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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


SCUOLA DELLA FEDE (2)
Metti Gesù nella tua vita, e vivrai una vita vera
3
Peccato e redenzione
Seminario, 20 novembre 2013


Devo iniziare questa catechesi con un grande "MA" avversativo, grande come il Monte Bianco. In che senso?

La scorsa catechesi ci ha mostrato la nostra splendida regalità, MA guardando più in profondità in noi stessi, scopriamo che è una regalità decaduta. Perché? In che senso?

1. [Il peccato come male morale]. Sono sicuro che tutti ci ritroviamo nel detto di Ovidio: "video meliora proboque, et deteriora sequor [vedo il bene e lo approvo, e faccio il male]". Anche S. Paolo narra la stessa esperienza. "Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio faccio, ma quello che detesto" [Rom 7, 14].

Vediamo di analizzare accuratamente questo fatto, che accade spesso dentro di noi; semplifico un poco.

Nella catechesi scorsa abbiamo visto che la nostra ragione, soprattutto se illuminata dalla fede, conosce la verità circa il bene e il male. [Vedo il bene, dice Ovidio]. Pietro posto nel dilemma di tradire l’amicizia con Gesù o rischiare la vita, vede chiaramente quale è il bene e quale è il male. Lo vede, non perché c’è qualcuno che glielo insegna, ma è la sua ragione che glielo mostra e la sua coscienza che personalizza questa verità: "tu non devi tradire Gesù". Possiamo dire la stessa cosa anche nel modo seguente: è Pietro che si sente legato, ob-ligato non da un’autorità esterna; non da una consuetudine sociale; non per le eventuali conseguenze a cui andrebbe incontro. E’ legato, ob-ligato dalla verità che ha scoperto [proboque, dice Ovidio]. E’ la luce della verità che lo incatena.

Nella catechesi precedente abbiamo spiegato che questa esperienza; essere legati, ob-ligati, avviene in ciascuno di noi.

Pietro tradisce. La nostra libertà può rifiutarsi di mettere in atto il bene conosciuto colla ragione [deteriora sequor, dice Ovidio]. La nostra persona colla sua scelta libera nega ciò che colla sua ragione ha affermato. Si introduce nella persona una vera e propria divisione o spaccatura: non faccio ciò che interiormente vedo che devo fare; non confermo colla mia scelta la verità conosciuta circa il bene della mia persona. Sono autore e vittima. "Ma se c’è in me la verità – deve esplodere. Non posso rifiutarla, rifiuterei me stesso" [K. Wojtyla].

La scelta libera della persona, colla quale essa rifiuta la verità conosciuta circa il bene, ha un nome: è il peccato. E’ il male della persona come tale. Riflettiamo un momento su questo.

La malattia fisica o psichica è un male della persona; non "tocca" però la persona come tale, ma la persona come organismo vivente. E la persona può anzi fare buon uso della sua malattia.

Il male morale o peccato riguarda la persona come tale. Deturpa la persona come tale. E poiché la persona è ciò che esiste di più prezioso nell’universo, il male morale o peccato è il male più grande che esista. Non può esistere un male peggiore.

Sentite che cosa scrive il b. J.H. Newman: "Sarebbe meglio che il sole e la luna cadessero dal cielo…piuttosto che una sola anima, non dico, vada perduta, ma commetta un solo peccato veniale" [Apologia pro vita sua, ed. Paoline, 387].

Non vi sembri esagerata la cosa. Posso distruggere completamente l’affresco della Cappella Sistina, ma posso rovinarlo anche versandovi sopra un colore. La bellezza della persona umana è più preziosa di un affresco di Michelangelo. Deturparla è cosa più grave che deturpare una stupenda opera d’arte. E la deturpazione consiste, lo ripeto, nella decisione di negare con l’atto della scelta la verità che la persona riconosce come verità colla sua propria coscienza.

Prima di procedere, devo mettervi in guardia da un fatto sul quale purtroppo non possiamo riflettere come meriterebbe. Viviamo in una cultura che dispensa l’uomo dalla fatica, dal dramma della libertà. Questa dispensa prende soprattutto due forme.

La prima. La colpa, il male morale non trova la sua origine ultima in una decisione della volontà, ma nella società, nei condizionamenti sociali.

La seconda è più grave. Essa consiste nel pensare che coscienza, libertà siano fatti neurobiologici. E’ negata l’emergenza dell’uomo nella natura. Emergenza significa l’apparizione in natura di un essere, per il quale non si possiedono modelli che ci permettano di riprodurlo in base alle leggi fisico-chimiche: non è la stessa cosa costruire un robot e un uomo vivo.

Fate molta vigilanza colla vostra ragione. Non lasciatevi scacciare dal grande dramma della vita: il dramma della libertà.

2. [La redenzione dell’uomo]. Abbiamo detto che mediante i suoi atti la persona realizza se stessa. Da quanto abbiamo appena detto risulta che la persona può realizzarsi male. Qualcuno potrebbe dire: è il rischio della libertà. E questo è vero. Ma con questa costatazione il discorso non è chiuso. Anzi.

Una vita sbagliata è una vita priva di senso: non ha ragione, per esserci. Manzoni e Shakespeare hanno scritto al riguardo pagine straordinarie e famose. Che casa accade quando una persona prende coscienza di aver vissuto una vita falsa? Può forse – direbbe Nicodemo – rientrare nel seno di sua madre e riprendere da capo? Lasciamo per il momento in sospeso queste domande e andiamo ad una pagina del Vangelo: l’incontro di Gesù con una donna colta in flagrante adulterio. La legge di Mosè [e quella dei paesi islamici oggi] era chiara: doveva essere lapidata.

I nemici di Gesù sono scaltri. Lo mettono – pensano – in una situazione che ha solamente due vie d’uscita, e ambedue sono dal punto di vista di Gesù impercorribili: o proibisce la lapidazione ed allora Gesù nega la verità circa il male dell’adulterio; o afferma questa verità e quindi dice di lapidare la donna. Era, in fondo, la situazione in cui venne a trovarsi l’Innominato durante la famosa notte.

In realtà Gesù rivela e alla donna e ai suoi accusatori che esiste una terza via: il perdono. "Neppure io ti condanno; va e non peccare più".

Fermiamoci a riflettere sull’evento del perdono. Non è facile a capirsi perché è il fatto più divino che possa accadere su questa terra. S. Tommaso dice che è più grande dell’atto con cui Dio ha creato l’universo.

Cominciamo dal togliere alcuni antropomorfismi. Quando diciamo: "Dio perdona", non significa che Egli fa come se tu non avessi peccato; come se dicesse: "da questo momento in poi facciamo finta che tu non hai peccato".

"Dio perdona" non significa che Egli trova sempre delle scusanti per cui alla fine ti dice: "stai tranquillo, non hai fatto nulla di male". Gesù alla donna dice: "non peccare più". Non la scusa; non la consola.

Per cominciare ad entrare dentro al grande mistero del perdono, possiamo usare un esempio. Il medico di fronte all’ammalato non si limita a consolare, a dare calmanti, ma - per quanto possibile – toglie la malattia.

"Dio perdona" significa che Dio col suo atto che chiamiamo perdono, ri-crea la persona nel suo io più profondo, nella sua ragione, nella sua libertà. La persona è rinnovata. Questo atto di Dio implica un giudizio: "hai sbagliato: meriti di essere condannato [è questo che la S. Scrittura intende quando parla dell’ira di Dio]; ma Io non ti condanno, ma distruggo in te il male così che tu sei ri-creato, rimesso a nuovo, rinasci". Il perdono di Dio quindi implica un giudizio che però non è di natura retributiva [Dio ti dà ciò che meriti], ma di natura giustificativa [Dio ti rende giusto]. Questo è il cristianesimo!

La comunità cristiana si è spesso chiesta perché Dio si è fatto uomo. Riuscirete a fare vostra questa domanda, e quindi a riempire di stupore il vostro cuore di fronte al Dio–uomo, solo se avrete compreso e vissuto il dramma della prevaricazione della vostra libertà contro la verità; il dramma della prevaricazione contro la vostra persona. Allora capite veramente perché Dio si è fatto uomo: per ricostruire l’uomo; per redimerlo dal pericolo di perdere se stesso.

Ma è anche possibile un cammino interiore inverso. Solo guardando Dio fattosi uomo, comprenderete il dramma della vostra libertà; il rischio insito in essa; la potenza devastante di cui è la vostra persona in possesso, quando prevarica contro la verità. Comprendi questa tua condizione drammatica quando vedi che essa è stata condivisa da Dio stesso.

Chi ha rinunciato di fatto alla fatica di essere libero; chi ha permesso che lo derubassero della sua libertà, costui non comprenderà mai nulla del cristianesimo.

3. [La via del perdono]. Gesù quando perdona non prescinde dalla nostra libertà. Non ci perdona se non vogliamo essere perdonati.

Che cosa significa "voler essere perdonati"? Significa tre cose.

(a) Il riconoscimento del nostro peccato, del male compiuto. Non va dal medico chi ritiene di essere sano; non vuole essere perdonato chi ritiene di non avere nulla di cui farsi perdonare. Questo atto ha nel vocabolario cristiano un nome: dolore per il male commesso. La parola dolore non va intesa in senso emotivo, psichico. Significa il giudizio che diamo di noi stessi e dei nostri atti.

(b) Il riconoscimento genera inevitabilmente una decisione: la decisione di non commettere più gli atti che si riconoscono essere sbagliati. Questo atto ha nel vocabolario cristiano un nome: proposito.

(c) Non siamo degli angeli, cioè dei puri spiriti. I nostri atti coinvolgono sempre anche il nostro corpo e la nostra psiche. Atti interni esigono di prendere una forma esterna. Il riconoscimento di cui parlavo diventa "confessione" del male compiuto.

Per chiarezza didattica ho presentato questi tre atti: dolore – proposito - confessione in maniera molto semplice. Nella realtà, non raramente sono le tappe di un cammino lungo e faticoso. Pensate a S. Agostino: ha impegnato anni. E non è stato l’unico. Questo cammino è la conversione.

C’è una pagina di una grande filosofa spagnola che ci aiuta a capire il senso, la portata degli atti che costituiscono la conversione. "La vita ha bisogno di rivelarsi, di esprimersi: se la ragione si allontana troppo, la lascia sola, se assume i suoi caratteri, la soffoca. Si tratta di trovare il punto di contatto tra la vita e la verità" [cit. da Agostino, Confessioni, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2012, 43].

L’incontro fra Dio che in Gesù perdona e la persona umana convertita è il sacramento della confessione, o della riconciliazione.

Esso, vedete, è l’esaltazione della misericordia di Dio e della libertà dell’uomo. Papa Francesco ha raccontato che è stata una confessione a cambiare completamente il corso della sua vita.