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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Matrimonio e famiglia nella Dottrina sociale della Chiesa
1988


Due osservazioni preliminari. Il compito della presente riflessione non è di esporre tutto l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e la famiglia, ma solo una parte di esso: la dottrina sociale. Quella parte cioè che considera il matrimonio e la famiglia in quanto realizzano la dimensione sociale della persona umana.

Per dare un certo ordine alla mia esposizione, ritengo che questa parte della dottrina sociale si possa raccogliere intorno a due centri ideali: A) La società coniugale-familiare in se stessa considerata; B) in rapporto con le altre società.

 

Punto A 

 

A me sembra che la dottrina sociale sul matrimonio e la famiglia possa essere espressa in due tesi fondamentali.

Dopo aver enunciato ciascuna di esse, cercherò di darne il senso, di mostrare le ragioni profonde che la giustificano e di far vedere come da ciascuna di esse il Magistero della Chiesa deduca importanti conseguenze.

 

1. La società coniugale-familiare è una società naturale

 

1, 1. (Il significato della tesi)

Il termine «chiave» per capire questa prima tesi è «naturale». Questo termine e concetto ha un duplice significato: uno negativo e uno positivo.

Il matrimonio e la famiglia non sono «effetto del caso o prodotto dell’evoluzione di inconsce forze naturali» (Paolo VI, Enciclica Humanae vitae, 8). Non sono cioè un puro e semplice «caso particolare» di una legge comune alle specie viventi: la legge secondo la quale le specie si perpetuano attraverso la coniugazione sessuale. Non sono neppure una mera invenzione dell’uomo, una sua creazione culturale, un prodotto della sua intelligenza oppure una sovra-struttura che emerge necessariamente da altre infra-strutture.

Il matrimonio e la famiglia sono «una sapiente istituzione del Creatore per realizzare nell’umanità il suo disegno di amore» (ibid.). Quest’affermazione di Humanae vitae deve essere profondamente meditata. Il matrimonio e la famiglia sono un’invenzione di Dio stesso, pensata nello stesso momento in cui Egli crea l’uomo e la donna, pensata nello stesso momento in cui Egli crea l’uomo e la donna: essi hanno un’origine divina. Questa divina invenzione regola, per cosi dire, il modo stesso con cui la persona umana è costituita, strutturata, costruita dall’atto creativo di Dio. In al tre parole: la persona umana — uomo e donna — porta inscritta in se stessa la dimensione della coniugalità. Non solo nel suo corpo (la differenziazione sessuale), ma anche nelle sue componenti psicologiche e spirituali. In che senso? Come insegna l’Esortazione Apostolica Familiaris consortio, la vocazione della persona umana, la sua vocazione nativa ed originaria è la comunione interpersonale che si costituisce attraverso e nel dono di sé. Una delle realizzazioni fondamentali (l’altra è la verginità consacrata), uno dei modi nel quale — secondo il disegno di Dio — la persona realizza la sua nativa vocazione alla comunione interpersonale è il matrimonio. «Per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla comunione dei loro esseri in vista di un mutuo perfezionamento personale, per collaborare con Dio alla generazione e all’educazione di nuove vite» (Paolo VI, Lett. Enc. Humanae vitae 8).

 

1, 2. (Le ragioni della tesi) 

Questa prima tesi della dottrina sociale — prima nel senso della sua importanza e teoretica e pratica — trova la sua giustificazione e il suo fondamento, nel magistero della Chiesa, in una visione adeguata della persona umana.

Prima di tutto, in una problematica come la nostra, è necessario chiederci donde il Magistero desuma questa visione, quali siano le sue fonti. È questo un punto molto importante non solo per questo capitolo della dottrina sociale della Chiesa.

Il Concilio Vaticano II (Gaudium et spes) insegna che la divina Rivelazione è la sorgente ultima dell’insegnamento della Chiesa, anche quando insegna che il matrimonio e la famiglia sono società naturali, perché la verità intera, completa, dell’uomo ci è stata svelata in Cristo. Esponendo questa verità, il Magistero raggiunge anche la ragione umana, nel senso che dà un’interpretazione delle fondamentali esperienze umane, della quale ogni retta ragione di persone di buona volontà riconosce la verità. Visione, dunque, adeguata dell’uomo: perché visione cristiana e quindi umana; perché visione umana e quindi cristiana.

Presentiamo, allora, in sintesi quella visione adeguata della persona che sta alla base di questa prima lesi. La comunione fra le persone è essenzialmente un atto spirituale cioè un atto di conoscenza e di amore. Non si è in comunione con chi è da noi completamente sconosciuto. Un atto di conoscenza che percepisce profondamente l’altro nella sua realtà di persona: nella sua dignità, nella sua singolare preziosità di persona. Un atto di amore che fa uscire la persona da se stessa, istituendo un rapporto che non è fondato sul l’utilità e/o sul piacere, ma sulla pura e semplice bellezza, dignità, preziosità intrinseche al rapporto stesso. Questa attività conoscitiva-amante è propria dello spirito: è il suo proprio modo di agire.

Poiché la persona umana è in se stessa un’unità e non una semplice aggregazione di tanti elementi, il movimento dello spirito investe e coinvolge anche il corpo e la psiche umani. Il corpo diviene l’espressione visibile — il linguaggio — di quella comunione interiore.

Quel termine-chiave «naturale» può ora essere colto in tutto il suo significato. La società coniugale è la forma che può assumere questa intrinseca costituzione della persona umana: il suo essere dono.

 

1, 3. (Conseguenze della tesi)

Da questa verità, la dottrina sociale ha derivato molte e importanti conseguenze. Non è possibile richiamarle tutte. Limitiamoci alle più importanti.

 

(a) Se matrimonio e famiglia sono società «naturali» è però ugualmente incontestabile che esse hanno subito e subiscono profondi mutamenti. Lo studio — descrizione dell’ideologia — di questi mutamenti non è competenza del Magistero: è proprio della sociologia, della psicologia e di altre scienze. Ci troviamo qui di fronte a un problema centrale per la Chiesa e per ogni credente: il problema del rapporto fra il «nucleo naturale» (possiamo ora chiamarlo così) del matrimonio e della famiglia e le varie, mutevoli forme storiche in cui quel nucleo prende corpo, necessariamente. Per risolvere correttamente questo problema, è necessario in primo luogo vedere chiaramente che esso si rapporta a un problema fondamentale di antropologia generale. Si tratta del problema del rapporto fra verità e libertà.

L’uomo non inventa se stesso, non crea se stesso, non costituisce se stesso. Egli si riceve dalle mani del Creatore. Esiste cioè una verità dell’uomo, una struttura del suo essere personale, che non è altro che il progetto di Dio sull’uomo. Questa verità precede le decisioni della libertà. Nello stesso tempo, però, essa (la verità) è affidata alla libertà: la libertà dell’uomo è chiamata a realizzare questa verità, a «fare la verità». Abbiamo, per esempio, appena detto che la persona umana è, nella sua verità più intima, un soggetto ordinato a fare dono di sé. Tuttavia, l’attuazione della sua più profonda verità è affidata alla libertà: è col suo atto libero che la persona diviene o non diviene ciò che è: cioè dono. Ciascuno è genitore di se stesso. Ma da ciò deriva che l’esercizio della propria libertà è giudicato dalla verità. La libertà che realizza la persona in contraddizione colla verità della persona medesima, distrugge la dignità dell’uomo, si pone contro il progetto di Dio; realizza una umanità falsa.

Ritorniamo ora al nostro tema. Le varie realizzazioni storiche della società naturale coniugale-familiare devono essere giudicate alla luce della verità del matrimonio e della famiglia. È Gesù stesso che ci ha insegnato a farlo.

Quando i Farisei gli chiesero che cosa pensasse del la legislazione mosaica (= forma storica, mutevole) circa il divorzio, Egli non prende come criterio di giudizio riferimenti alla situazione sociale, economica... del suo popolo. Il suo criterio è il «principio», cioè il progetto di Dio sul matrimonio (= verità sul matrimonio). Dal confronto fra verità e libertà, Gesù arriva al giudizio: questa forma storica e falsificante dell’amore coniugale e quindi è eticamente ingiusta e quindi da sopprimere. Fatto questo confronto, Egli dà la ragione ultima di questa falsificazione-ingiustizia: la «durezza del cuore» nella persona umana. Nella sua storia la dottrina sociale della Chiesa ha sempre seguito questa metodologia, nei vari contesti culturali. Dunque, la prima o corollario di quella prima tesi è la seguente: dalla luce della naturalità del matrimonio e della famiglia si deduce una precisa metodologia di giudizio dei modi concreti nei quali matrimonio e famiglia sono vissuti.

 

(b) La tesi non fonda solo un metodo di giudizio, ma anche un metodo di intervento operativo. Per loro natura stessa, come abbiamo già visto, le verità etiche provocano la libertà a dare una risposta esecutiva. L’esecuzione o realizzazione della verità del matrimonio e della famiglia avviene sempre in un determinato contesto storico (che deve essere previamente giudicato: corollario precedente). La dottrina sociale della Chiesa ha elaborato alcune leggi fondamentali che devono ispirare, orientare e regolare questo intervento. Sono tre.

La prima: la legge della fedeltà. Il cristiano — più ancora che il non cristiano — non è padrone della verità del matrimonio e della famiglia, poiché non è padrone dell’uomo. Egli non può disporre a suo piacimento della verità, adeguandola, misurandola, e graduandola alle varie condizioni e situazioni storiche, sia personali che sociali. (Questo comportamento è qualificato nei documenti del Magistero con l’espressione: gradualità della legge). Il cristiano deve farsi guidare dall’accettazione integrale della verità.

La seconda: la legge della gradualità. Non è da confondere con la gradualità della legge, di cui ho appena parlato. L’accettazione integrale della verità non deve risolversi e ridursi all’interno della propria comunità coniugale e familiare. Deve irradiarsi nella società in cui si vive; deve divenire lievito che trasforma interiormente la pasta della cultura in cui si vive. La legge della gradualità significa, dunque, l’intenzione profonda e la volontà costante di convertire se stessi — in quanto sposi e genitori — alla verità e di coinvolgere in questa permanente e progressiva con versione la cultura matrimoniale e familiare in cui si è inseriti.

La terza: la legge dell’inculturazione. È il logico sviluppo della legge precedente. La fede genera cultura: genera una trasformazione dei vari modi o forme in cui la persona realizza la verità del matrimonio e della famiglia. Questo processo di inculturazione comprende tre momenti. Il momento in cui si riforma ciò che il peccato ha deformato (si pensi alla mentalità divorzista, abortista...); il momento in cui si conferma e si accoglie ciò che di vero, di buono, di giusto c’è nella cultura in cui si vive; il momento in cui si trasfigura nella propria esperienza cristiana l’umano dell’esperienza coniugale e familiare.

Tutto questo ci ha già condotto alla seconda tesi.

 

2. La società coniugale-familiare è la prima società naturale

 

2, 1. (Il significato della tesi) 

Il termine «chiave» per capire questa seconda tesi è «prima»; è l’attribuzione di una priorità, nei confronti delle altre società, al matrimonio e alla famiglia. Di quale «priorità» si tratta? La risposta a questa domanda ci rivelerà pienamente il significato della tesi. Il termine, nella dottrina sociale, mi sembra che abbia due sensi fondamentali.

Il primo. La differenziazione sessuale non è il dato primario nell’uomo: l’uomo non è primariamente maschio o femmina. Egli è primariamente persona. Pertanto, poiché tutta la dignità dell’uomo consiste nel suo essere una persona, in ordine al rispetto che si deve all’uomo, in ragione della sua singolare preziosità, è irrilevante il fatto di essere maschio o femmina. Ed ancora, in Cristo Gesù — come insegna S. Paolo — non c’è più uomo o donna. Nel contesto di questa riflessione, la differenziazione sessuale è una qualità accidentale nella persona umana.

Tutto questo doveva essere premesso. Ma non è tutto. Infatti la differenziazione sessuale costituisce la prima distinzione all’interno della identica umanità. Prima di essere bianco o nero, italiano o francese o altro, insegnante o magistrato e altro ancora, la persona umana o è uomo o è donna. E questa differenziazione sessuale è cosi primaria nei confronti di ogni altra differenziazione, che da essa la «persona umana deriva le caratteristiche che, sul piano biologico, psicologico e spirituale, la fanno uomo o donna, condizionando cosi grandemente l’iter del suo sviluppo verso la maturità e il suo inserimento nella società» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione “Persona humana” del 29-12-75, n. 1). In altre parole: tutto ciò che la persona fa, lo fa nella forma, nel modo, coll’impronta propria della sua femminilità o mascolinità.

Tuttavia la differenziazione sessuale non è solo la prima, originaria forma della distinzione fra le persone umane; la prima ed originaria rivelazione dell’altro come altro: la donna è altro che l’uomo e viceversa. Essa è anche il primo ed originario segno della vocazione della persona a trascendere se stessa, a uscire da se stessa nella comunione, costituita dal dono di sé. Infatti, la differenziazione sessuale indica, denota, significa, una relazione di complementarità. Si è uomo in relazione alla donna, si è donna in relazione all’uomo. E questa relazione ha il suo fondamento nella «complementarità» dei due o — il che equivale — nel fatto che l’umanizzazione completa, la pienezza del suo essere, la perfezione della sua bontà si raggiunge nella comunione interpersonale fra l’uomo e la donna: nella società coniugale, appunto. La differenziazione sessuale è al contempo e la prima distinzione (prima di tutto la persona è o uomo o donna) e il primo segno della chiamata della persona alla comunione: esiste un altro — sono chiamato a costituire una comunione con l’altro nel dono di me stesso all’altro.

Ora, se riflettiamo un momento, la società umana come tale e quindi ogni società umana implica sempre due momenti o realtà; l’esistenza dell’altro (il solitario non può essere in società) — la relazione con l’altro (tante solitudini non fanno una società).

È questo, dunque, il primo significato dell’attribuzione di una priorità alla società coniugale: la società coniugale è la prima società naturale nel senso che è l’originario segno della struttura comunionale della persona umana.

Il secondo significato è ancora più profondo. Per percepirlo, dobbiamo partire da una riflessione semplice. La persona umana deve entrare nell’esistenza, essere cioè generato, all’interno della comunione coniugale mediante un atto di amore coniugale: ogni altra modalità di ingresso è contro l’ordine della divina Sapienza e la dignità del concepito. È questa una tesi centrale della recente Istruzione sulla bioetica, emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Altrove questa verità sarà spiegata. Essa è il punto di partenza per cogliere il significato della priorità di cui stiamo parlando.

La persona umana, fin dalla sua origine, si radica nell’umanità, ponendosi nel terreno di una reciprocità inter-personale, quella precisamente coniugale. D’altra parte, nel momento in cui la donna si rende conto di essere diventata madre, percepisce in sé la presenza non di «qualcosa» ma di «qualcuno». Di una persona, cioè, che vive in lei e che le è strettamente legata, ma che, nello stesso momento, non le appartiene come cosa di cui poter disporre, ma le è stata donata.

Che cosa è accaduto? La maternità è un dono fatto alla sposa dallo sposo e la paternità è un dono fatto allo sposo dalla sposa. Nello stesso atto in cui i due sposi si dicono, col massimo della loro capacità espressiva, la loro reciproca comunione coniugale, si trascendono e si superano, escono dalla loro dualità in una terza persona. E da parte sua questa terza persona si colloca nell’universo dell’essere, accolta e voluta in se stessa e per se stessa come persona.

È ora facile vedere in questo avvenimento la trasformazione della società coniugale nella società familiare, il modello originario, l’archetipo del costituirsi di ogni società umana. Che cosa è il «sociale umano» se non il riconoscimento e l’affermazione dell’altro in se stesso e per se stesso, cioè semplicemente perché e in quanto persona umana? Ogni persona umana è «socio» di ogni persona umana. All’interno della società coniugale si ha precisamente questo atto di riconoscimento: per la prima volta, e così la società umana si costituisce.

Il secondo significato dell’attribuzione di una priorità alla società coniugale-familiare è il seguente: la società coniugale-familiare è la prima società naturale nel senso che in essa e mediante essa ha origine il sociale umano come tale.

 

2, 2. (Le ragioni della tesi)

La ragione profonda di questa seconda tesi è da ricercarsi nella visione personalista che la Chiesa ha della società umana. Per visione personalista si intende che la società trova la sua origine nella persona. La socialità è una dimensione essenziale della persona, fondata ultimamente sulla spiritualità dell’uomo. Solo lo spirito, infatti, è sociale: comunicabile, aperto all’altro, capace di uscire da sé. La materia è incomunicabile, ermeticamente chiusa in sé. Ma «visione personalista» significa anche che la società umana non deve ridursi ad un mero fatto organizzativo, costituito da un dare-avere puramente limitato alle rispettive funzioni. E una realtà personale, nel senso che deve — per quanto possibile — conservare le caratteristiche del rapporto interpersonale. Infine, «visione personalista» significa che nella società, la persona non perde se stessa, dal momento che la società è finalizzata al bene della persona. E, pertanto, l’archetipo, il modello di ogni società è la società coniugale familiare. «La promozione di un’autentica e matura comunione di persone nella famiglia diventa prima e insostituibile scuola di socialità, esempio e stimolo per i più ampi rapporti comunitari all’insegna del rispetto, della giustizia, del dialogo, dell’amore» (Es. Ap. Familiaris consortio, 42 a). «In tal modo... la famiglia costituisce il luogo nativo e lo strumento più efficace di umanizzazione e personalizzazione della società» (ibid. 43 b).

 

2, 3. (Conseguenze della tesi)

Anche da questa tesi, il Magistero della Chiesa ha dedotto molte conseguenze. Richiamo solo le principali.

 

(a) La famiglia è nella società ciò che la cellula è in un organismo vivente. Questa proporzione, ripetutamente insegnata sotto varie forme, nella dottrina sociale, è ricca di contenuti. Il benessere etico della società dipende in larga misura dal benessere etico della famiglia. Se riflettiamo attentamente sulla ragione, sopra esposta, di questa seconda tesi, vediamo che questa conseguenza si impone immediatamente. Il benessere etico della famiglia consiste nel possesso di tutti quei valori morali che ne costituiscono la forma propria, ne delineano il volto. Essendo un’esperienza — quella coniugale e familiare — dominata non da criteri utilitaristici o edonistici, ma dalla legge della gratuità, in essa la persona e la sua dignità è accolta, riconosciuta e difesa, in un’atmosfera di disponibilità disinteressata, di servizio generoso, di solidarietà profonda.

Questo complesso di valori non costituisce anche l’ethos di ogni vera società umana? E, dunque, il benessere etico della società dipende in larga misura dall’ethos che si instaura nella famiglia.

Ma la proporzione sopra enunciata ha anche un altro significato. Per varie ragioni, può accadere che ci sia una contraddizione, uno stridente contrasto fra l’esperienza di valori che la persona vive nella famiglia e l’esperienza di non-valori che vive nella società. In questa situazione c’è il fascino della tentazione di ritenere la famiglia come rifugio contro l’aridità e la spersonalizzazione sofferta nei rapporti sociali, di ritirarsi in essa. In realtà, in questa situazione, oggi frequente, l’esperienza coniugale-familiare deve essere vissuta come profezia di un sociale da riportare a misura d’uomo. Che significa? Il profeta è colui che ha percepito in una luce abbagliante una verità che lo ha interamente sconvolto; è colui che giudica la realtà in cui vive sul metro di questa verità; è colui che si impegna al massimo delle sue forze a riportare la realtà giudicata nella verità conosciuta. La famiglia è profezia della società. Chi vive nella santità l’amore coniugale e l’esperienza familiare percepisce la verità e la bellezza — unica, inimitabile – della comunione interpersonale; giudica tutte le esperienze sociali sul metro di quella verità e bellezza; si impegna perché esse siano presenti, prendano corpo in ogni rapporto sociale.

 

(b) Poiché l’aborto è la distruzione pura e semplice della società coniugale-familiare, la legislazione permissiva dell’aborto è la corruzione totale della società come tale. È l’inquinamento della sorgente stessa da cui scaturisce la società umana.

L’uccisione del concepito distrugge nella sua essenza stessa la comunità familiare. Essa, infatti, sottopone l’accoglienza della persona a criteri utilitaristici e o edonistici: la persona non è accolta sulla base pura e semplice della sua dignità di persona. Essa vale solo se e solo quando serve o non serve a qualcosa d’altro. È l’introduzione del criterio utilitaristico o edonistico al posto del criterio personalistico.

Questa corruzione totale sconvolge tutto l’assetto personalistico della società; ne corrompe cioè l’intima essenza umana. Una società in cui l’aborto è legalmente permesso non è una società umana: è solo la convergenza degli interessi dei più forti contro il bene dei più deboli.

 

Punto B 

 

La dottrina sociale non si limita a considerare matrimonio e famiglia in se stessi. Li considera anche in rapporto alle altre società. Anche l’insegnamento riguardante questo rapporto mi sembra che si riduca a due tesi fondamentali.

 

1. La famiglia è la prima e fondamentale scuola di umanizzazione della persona umana (a), che nessun’altra società deve normalmente sostituire (b), che ogni altra società deve aiutare (c)

 

1, 1. (Il significato della tesi)

Si potrebbe dire che questa tesi insegni l’architettura della socialità umana: come deve essere progettata la costruzione di un ordinato edificio sociale, nella giustizia dei rapporti fra le varie società concrete. La tesi si articola in tre parti:

(a) È necessario, in primo luogo, cogliere l’insegnamento della Chiesa sulla missione della famiglia. In ordine di tempo, l’ultimo documento magisteriale che ha affrontato lungamente questo tema è stato l’Esortazione Apostolica Familiaris consortio (22-11-81). Essa definisce la missione della famiglia in questi termini: «La famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore» (17 a). Questa missione si specifica — sempre secondo lo stesso documento — in quattro compiti: formazione di una comunità di persone; servizio alla vita; partecipazione allo sviluppo della società; partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa (cfr. 17 b). Penso che il quadruplice compito possa sinteticamente esprimersi dicendo che la missione della famiglia è di essere il luogo di umanizzazione della persona umana. Si noti che nel contesto delle nostre riflessioni, il rapporto famiglia-Chiesa non è direttamente trattato dalla dottrina sociale: il centro d’interesse di questa parte dell’insegnamento della Chiesa è piuttosto il rapporto famiglia-società civile-Stato.

Che cosa significa «umanizzazione dell’uomo»? Come è facile constatare, l’uomo, a diversità dagli animali, non nasce autosufficiente. Egli ha bisogno di essere educato: di essere cioè aiutato nel raggiungimento della pienezza del suo essere personale. In questo senso si può e si deve parlare di «umanizzazione dell’uomo». Il contenuto di quest’opera educativa è definito e determinato dalla realtà della persona umana che è corpo, psiche e spirito, in una profonda unità interiore. Realtà unita nella pluralità delle sue dimensioni; realtà pluridimensionale nell’unità del suo io personale. È educazione fisica, psicologica e spirituale in ordine alla edificazione di una personalità in se stessa unita.

Molti sono i soggetti che, direttamente o indirettamente, compiono quest’opera educativa. Ma nella dottrina sociale della Chiesa è costante l’affermazione che il primo di questi soggetti è e deve essere la famiglia. 

(b) Che cosa significa «il primo»? In senso negativo, questa priorità è sinonimo di insostituibilità. Nessun altro soggetto educante può e deve prendere il posto della famiglia, durante tutto il processo educativo. Normalmente possono, infatti, darsi situazioni di tale incapacità e inettitudine educativa della famiglia, da esigere che altri prendano il suo posto. Il diritto all’educazione è un diritto fondamentale della persona umana e deve comunque sempre essere salvaguardato.

(c) Che cosa significa «il primo»? In senso positivo, questa priorità significa che la famiglia deve essere aiutata nello svolgimento della sua missione fondamentale, creando le condizioni necessarie e sufficienti che ne assicurino l’adempimento.

 

1, 2. (Le ragioni della tesi)

La ragione fondamentale è quella visione personalistica di cui ho già parlato. Questa visione comporta che si consideri la persona come il fine della società. Da questa implicazione della visione personalistica deriva quel principio fondamentale della dottrina sociale noto come il principio di sussidiarietà. Quanto più una società è vicina alla persona, tanto più gode di una priorità di valore nei confronti delle altre società. Da questa priorità deriva che la società «seconda» non deve sostituirsi alla società «prima», ma deve essere di aiuto alla «prima».

Da tutto ciò che ho detto finora risulta chiaramente che in nessun’altra società l’uomo è cosi profondamente e direttamente coinvolto come nella famiglia.

 

1, 3. (Conseguenze della tesi)

Da questo principio architettonico, il Magistero della Chiesa ha dedotto molte conseguenze. Ne richiamo solo alcune.

(a) Quando intervengono altri soggetti educanti, essi hanno il grave dovere di svolgere il loro compito educativo non in contraddizione, ma in coerenza con le scelte educative, con il progetto educativo della famiglia. Sarebbe una grave ingiustizia, se di fatto i genitori fossero costretti ad affidare l’educazione a soggetti educanti che ignorassero o contraddicessero le loro scelte educative.

(b) La costruzione di una società a misura d’uomo e quindi di famiglia non può essere opera di singole famiglie. Essa comporta anche un intervento politico: «Le famiglie, cioè, devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia» (Es. Ap. Familiaris consortio, 44 b). E, a sua volta, un intervento di questo genere può essere compiuto solo da un soggetto pubblico. Di qui l’importanza di associazioni, sindacati delle famiglie che assicurino alle famiglie un compito di soggetti attivi della politica familiare.

(c) Anche se non esclusivamente, certo principalmente, tutta questa tesi trova la sua applicazione all’interno del rapporto famiglia-scuola. La scuola, infatti, nelle moderne società è divenuta il principale soggetto educante. 

 

2. L’aiuto che deve essere offerto alla famiglia riguarda sia il suo essere la prima società naturale sia il suo essere il primo soggetto educante

 

Questa ultima tesi non ha più bisogno di un commento cosi articolato come quelle precedenti. Tenendo conto di tutto ciò che finora si è detto, essa è piuttosto la conclusione necessaria e generale delle tre tesi precedenti. 

Il principio architettonico enunciato nella tesi precedente diventa inevitabilmente la legge fondamentale per regolare nella giustizia i rapporti concreti, quotidiani delle varie società in cui prende corpo la socialità della persona umana. È certamente impossibile descrivere compiutamente quei rapporti: troppo diverse sono le situazioni. E al riguardo, una conoscenza sociologica è sommamente utile, anzi necessaria. È, tuttavia, possibile, individuare le norme etiche che devono regolare quei rapporti, e che discendono dal principio architettonico enunciato nella terza tesi. Esse si possono ridurre a due.

 

2, 1. La famiglia e il matrimonio sono una comunione di amore.

Essi devono essere aiutati, in primo luogo, in questa loro intima essenza. Ora è ovvio che l’evento della comunione non può essere istituito se non dalla libera volontà delle persone. Ciò che leggi ed istituzioni umane possono e devono fare è la creazione di un contesto nel quale quell’evento non sia ostacolato, ma favorito. Qualche esemplificazione.

L’assenza di una casa degna di persone umane o l’estrema difficoltà di trovarne una, la costante incertezza del lavoro necessario per vivere, la necessità dei coniugi di vivere a lungo separati, l’assenza costante dei figli dalla casa, sono alcuni dei più seri ostacoli per la comunione coniugale, che ogni giusta politica familiare deve rimuovere.

 

2, 2. La famiglia è il primo soggetto educante.

È ovvio che la capacità educativa è una dote della persona, che la persona deve acquisire. Nessuna legge o istituzione umana può produrla nella persona. Tuttavia, leggi e istituzioni devono creare quell’ambiente nel quale la missione educativa della famiglia sia aiutata e non ostacolata. Qualche esemplificazione.

Deve essere salvaguardata una effettiva libertà di educazione, attraverso la graduale sostituzione di un sistema scolastico statale con un sistema scolastico libero. Non è sufficiente una libertà nelle istituzioni scolastiche; è necessaria una libertà delle istituzioni scolastiche.

I mezzi della comunicazione sociale sono oggi soggetti (dis)educanti fra i più potenti ed efficaci. È questo uno degli spazi nei quali associazioni, sindacati delle famiglie, devono essere più presenti.

 

Conclusione

 

La dottrina sociale della Chiesa sul matrimonio e la famiglia acquista oggi una particolare importanza ed esige oggi di essere attuata con una particolare urgenza. Per una duplice serie di considerazioni.

La prima. L’uomo è salvato quando si colloca, con la sua libertà obbediente, nell’ordine della Sapienza creatrice e redentrice di Dio. Fuori di quest’ordine, egli perde se stesso, inseguendo un progetto di umanità che è falso. Se questo è sempre vero, oggi lo scontro fra il progetto di Dio sull’uomo e l’anti-progetto umano è divenuto particolarmente violento. La crisi della indissolubilità coniugale, l’aborto, la progressiva privatizzazione dell’amore coniugale, sono i segni più impressionanti di un evento culturale più profondo.

La seconda. Quali sono gli elementi costitutivi di questo evento culturale? In sintesi, esso consiste nel tentativo satanico di costruire la città dell’uomo prescindendo completamente da Dio: senza Dio. Non si tratta della negazione puramente intellettuale dell’esistenza di Dio, ma del fatto che la libertà umana decide di costruire, di generare l’uomo sulla base di quella negazione.

Questo tentativo esige, come imprescindibile condizione di riuscita, quanto venne lucidamente descritto da F. Nietzsche nel suo «Così parlò Zarathustra»:

«Volontà — così si chiama ciò che libera e dispensa gioia: così v’insegnai, amici! Ma ora imparate questo: la volontà stessa è una prigioniera.

Il volere libera: ma come si chiama ciò che getta a sua volta in catene il liberatore?

“Fu”: così si chiama il digrignare dei denti della volontà e la mestizia più solitaria. Impotente contro ciò che è fatto — è un cattivo spettatore di tutto il passato.

La volontà non può volere sul suo passato: non poter infrangere il tempo e la brama del tempo, — ecco la più solitaria mestizia della volontà...

Che il tempo non torni indietro è il suo furore: «quello che fu» — così si chiama il masso che essa non può smuovere» (Parte seconda — La redenzione).

La condizione per l’anti-progetto è la cancellazione totale dell’esperienza, dalla coscienza umana, di una dipendenza, di una appartenenza da e a qualcosa d’altro che la propria libera decisione. In termini teologici: la cancellazione della verità della Creazione-Redenzione da parte di un Altro.

Ora, Novalis scrisse profondamente: «In questo mondo ci sono parecchi fiori di origine ultraterrena, i quali non prosperano in questo clima e sono veri e propri araldi, messaggeri di un’esistenza migliore. Tra questi messaggeri vanno annoverati anzitutto la religione e l’amore».

Infatti, l’intima essenza della religione come tale è l’esperienza, eminentemente spirituale, di vedere-acconsentire di dipendere radicalmente da un permanente atto creativo-redentivo di Dio. Il «sacramento primordiale» di questa dipendenza nell’essere è l’esperienza dell’amore. Da una parte, infatti, l’amore esclude ogni forma di dominio e, dall’altra, istituisce la più radicale appartenenza-dipendenza fra le persone create. Esso è — nella sua più pura essenza — un «fiore» che nasce altrove: da un terreno che non è più quello della relazione fra persone create («chi ama è generato da Dio»: san Giovanni). È un frammento visibile caduto da un universo invisibile. Ed è per questa ragione, alla fine, che la persona umana può essere generata solo da questo amore.

Se riflettiamo profondamente su tutto questo, vediamo che quell’anti-progetto di cui parlavo, può essere costruito solo sulle ceneri della comunità coniugale e familiare. Questa, infatti, dal punto di vista etico si definisce completamente come la sintesi dell’amore con la vita. Essa è il «sacramento primordiale» della creazione, come ha insegnato Giovanni Paolo II.

Del resto si ha un’impressionante conferma storica: ogni progetto totalitario ha sempre cercato di distruggere l’istituto familiare.

Il nostro impegno per la famiglia è l’impegno per l’uomo: per la sua salvezza eterna.