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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


LA RILEVANZA EDUCATIVA DEI METODI NATURALI
Associazione Metodo Billings Emilia Romagna
16 gennaio 2005


La riflessione sulla dimensione educativa dei metodi naturali (da ora in poi MN) di controllo della fertilità umana affronta un tema centrale nella missione educativa della Chiesa oggi. In un senso molto preciso. Esso presuppone una visione della persona umana, una antropologia oggi largamente abbandonata dalla cultura in cui viviamo, e quindi tanto più bisognosa di essere ripresa, se si ha veramente a cuore il destino dell’uomo.

Non solo, ma questo tema presuppone una risposta articolata ad un problema centrale di dottrina e di prassi pedagogica: il rapporto fra affetti e ragione. Viviamo in un contesto in cui l’affettività è sempre più separata dalla ragionevolezza. È possibile educare ad un affettività ragionevole o ad una ragione affezionata? È domanda teorica e pratica. La grande risposta classica e cristiana è la seguente: è possibile e la realizzazione di una affezione ragionevole e di una ragione affezionata è la virtù. Questo stesso problema può essere affrontato dal versante del discorso sulla e dell’educazione alla libertà: libertà e spontaneità coincidono?

Infine, ma non dammeno, è necessario mostrare come i MN siano una via maestra per educare l’uomo a quella sintesi di affezione e ragione, che è esigita dalla verità e dal bene della persona umana.

Voi comprendete come non sia possibile nel poco tempo a disposizione affrontare in modo adeguato tutte queste problematiche. Mi limiterò ad una esposizione molto essenziale. La svolgerò in tre punti corrispondenti ai tre "nodi" di cui ho parlato poc’anzi.

Nel primo parlerò delle radici antropologiche della rilevanza educativa dei MN; nel secondo parlerò della castità coniugale come contenuto intero della rilevanza educativa dei MN; nel terzo darò alcuni orientamenti pratici perché la rilevanza educativa dei MN … funzioni.

  1. La radice antropologica

Ciò che rende l’uomo diverso essenzialmente da qualsiasi essere esistente è la sua appartenenza sia al mondo della materia sia al mondo dello spirito.

Nell’uomo la materia e lo spirito si congiungono in una unità profonda.

Da questa costituzione ontologica della persona umana deriva che il soggetto umano è dotato di un triplice dinamismo operativo: un dinamismo somatico, un dinamismo spirituale e un dinamismo intermedio che chiameremo d’ora in poi dinamismo psichico. Questi tre dinamismi sono essenzialmente distinti, essi cioè sono intenzionati ad oggetti formalmente distinti; tendono alla realtà da punti di vista diversi.

Infatti, è proprio del dinamismo spirituale, sia quello intellettivo sia quello volitivo, tendere alla realtà in se stessa, non in quanto essa è utile o piacevole per chi agisce. È proprio invece del dinamismo somatico tendere alla realtà in quanto questa in qualche modo serve al soggetto.

È utile richiamare, per spiegarmi meglio, la differenza sottolineata da una pensatore del secolo scorso, Max Scheler, la differenza fra "ambiente" (Umwelt) e "mondo" (Welt) in cui l’uomo vive.

L’ambiente è ciò da cui io traggo profitto, ciò che può giovarmi o nuocermi, ciò che mi è utile o da cui debbo difendermi; è, se così possiamo dire, la cosa per me, il "me" dei bisogni, per esempio, somatici: il vivere, il nutrirmi, il difendermi dai pericoli e così via. Il mondo invece è la cosa in se stessa.

Le medesime cose possono essere allora apprese come ambiente o come mondo. Sono apprese come ambiente quando sono apprese appunto come utili / nocive. Sono apprese come mondo quando sono conosciute e volute per quello che sono.

Voi vedete che è abbastanza facile determinare la distinzione fra i dinamismi somatici e i dinamismi spirituali. Più difficile invece diventa intuire la vera natura del dinamismo psichico, vera cerniera fra i due predetti dinamismi. Ed infatti, anche nella terminologia cristiana, si parla di "passiones corporis" ma anche di "passiones animae".

È sufficiente per ora dire che il dinamismo psichico, se per un verso non è così legato al corpo da non sporgere per nulla sopra di esso, per un altro non è così interno al mondo dello spirito da non partecipare anche a quello della materia.

Questa distinzione fra i tre dinamismi, che deve essere affermata senza ridurre nessuno dei tre agli altri due, non deve però farci dimenticare o oscurare in noi la verità dell’unità della persona umana, cioè del soggetto di questi tre dinamismi. Una verità questa che precede, non cronologicamente ovviamente, quella distinzione.

Ora, che cosa significa unità del soggetto umano, unità della persona umana?

Significa in primo luogo che la persona umana è un soggetto in cui la soggettività non si riduce a questi dinamismi, come se la persona umana fosse il risultato della somma di questi, ma li trascende.

L’unità del soggetto significa in secondo luogo che questa trascendente soggettività dell’uomo è costituita dallo spirito. L’uomo deve il suo essere soggetto, il suo essere persona, dunque il suo essere trascendente su questi dinamismi, al suo spirito.

Significa ancora, in terzo luogo, che questi tre dinamismi non sono propriamente parlando principi di operazione, ma facoltà attraverso le quali il soggetto, la persona agisce. Sono tentato a questo punto di usare la formula tecnica; non sono, direbbero gli scolastici, principia quae (principi di operazione), ma principia quibus, sono cioè facoltà mediante le quali la persona, il soggetto agisce: sono appunto facoltà del soggetto. Distinzione allora, fra i tre dinamismi e unità del soggetto.

Così abbiamo individuato i due poli da cui si scatena, se così si può dire, la tensione che è propria dell’agire della persona umana. Il polo della distinzione dei suoi dinamismi operativi e il polo dell’unità che abbiamo detto significa trascendenza, spiritualità, dominio del soggetto che agisce.

In questa tensione si colloca il compito etico dell’uomo che chiameremo da questo momento in poi il compito della integrazione della persona umana.

Il concetto di integrazione della persona umana deve essere rigorosamente definito perché vedremo è il concetto fondamentale della mia relazione.

L’integrum, una realtà integra, è una totalità non semplice ma composta da varie parti, le parti integrali o integranti. Ma questo, cioè la molteplicità delle parti, è solo un elemento; il secondo e più importante è che le parti integranti costituiscono una unità, una unità non semplice (sono varie le parti), ma che nasce dal rapporto ordinato delle varie parti medesime. Un mucchio di pietre non è un integrum. Un edificio invece è un integrum; non perché un edificio distrugga la molteplicità delle pietre, ma perché le ordina in un complesso unitario e progettato.

Vorrei dirvi subito allora che il concetto di totalità integrata è necessariamente connesso con quello di ordine; concetto di ordine che esigerebbe una lunga meditazione metafisica per esse definito e non è facile. Però qui per noi è sufficiente dire che, seguendo l’ispirazione agostiniana, ordine significa la riduzione della molteplicità a unità e, reciprocamente, il dispiegarsi dell’unità nella molteplicità. L’ordine, allora, suppone, implica e mette in atto una gerarchia, una gerarchia oggettiva di essere e quindi anche una gerarchia di valori.

Possiamo pertanto definire il concetto di integrum in questo modo: l’integrum è una totalità unificata che esiste in una molteplicità di parti gerarchicamente ordinata. L’integrazione è precisamente quel processo attraverso il quale questa totalità di varie parti viene unificata, viene ordinata.

Prendiamo l’esempio che ho fatto dell’edificio: l’integrazione corrisponde alla costruzione dell’edificio, mediante la quale le varie parti vengono condotte ad unità secondo un progetto, cioè secondo un ordine. Per cui, allora, il problema etico dell’integrazione della persona è il problema della unificazione dei tre dinamismi operativi umani nel soggetto personale, secondo un ordine oggettivo, secondo una gerarchia.

Fino ad ora ci siamo mossi sul piano di una semplice fenomenologia dell’agire umano, cioè in fondo abbiamo semplicemente cercato di fare attenzione a ciò che succede nella persona umana quando questa agisce. La luce della fede, tuttavia, introduce il nostro sguardo in una profondità insospettata.

E qui ritroviamo un tema classico dell’antropologia teologica, ove pure si parla di integritas, anzi si dice che una delle caratteristiche fondamentali in cui si trovava l’uomo nello stato di giustizia originaria era precisamente l’integrità. Con questo che cosa si voleva dire? Si voleva dire che, dato questo stato di giustizia originaria, la persona umana viveva quella totalità unificata di cui parlavo prima.

La stessa antropologia teologica ci dice che una conseguenza della caduta della persona umana dalla giustizia originaria fu la disintegrazione della persona umana stessa, o, per usare un termine più tradizionale dell’antropologia teologica, fu la concupiscenza.

Per cui allora l’integrità significa quello stato o modo di essere nel quale la persona umana esisteva ordinata, o meglio la persona umana esisteva nell’ordine, internamente unificata poiché era in un giusto rapporto con Dio (la giustizia). La concupiscenza invece è il disordine della persona in forza della quale essa non è più un soggetto che trascende e domina i suoi dinamismi. Questo stato, questo modo di essere; il modo di essere concupiscente, cioè di essere disintegrato; non è peccato in se stesso, però è la conseguenza del peccato e capite anche immediatamente che è la sorgente del peccato, ciò che conduce la libertà dell’uomo alle scelte peccaminose.

Concludo questo primo punto che tendeva a porre la radice antropologica della virtù della castità. Non abbiamo ancora parlato della virtù della castità; abbiamo parlato della sua radice antropologica, che appartiene ad un duplice ordine, ad un duplice piano.

Sul piano della ontologia umana risiede nella costituzione stessa della persona umana, persona umana che è una nella molteplicità dei suoi dinamismi operativi e pertanto è chiamata al compito dell’integrazione.

Sul piano della storia della persona umana, la radice risiede nello stato della concupiscenza in cui versa la persona umana, ed è uno stato in cui quell’unità nella molteplicità è stata perduta: è stata perduta la condizione ultima che la rendeva possibile, cioè la giustizia verso Dio, rendendo così la persona umana bisognosa di redenzione.

2) La castità coniugale

Le riflessioni antropologiche precedenti costituiscono, a mio giudizio, una necessaria introduzione alla riflessione etica sulla castità coniugale.

Partiamo dalla considerazione più semplice dicendo che la castità in genere fa riferimento ad un dinamismo umano, al dinamismo sessuale. Anche ad una analisi superficiale appare subito che questo dinamismo, quello sessuale, si struttura in quella triplice dimensione di cui abbiamo già parlato nel punto precedente. La sessualità umana ha essenzialmente una dimensione fisica, ha essenzialmente una dimensione psichica, ha essenzialmente una dimensione spirituale.

Fin dall’inizio dobbiamo evitare però un equivoco in cui cadono alcuni filoni della cultura attuale: l’equivoco di considerare non umana la prima di queste tre dimensioni riducendo l’humanitas della sessualità della persona umana solo alle ultime due, cioè a quella psicologica e a quella spirituale. In realtà, dal punto di vista ontologico, noi abbiamo parlato di una unità della persona umana. La conseguenza è che tutto ciò che costituisce la persona umana è umano.

Anche se, per un’ipotesi di comodo metodologico, il biologo, poniamo, stacca la dimensione biologica o fisica della sessualità umana da quell'integrum che è la persona umana, si tratta di un’ipotesi di ordine metodologico.

È un errore grave passare da un punto di vista metodologico ad una negazione ontologica. Mi spiego: una cosa è che per comodo di studio si dica "considero in questo momento la sessualità umana solo da un punto di vista biologico", per una ragione proprio di metodo; altra cosa è che io passi, senza accorgermene, da questa premessa metodologica ad una negazione ontologica dicendo "questa dimensione non è una realtà umana" con tutte le conseguenze sul piano etico. Poiché, se nella sua realtà biologica, la sessualità umana non è propriamente umana, allora nei confronti di essa mi posso comportare come mi comporto nei confronti della realtà non umana. Ma ritornerò su questo punto. È un aspetto molto importante.

Ciò premesso, anche nel campo della sessualità umana ci troviamo in un campo di forze che si crea fra quei due poli di cui abbiamo già parlato nel paragrafo precedente, il polo della molteplicità (dinamismo fisico, dinamismo psichico, dinamismo spirituale) e il polo dell’unità (è la persona umana che è soggetto di questo triplice dinamismo).

Cominciamo col descrivere il primo di questi poli, cioè la molteplicità, i tre dinamismi, le tre dimensioni, meglio, della sessualità umana.

La dimensione fisica del dinamismo sessuale umano non esige ora di essere spiegata. Di quella psichica diciamo solo che si eleva sopra a quella somatica in quanto essa consiste in una reciproca attrazione non più solo fisica fra l’uomo e la donna, ma fondata su un fascino reciproco fra femminilità e mascolinità, intese non solo biologicamente.

La dimensione spirituale del dinamismo sessuale invece si caratterizza per il fatto che esso istituisce fra l’uomo e la donna un rapporto personale, un rapporto da persona a persona; un rapporto nel quale la persona dell’altro è voluta in se stessa e per se stessa, semplicemente per la dignità di questa persona, dignità che le fa meritare di essere voluta in questo modo, nella sua preziosità assolutamente singolare. Come non ricordare a questo punto un momento del dialogo fra Giulietta e Romeo, nella omonima tragedia di Shakesperare. Giulietta dice: "Tu non sei più neanche un Capuleti, togliti anche questo nome; tu sei te stesso".

Anche l’appartenenza ad una famiglia, anche questo è trasceso; è la persona nella sua irripetibile, nella sua singolare preziosità che entra in rapporto quando è la dimensione spirituale della sessualità umana che è messa in atto.

Questi tre dinamismi interagiscono e si incrociano nella loro messa in atto. Questa reciproca interazione, questo reciproco incrociarsi, pone precisamente il problema etico della castità.

Ritorniamo a quel concetto che vi dicevo fondamentale, il concetto di integrum.

In che cosa precisamente consiste la virtù della castità in generale e in particolare la virtù della castità coniugale? La virtù della castità è la virtù che opera l’unificazione o meglio l’integrazione fra i dinamismi spirituali, psichici e somatici della persona nella sua mascolinità e rispettivamente nella sua femminilità.

La virtù della castità coniugale è la virtù che opera la integrazione di questi tre dinamismi in quanto essi entrano in azione nella comunione coniugale e per la comunione coniugale. Ancora più precisamente, in che cosa consiste questa unificazione o meglio questa integrazione operata dalla castità coniugale fra i tre dinamismi in cui consiste la sessualità umana? Il corpo umano da un punto di vista diciamo ontologico è umano perché ciò che lo fa essere è lo spirito: il corpo umano è un corpo personale così come la persona umana è una persona corporale. Si deve perciò parlare della personalità del corpo e di corporeità della persona umana.

Questa è la struttura ontologica della persona umana nella sua unità profonda. Questa unità è messa in atto nel campo della sessualità umana precisamente dalla virtù della castità.

Domandiamoci ora quali sono le condizioni fondamentali che consentono l’integrazione di queste tre dimensioni proprie della sessualità umana e quindi che consentono un modo di essere casto nel matrimonio.

Ho parlato nel primo punto di una trascendenza del soggetto umano nei confronti dei suoi dinamismi. Questa trascendenza fonda un dominio della persona su questi dinamismi; la persona cioè è ontologicamente capace di dominare questi tre dinamismi in forza della sua stessa trascendenza.

La prima fondamentale condizione è quindi questa: l’autodominio di cui la persona umana è in possesso per il solo e semplice fatto che essa è anche essenzialmente spirito.

Ma questa condizione non è sufficiente perché si realizzi la castità coniugale: è necessaria, non sufficiente. Vi ho detto che il dinamismo spirituale della sessualità umana si caratterizza per il fatto che esso riconosce la persona dell’altro in quanto persona, vuole l’altro nella sua singolare preziosità personale, vuole cioè il bene dell’altro in quanto è il bene dell’altro.

La seconda condizione fondamentale perché si abbia una castità coniugale, e quindi una integrazione di questi dinamismi, è che alla base ci sia questa decisione di amore vero. Non è possibile cioè la castità coniugale senza un amore coniugale. In fondo è la carità coniugale che genera la castità coniugale.

A questo punto ancora una volta l’etica teologica porta a compimento questi, chiamiamoli così, frammenti di etica filosofica, queste prime intuizioni dell’etica filosofica. Infatti la teologia del matrimonio ci dice precisamente che la grazia specifica del Sacramento del matrimonio è precisamente la charitas coniugalis, vale a dire la capacità che viene donata agli sposi di amarsi, di amarsi nella verità, cioè di volere il bene l’uno dell’altro in quanto è il bene dell’altro: è precisamente la virtù teologale della carità che rende la persona umana capace di quella integrazione fra i tre dinamismi fondamentali in cui si struttura la sessualità umana.

E qui noi possiamo recuperare un tema che è tradizionale nella teologia del matrimonio e che anche per certi obiettivi eccessi e mancanza di armonia di sistema teologico è stato indebitamente taciuto. È il tema famoso del remedium concupiscentiae. C’è una verità in questa tematica della tradizione cattolica sul matrimonio.

Qual è la verità profonda e permanente del matrimonio come remedium concupiscentiae?

Il matrimonio è remedium concupiscentiae in quanto la carità coniugale, frutto del Sacramento, rende l’uomo e la donna capaci di operare quell’integrazione fra i tre dinamismi che precisamente a causa della concupiscenza l’uomo e la donna senza la grazia redentiva di Cristo, non sarebbero più in grado di compiere.

In fondo, la concupiscenza in che cosa consiste? Consiste nel ridurre il dinamismo di grado superiore a quelli di grado inferiore. La disintegrazione è questo. Non vedo più l’altro o l’altra come persone a cui ci si dona (il dinamismo spirituale che integra gli altri due), ma vedo l’altro come oggetto di uso (ecco la concupiscenza) L’integrazione fa uscire da questo stato di concupiscenza; uscita che non è possibile senza la carità, frutto della grazia del Sacramento. Esso pertanto è anche remedium cuncupiscentiae, cioè libera il cuore dell’uomo e della donna da questa riduzione a cui hanno costretto la loro sessualità, la verità della loro femminilità e della loro mascolinità.

Ma questo non è sufficiente ancora. C’è una tesi molto profonda e per me anche molto bella; si trova in S. Paolo ma viene soprattutto sviluppata da S. Agostino e ripresa da S. Tommaso. La tesi è questa: ciò che caratterizza l’etica cristiana, la specifica come cristiana, è il dono che è fatto al credente dello Spirito Santo. Questo è ciò che definisce nella sua specifica originalità l’etica cristiana. Riaffermiamo una cosa che abbiamo già detto: non è possibile nessuna integrazione, nessuna castità coniugale fino a quando non si istituisce un rapporto fra persone. Ma questo non è possibile nell’attuale stato in cui versa l’uomo e la donna senza la carità coniugale frutto dell’atto redentivo di Cristo, perché questo è l’amore, il vedere l’altro come persona, nella sua preziosità personale. Questa visione della persona nella sua mascolinità e nella sua femminilità, questa sorta di istinto spirituale, in forza del quale quando mi incontro con una persona, sento in me questo atteggiamento di somma riverenza e ciò che lo Spirito Santo infonde nella persona dei coniugi. Considerate il cammino dal basso verso l’alto. La castità opera l’integrazione fra i tre dinamismi. Questa integrazione in cui consiste la castità coniugale è generata, è resa possibile dalla carità coniugale frutto dell’atto redentivo di Cristo che agisce attraverso il Sacramento.

La carità coniugale che mi spinge ad amare l’altro come è, mossa come per una sorta di istinto spirituale dallo Spirito Santo che è presente nel giustificato e che con i suoi doni mette in atto questo atteggiamento profondo che è l’amore coniugale vero.

Il brano del capitolo 5 della lettera agli Efesini sul matrimonio comincia con questo versetto: rivolgendosi ai coniugi S. Paolo dice: "siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo".

In fondo il timore è il timore nella sua accezione più alta, è l’atteggiamento di chi sa che ha a che fare con una cosa di preziosità unica e ha paura di perderla.

Se voi prendete fra le mani un cristallo preziosissimo e vi fanno camminare su una scala molto scivolosa si prova questo "timore" di rovinare qualcosa di prezioso. "Siate sottomessi nel timore di Cristo gli uni agli altri": l’uno si trova di fronte all’altro come ad un valore assolutamente unico, ha timore di rovinare la preziosità con la quale ha a che fare. Questa paura, questo timore di Dio è precisamente il dono dello Spirito Santo che mette in atto la carità coniugale che a sua volta genera la castità coniugale.

3. Unità della persona, castità coniugale e MN.

In questo terzo punto della mia riflessione cercherò di rispondere alla seguente domanda: la pratica del controllo della fertilità umana mediante il ricorso ai MN guida la persona alla sintesi di affezione e ragione (= virtù della castità), alla quale (sintesi) la persona medesima possa realizzarsi veramente? Rispondo a questa domanda proponendovi telegraficamente due piste di riflessione.

La prima. Penso che una delle affermazioni più importanti nella visione cristiana dell’uomo sia che la persona umana si realizza veramente e pienamente nel dono autentico di se stessa: non nel "prestito" di sé agli altri, ma nel "dono".

Esiste una condizione assolutamente necessaria perché il dono sia possibile: l’auto-possesso. Nessuno può donare ciò che non possiede. Orbene, da una parte la persona, in forza del suo essere persona è di se stessa, non di altri. Non è attributo di nessun altro soggetto che non sia se stessa. Ma questo auto-possesso quanto all’essere deve poi tradursi anche a livello operativo: chi è in sé, deve agire da sé. E questa è la definizione di libertà. è mediante la libertà che la persona possiede operativamente se stessa: non è di altri, in senso completo.

Attraverso la pratica dei MN la persona viene educata alla libertà sia nel senso che non la riduce a mera spontaneità sia nel senso che la vive come risposta alla verità sul bene. Certamente, i MN riguardano una dimensione della persona, ma attraverso essa è tutta la persona che ne è resa libera.

La seconda. La libertà è capacità di auto-donazione. L’auto-possesso è in ordine al dono di sé, cioè all’amore vero. Attraverso la pratica dei MN la persona viene educata all’amore. Per una duplice ragione, almeno.

La persona è educata ad uno sguardo vero sull’altro: a guardare l’altro nella sua verità. I MN educano cioè all’amore in quanto fanno conoscere la verità della persona.

La persona è educata ad una venerazione, un rispetto dell’altro. Venerazione, rispetto significa che si ha la percezione di una indisponibilità della persona al proprio desiderio. La venerazione impedisce di confondere ciò che è assolutamente buono con ciò che è desiderabile. I MN educano cioè all’amore in quanto educano alla venerazione dell’altro.

Concludo con una semplice riflessione. Niente l’uomo presume di sapere maggiormente che la verità sull’amore; niente l’uomo ignora maggiormente che la verità sull’amore. Dio stesso è venuto ad insegnare questa verità e a donare all’uomo la capacità di realizzarla. Il vostro impegno si inscrive in questo disegno provvidenziale di Dio: educare la persona a volere la verità dell’amore.