vita, la ragione stessa del suo esserci. E’ la luce decisiva questa, poiché in essa il profeta vede l’intera verità della sua persona e missione: “portare il lieto messaggio ai poveri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati...” in una parola, “promulgare l’anno di misericordia del Signore”. La verità della persona e il contenuto della sua missione è creata dall’unzione dello Spirito, ed è una consacrazione. “Consacrarsi”, tra profani, è dedicarsi in pieno ad una occupazione, al perseguimento di un ideale. La S. Scrittura lo concepisce come donazione permanente e totale a Dio: chi è consacrato si sottrae ad ogni uso profano, e passa ad essere di Dio. Pertanto il profeta sente come una sorta di “espropriazione” di se stesso. Egli non si appartiene: “mi ha mandato”. Egli appartiene esclusivamente alla sua missione, cioè a colui che lo ha consacrato con l’unzione. Si ha come una vera e propria identificazione fra la propria esistenza e la propria missione: esiste esclusivamente e totalmente per la missione. Questo evento è posto in essere dallo Spirito che è sul profeta. Egli lo manda, lo dona ai poveri, ai cuori spezzati, ai prigionieri. A quale scopo? “Per consolare tutti gli afflitti... per dare loro ... olio di letizia invece di un cuore mesto”. Il profeta opera un cambiamento della condizione umana, poiché nella sua missione il Signore concluderà una alleanza perenne, eterna con l’uomo.

2. “Oggi si è adempiuta questa scrittura”.
Tutto ciò che il profeta aveva presagito in sé, aveva come sperimentato in modo frammentario, ora si compie nella persona e missione di Gesù. Unto dal Padre con lo Spirito, egli non si apparteneva più: viveva per il Padre e in questo, viveva interamente per l’uomo. Egli non vuole più un solo atto della sua esistenza per sé. In questa donazione del Cristo la Scrittura si adempie. Egli non la spiega, ma l’attualizza. Non l’adatta al suo tempo: la realizza. Nella sua volontà la Scrittura, cioè la volontà del Padre si compie. Quale volontà? La liberazione dei prigionieri, la luce donata ai ciechi; l’anno definitivo della misericordia del Padre.
La liberazione dei prigionieri: dell’uomo schiavo di se stesso, chiuso nel carcere della propria trasgressione che lo rende sempre meno libero. La luce donata ai ciechi: la cecità di non conoscere più la verità di se stesso. L’anno definitivo della misericordia: la rivelazione del mistero di Dio come pura misericordia, come sola misericordia. Tutto questo non è solo detto da Cristo: Egli lo realizza.
 Fratelli: posiamo il nostro sguardo semplice e contemplativo sul Cristo; non distogliamolo mai, da Lui e guardando Lui, in Lui vediamo l’uomo concreto e sofferente. Il nostro sguardo semplice: è lo sguardo che non filtra la luce che viene da Cristo; che non seleziona ciò che è comprensibile da ciò che è incomprensibile. E’ lo sguardo che lascia irrompere in sé la pienezza della luce di Cristo.
 E che cosa vede chi guarda con occhi semplice il Cristo? Vede in Lui un amore senza limiti, un amore impastato di umiltà, perché si pone al servizio di ogni uomo. Chi vede questo amore, è penetrato nel mistero più profondo. Ascoltate le parole immense che solo a noi è dato di pronunciare: “Lo spezzò ... prendete e mangiate”. “Prendi”: Dio è a tua disposizione, al tuo servizio. “Mangiate”: non si appartiene più.

3. “Ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre”
Ciò che il profeta aveva vissuto in figura in se stesso, Gesù lo realizza nella verità e noi vi partecipiamo in sacramento. Oh fratelli, lasciamoci commuovere dal mistero che è la nostra esistenza sacerdotale. Tutto quello che dice la parola di Dio del profeta, di Gesù, è vero di ciascuno di noi, poiché l’unzione sacramentale ha radicato la nostra persona nell’oggi di Cristo che compie la Scrittura. Egli è qui.
Egli è qui come nella sinagoga di Nazareth: è qui nella persona di ciascuno di noi, unta dal suo Santo Spirito. La mia vita ormai è piantata nella missione messianica di Cristo, e da questa riceve tutto il suo senso. Lo Spirito chiede di compiere quell’espropriazione di noi stessi, che ci porta ad identificare pienamente la nostra esistenza colla missione a cui siamo inviati: annunciare ai poveri un lieto messaggio, proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista. In una parola: la misericordia del Padre. Non ci apparteniamo più.
 Fratelli, non contristiamo lo Spirito Santo che ci ha unto! Lo contristiamo se perdiamo la consapevolezza della nostra dignità, riducendo la nostra missione entro la misura solo o prevalentemente umana di un servizio sociale. Lo contristiamo, se lasciamo che dimori nel nostro cuore il demone della tristezza e dello scoraggiamento, dimenticando che Dio opera precisamente attraverso la nostra debolezza e che la nostra miseria è la sua forza. Lo contristiamo, se ci chiudiamo nel deserto di un risentimento amaro e sterile, dimenticando che la gioia del Signore è la nostra forza.

 “Canterò per sempre l’amore del Signore”: è così, nella nostra quotidiana fatica e solitudine? Dal cuore sgorga sempre il canto dell’amore del Signore? La fedeltà e la grazia del Signore sono con noi: che lo Spirito Santo non ci faccia mai mancare la gioia di sperimentarlo. Così sia.
 S. MESSA “IN COENA DOMINI”: 4 aprile 1996
 
 

1. “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.
Entriamo, guidati ed illuminati da queste immense parole, nel “sacro triduo” della Passione e Risurrezione del Signore. Sono i tre giorni che risplendono al vertice del nostro vivere nel tempo, poiché in essi Dio manifesta la Gloria della sua Misericordia. E questa sera noi contempliamo il dono che concede a ciascuno di noi, nella Chiesa, di essere coinvolti in quell’amore che è andato fino alla fine, di averne una esperienza  reale e quotidiana: il dono del’ Eucarestia. Che cosa è l’Eucarestia? E’ la presenza del Sacrifico di Cristo, di quel sommo atto di adorazione che è nello stesso tempo l’atto del supremo amore, dell’amore “sino alla fine”. E quindi distribuzione di Se stesso sotto le figure del pane e del vino, per essere nostro nutrimento e bevanda.
 Mettiamoci con tutta l’umiltà di cui siamo capaci, alla scuola di Paolo e di Giovanni. Il primo ci istruisce attraverso le parole dell’istituzione dell’Eucarestia; il secondo ci istruisce attraverso il racconto della lavanda dei piedi.
 Le parole con cui Gesù istituisce l’Eucarestia: “Questo è il mio corpo che è per voi”; “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue”. Il corpo, cioè la persona stessa del Verbo fattosi uomo; il sangue, cioè la sua vita uccisa dalla violenza, sono ora il sacrifico reale e definitivo che costituisce la Nuova Alleanza fra Dio e l’uomo: fra Dio e ciascuno di noi. E’ questo sacrificio, il Sacrificio che Cristo fa di se stesso, eucaristicamente presente nella Chiesa, che ricongiunge l’uomo a Dio. Non esiste una relazione fra Dio e l’uomo che non passi attraverso l’Eucarestia: ogni dichiarazione d’amore di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio, è detta attraverso l’Eucarestia. Il pane è spezzato: il Servo di Dio - come aveva detto il profeta - è stato spezzato per i nostri delitti. Il sangue è effuso. È il dono della sua vita per la remissione dei peccato. E così si comprende perché, come insegna l’Apostolo, è “la Nuova Alleanza”. Infatti, il profeta Geremia aveva profetizzato: “Questa è l’Alleanza che io stipulerò, dice il Signore, io porrò la mia legge nei loro cuori e le imprimerò nella loro mente. E non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità”.
 Ma come è possibile che noi oggi possiamo partecipare al Sacrificio che Cristo  fece del suo corpo spezzato, del suo sangue effuso? Come può essere possibile per noi diventare contemporanei con quel sacrificio, evento accaduto circa duemila anni orsono? Oh, fratelli e sorelle: ora parliamo del più grande avvenimento che accade nella Chiesa! E’ possibile, per la “conversione” del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Poiché attraverso le parole della consacrazione, per la potenza dello Spirito Santo, il pane ed il vino si trasformano nel Corpo e nel Sangue di Cristo, ciascuno di noi mediante quei santi segni, partecipa realmente al dono che di sé Cristo compie. Non esiste più la sostanza del pane, anche se ne permangono tutte le sue qualità; non esiste più la sostanza del vino, anche se ne permangono tutte le qualità. Ecco perché anche oggi, anche qui, tu puoi accostarti “alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli”, perché ti accosti al Mediatore della nuova Alleanza e sulle tue labbra si posa il sangue “dalla voce più eloquente di quella di Abele”.
 Il modo di partecipare al sacrifico consiste dunque nel comunicare al  Corpo ed al  Sangue di Cristo attraverso i santi segni del pane e del vino: la celebrazione del sacrifico si compie nella nostra comunione eucaristica. Diventiamo concorporei e consanguinei di Cristo.

2. “Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”.
Fare come ha fatto Cristo! Come ha fatto Cristo? Ha lavato i piedi ai suoi discepoli! Cioè: li ha serviti fino  in fondo, non ritenendo la sua gloria divina un tesoro da possedere gelosamente, ma spogliando se stesso. L’umiltà di Dio, la sua carità: ecco che cosa ci è proposto. Il Sangue di Cristo costituisce la nuova Alleanza: ora ci viene donato il nuovo Comandamento. Non è una imposizione esterna: esso è l’intima struttura della nostra esistenza cristiana. Hai partecipato al sacrifico di Cristo, al suo Amore: hai affondato le radici della tua verità nel Sangue di Cristo. I frutti non possono essere che l’amore ed il servizio del fratello. L’Eucarestia costruisce così la comunione fraterna, costruisce il nostro essere Chiesa.
 

 Fratelli e sorelle, alla fine di questa celebrazione porteremo il Ss.mo Sacramento in un cappella laterale: seguendolo e poi pregando in essa, noi manifestiamo la nostra volontà di stare con Cristo nella solitudine dell’orto degli Ulivi. Non è solo un gesto liturgico. E’ l’invito a cercarlo tra coloro che sono soli, dei quali nessuno si preoccupa, fra chi ha più bisogno. E’ invito all’adorazione di Cristo nell’Eucarestia: dolcezza di stare coll’amato, il Cristo presente nello splendore della Cattedrale e nelle piccole chiese battute dagli anni. Egli sempre presente col suo amore crocifisso.