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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


«Santità e apostolato sociale in Giuseppe Fanin»
San Giovanni in Persiceto, 1 novembre 2008


Quando il Signore dona alla Chiesa uomini come il servo di Dio Giuseppe Fanin, non lo fa perché si scrivano libri su di lui, ma in primo luogo perché la sua testimonianza sia custodita dalla coscienza della Chiesa, e diventi sorgente permanente di riflessione e di impegno.

Cercherò di rispondere a due domande molto semplici: chi era G. Fanin? Che cosa dice a noi oggi G. Fanin?

1. Chi era G. Fanin.

Non è mia intenzione penetrare nel cammino interiore del suo spirito verso la santità cristiana; percorrere il suo itinerario dentro al Mistero cristiano. Ciò esigerebbe una lettura ed uno studio molto accurato dei documenti e scritti da lui lasciati, e delle testimonianze che costituiscono la positio. La mia risposta alla prima domanda sarà più semplice.

È necessario richiamare, in via preliminare, le condizioni storiche in cui visse la sua breve esistenza.

Fu uno dei momenti più drammatici nella storia della nostra nazione, in quanto era necessario rifondare il patto sociale della nostra convivenza. Rifondazione che esigeva certamente una nuova Carta costituzionale, ma che soprattutto doveva essere scritta nel cuore del nostro popolo.

Se all’interno dell’Assemblea costituente si era giunti ad una sintesi fra le principali forze e movimenti che interpretavano e gestivano la fatica del passaggio ad un nuovo capitolo della nostra storia, una vera unità o quantomeno composizione sociale nella vita del nostro popolo era tutt’altro che raggiunta. Il numero elevato di assassinii di natura politica compiuti anche nella nostra regione stanno a dimostrare la tragica lacerazione del tessuto sociale. L’avere costruita un’unità nazionale contro la religione del nostro popolo, che fu l’impresa risorgimentale, continuava purtroppo a dare i suoi frutti. G. Fanin vive dentro a questo contesto. Come? Come vi operò?

Una cosa mi ha sempre colpito nei dialoghi che ho potuto avere in questi anni con persone che lo avevano conosciuto molto profondamente: il suo spirito di preghiera. Fu un uomo dalla profonda vita di orazione. Secondo quella spiritualità solida e semplice, che ha caratterizzato quella grande generazione: una profonda devozione mariana [la pratica del Rosario era quotidiana]; una grande fedeltà ai sacramenti della fede [Confessione ed Eucaristia]; la pratica annuale degli Esercizi spirituali secondo il metodo ignaziano; una sincera ed affettuosa devozione al Papa. È questa spiritualità che ha nutrito uomini e donne nel loro quotidiano, faticoso e non raramente pericoloso cristianesimo.

Ma G. Fanin visse il momento storico così drammatico come laico cristiano. La sua spiritualità, che ho appena richiamato per sommi capi, non lo portava fuori dal mondo, in vacue evasioni spiritualistiche. Al contrario. Egli era pienamente consapevole che la sfida che la nuova stagione rivolgeva ai cristiani, doveva essere raccolta in primo luogo dai laici cristiani.

Consapevolezza dell’epoca storica e risposta cristiana ai nuovi problemi sono le dimensioni essenziali che definiscono la laicità cristiana di G. Fanin. Di qui la sua tensione ad una preparazione rigorosa anche scientifica attraverso gli studi di agraria, unita al concreto impegno di elaborare programmi sociali per rinnovare secondo la dottrina sociale della Chiesa quel mondo agrario cui il Servo di Dio si sentiva più legato.

La sua morte dunque non fu che il capolinea logico del percorso di un cristiano per il quale la fede era chiamata a rigenerare l’humanum, più precisamente a ridare piena dignità al lavoro dell’uomo. Ho detto "logico capolinea" nel senso evangelico quale traspare dalla parola di Pietro: "Carissimi, non siate sorpresi per l’incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano … Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome" [1Pt 4,12.16].

Il Servo di Dio G. Fanin è una delle pietre immacolate con cui il Signore ha costruito l’edificio delle nostre comunità cristiane nella nostra Regione. Con lui penso ai tanti nostri sacerdoti uccisi da un odio insensato e cieco. Non perdiamo la loro memoria. Essi sono le vittime di un disegno insano che pensava di edificare una società di uguali mediante l’uccisione di innocenti.

E se a noi sono stati risparmiati anni di disumana devastazione della dignità dell’uomo, come non avvenne in altri paesi dell’Europa dell’Est, ciò fu dovuto, secondo una visione di fede, anche al sacrificio di queste vittime innocenti. Non siamone eredi immemori.

2. Che cosa dice a noi oggi G. Fanin.

Dobbiamo custodire la memoria del Servo di Dio come ispiratrice di una grande pensare cristiano e di un instancabile servizio all’uomo. Che cosa dice a noi oggi?

Certamente le condizioni storiche sono profondamente mutate, tuttavia la testimonianza di G. Fanin rimane di grande attualità.

Egli ci ricorda e ci suggerisce il modo giusto per un cristiano di essere dentro alla società. Ed è in questo che consiste la vocazione propria del fedele laico.

"Essere dentro la società". Certamente il fedele laico non può non esserci, a causa della sua vita familiare e del suo lavoro e non raramente di impegni civili. Ma il problema è di esservi come cristiani; di non lasciarsi vincere dall’insidia di separare l’esperienza della fede dall’esperienza umana; di separare ciò che si celebra alla domenica da ciò che si vive il lunedì. Circa questa unità il messaggio che giunge a noi dal Servo di Dio è limpido: è a causa di questa unità che è stato ucciso.

Come si assicura e su che cosa si fonda l’unità fra il credere ed il vivere nel fedele laico? Vorrei chiarire subito che non sto facendo un discorso principalmente morale di coerenza fra come si vive e la fede che professiamo. Sto parlando della necessità per il fedele laico di possedere una capacità di giudizio, ispirato dalla fede, circa la condizione umana.

Mi spiego meglio richiamando alla vostra memoria un testo paolino: "Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore" [Ef 4,14].

La solidità della presenza del laico cristiano nella società dipende in larga misura dal fatto che egli non si lascia portare qua e là dalle mode culturali del tempo e da chi produce il consenso sociale, ma al contrario possiede una robusta capacità di interpretare e giudicare ciò che accade alla luce del Vangelo.

Siamo giunti ormai in un situazione nella quale, se il cristiano non è vigilante, viene per così dire svuotato del suo modo proprio di pensare. La formazione culturale oggi è una questione di vita o di morte per la presenza cristiana nella società. O la presenza cristiana possiede una vera e grande dignità culturale o diventa insignificante. Anche da questo punto di vista la testimonianza del Servo di Dio è esemplare.

Per "dignità culturale" non intendo che bisogna leggere molti libri. La cultura è il modo di stare al mondo: il modo di sposarsi, di lavorare, di edificare la comunità civile, di soffrire, di morire. La fede che non diventa, o meglio che non genera cultura non è viva.

Come raggiungere questo scopo? Il Servo di Dio ci suggerisce la risposta.

Il fedele laico deve radicarsi in una profonda esperienza di preghiera, ed entrare dentro alla Sapienza divina rivelataci dalla sua Parola. In fondo, la Chiesa colla sua Liturgia, colla sua predicazione, col metterci nelle mani le Sacre Scritture, a che cosa mira? In primo luogo a che noi assimiliamo il pensiero di Cristo, ed abbandoniamo il nostro modo di vedere le cose. Il discepolo del Signore è l’uomo che vive la sua esistenza non più in se stesso, ma in Cristo [cfr Gal 2,20; Rom 6,1-11]. Pensare come Cristo, pensare con il pensiero di Cristo: questo è ciò che ci impedisce di essere "sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina". A tale scopo dobbiamo leggere la S. Scrittura nella quale il pensiero di Cristo diventa Parola: attraverso le parole scritte giungere alla Parola, cioè al Logos, al Pensiero. La pratica degli Esercizi spirituali, cui il Servo di Dio era fedele, era il mezzo per questa conversione di mentalità.

In secondo luogo, ma non dammeno e di conseguenza la via fondamentale per avere il pensiero di Cristo è di radicarci dentro veramente, affettivamente, nella Chiesa; è la fedeltà al Magistero della Chiesa. Il legame molto profondo al Papa caratterizza la figura del Servo di Dio, così come tutta la sua generazione di credenti.

In sostanza, che cosa dice a noi oggi la testimonianza di G. Fanin? Dice che il Signore ci chiama a rigenerare in Lui la persona umana, secondo il suo pensiero.

Tutto questo si può esprimere con una sola parola ed una sola categoria: educare la persona in Cristo. Se la celebrazione della memoria del Servo di Dio G. Fanin ci aiutasse ancora una volta a prender coscienza che l’esperienza della fede diventa vita – del singolo e del popolo – principalmente mediante l’educazione, e che quindi l’educazione è la prima urgenza, non solo non avremmo fatto invano questa celebrazione, ma il sacrificio del Servo di Dio non sarebbe stato vano.

Conclusione

Mi piace concludere con un testo poetico di K. Wojtyla nel quale medita sul martirio di S. Stanislao, ucciso mentre celebrava l’Eucaristia dal re Boleslao.

«Se la Parola non ha convertito, sarà il Sangue a convertire
- forse al Vescovo mancò il tempo di pensare:
allontana da me questo calice.
Sulla zolla della nostra libertà cade la spada.
Sulla zolla della nostra libertà cade il sangue.
Quale avrà più peso?
Il primo secolo volge alla fine
e comincia il secondo,
mettiamo mano al DISEGNO di un tempo ineluttabile»
[in Tutte le opere letterarie, Bompiani, Milano 2001, pag. 241].

Anche sulla zolla della nostra terra emiliana cadde in quei tragici anni la spada, ma anche il sangue di martiri. Noi questa sera desideriamo e vogliamo ancora una volta che abbia più peso il sangue: e metteremo "mano al DISEGNO di un tempo ineluttabile".