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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI
Cattedrale: Ordinazione diaconale 1 novembre 2000

1. "Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente". Le parole dell’apostolo ci conducono alla fonte di ogni bene, alla sorgente da cui scaturisce ogni benedizione e dono per la creatura umana: l’amore del Padre. Il primo dono infatti da cui derivano tutti gli altri è stato il dono del suo amore: Egli ci ha dato il suo amore, anzi il suo grande amore. Il resto, tutto il resto non è che la conseguenza di questa "grazia delle grazie".

Questo non è difficile a capirsi partendo da una considerazione molto semplice. L’amore umano sorge dalla contemplazione di una qualche perfezione dell’amato. Non così l’amore divino: Esso non è mosso dalla nostra perfezione. Dio non ci ama perché siamo ciò che siamo, ma al contrario quanto al bene noi siamo ciò che siamo perché Dio ci ama. Il primo dono è di averci amati.

Ma l’apostolo vuole che noi contempliamo la grandezza di questo amore. Non è un amore qualsiasi: è un amore grande. Da che cosa lo deduciamo? Dal fatto di "essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente". Egli cioè ci ha amati fino al punto di introdurci nella sua stessa vita, rendendoci partecipi della sua stessa natura. Il figlio infatti ha la stessa natura del padre essendo stato da lui generato. La creatura umana è stata resa partecipe della stessa natura divina perché il Padre ci ha generati nel santo battesimo, rendendoci conformi al suo Figlio unigenito Gesù.

L’apostolo Paolo esprime la stessa verità quando scrive: "in Lui [cioè in Cristo] ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo" [Ef 1,4-5]. La santità dell’uomo è la sua partecipazione alla stessa divina figliazione di Cristo. A questa santità che riguarda, diciamo, il nostro essere deve seguire la santità del nostro operare: la purezza del cuore e l’innocenza delle mani per poter salire il monte del Signore e stare nel suo luogo santo. Destinati come figli a vedere il Padre "così come Egli è", siamo chiamati a purificare noi stessi come Egli è puro.

E’ questa la nostra vera grandezza: la grandezza della santità nel nostro essere e nel nostro operare. E’ questa la nostra dignità: quella di "essere chiamati figli di Dio" e di esserlo veramente. E’ questa la nostra speranza: quella che "quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è". Non si può essere più che persone-deificate.

2. Nello splendore dell’amore del Padre noi comprendiamo la celebrazione sacramentale che stiamo compiendo: il conferimento dell’ordine del diaconato permanente ad Andrea.

Non vi è nulla di più grande della nostra divinizzazione, del nostro essere figli di Dio. Ma nella Chiesa oltre alla grazia santificante, alla grazia che ci santifica perché ci divinizza, vi sono altre grazie o doni, come quella del diaconato, del presbiterato, dell’episcopato: grazie che hanno carattere sacramentale e sono di istituzione divina. Sono dei carismi istituzionali. Essi cioè non sono dati perché chi li riceve ne sia santificato: sono grazie che abilitano stabilmente ad un servizio nella Chiesa. Esse non accrescono la grandezza di chi li riceve, ma al contrario – se così posso dire – la diminuiscono perché rendono chi le possiede servo degli altri. "Ritengo infatti che Dio" scrive S. Paolo "abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto" [1Cor 4,9]. Io vostro vescovo non sono più grande di voi, ma più piccolo perché vostro servo. Solo l’essere cristiani è "nomen dignitatis"; l’essere diaconi, sacerdoti, vescovi è "nomen servitutis".

La grandezza del diaconato, del presbiterato, dell’episcopato è al servizio della grandezza della santità dei fedeli. I ministeri sono un privilegio che esistono per un bene più grande: la santità dei cristiani. Questa subordinazione può accadere già adesso in mezzo a voi. Nella nostra Cattedrale in questo momento è il vescovo che sta celebrando l’Eucarestia: che avendone il sacro potere trasforma il pane ed il vino nel corpo e sangue di Cristo, sacrificio offerto al Padre. Ma se fra voi c’è qualcuno/qualcuna che partecipa a questa offerta con una carità superiore alla mia, l’offerta del divin sacrificio sarà accolta dal Padre ben più dalle mani di questa persona presente fra noi che dalle mie mani sacerdotali. La grandezza della gerarchia è al servizio dell’unica vera grandezza: quella della santità.

L’ordine del diaconato, come dice il nome stesso, sottolinea in modo singolare questa dimensione del servizio che definisce il sacerdozio cristiano: servizio alla Parola di Dio attraverso la catechesi e la predicazione; servizio al Mistero attraverso la celebrazione liturgica; servizio alla Carità attraverso la fattiva vicinanza ad ogni bisogno umano.

Servizio alla Parola, servizio al Mistero, servizio alla Carità: perché, Andrea, chi ti è fratello nel battesimo sia da te servito perché diventi santo ed immacolato al cospetto di Dio.