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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


INCONTRO CONSIGLI PASTORALI PARROCCHIALI
Cattedrale, 30 ottobre 2005


Carissimi amici, vi ringrazio di essere venuti a questo incontro. Riprendiamo una saggia tradizione, quella dell’incontro annuale dei Consigli pastorali con l’Arcivescovo.

1. Voglio iniziare il mio dialogo con voi riflettendo sulla bellezza, sulla gioia di appartenere alla Chiesa, di essere nella Chiesa, anzi di essere la Chiesa. È nell’appartenenza alla Chiesa che si compie il destino umano. Perché? Che cosa significa "appartenere alla, essere Chiesa"?

Significa essere in comunione con Cristo e quindi fra di noi in Cristo. Come voi sapete, il Signore per rivelarci i suoi pensieri in modo comprensibile a noi sue creature ricorre ad immagini desunte dal nostro mondo. Ebbene tutte le immagini di cui il Signore di serve nella S. Scrittura per farci comprendere il mistero della Chiesa, pongono in luce la realtà della stessa, dunque la nostra realtà di discepoli di Cristo, nella sua inscindibile dimensione di comunione dei cristiani con Cristo e di comunione dei cristiani fra loro. Proviamo a ricordarle brevemente [cfr. Lumen gentium 6; EV 1/ 291-295].

Tutti voi ricordate la pagina del Vangelo di Giovanni [10,1-15] in cui Gesù parla di un gregge, di un ovile, di un pastore. È la sua Chiesa; siamo noi: Gesù parla di noi. Siamo guidati e nutriti da Cristo stesso.

C’è un’immagine anche più suggestiva: l’immagine della vite e dei tralci [cfr. Gv 15,1-5]. Noi siamo vivificati dalla stessa vita di Cristo e la Chiesa è questa vite, il ceppo è Gesù e i tralci siamo noi. In Lui siamo capaci di portare frutti.

Domenica scorsa abbiamo celebrato l’anniversario della dedicazione della nostra Cattedrale. Quella celebrazione ci ha ricordato che noi-Chiesa siamo come un edificio, costruito da Dio stesso. Esiste la roccia che dona solidità, è Cristo; le fondamenta che sono gli Apostoli e poi le pietre che compongono l’edificio: siamo noi. Vedete bene come questa immagine dà un senso di solidità, di composizione armonica, di connessione reciproca. Legata a questa immagine è l’immagine che noi –Chiesa siamo la dimora di Dio, il suo tempio.

Ma è soprattutto l’immagine del corpo che ci aiuta a capire profondamente il nostro essere-Chiesa [cfr. Lumen gentium 7; EV 1/296 ss]. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica – Compendio alla domanda (156) "In che modo la Chiesa è corpo di Cristo?", risponde: "Per mezzo dello Spirito Santo Cristo morto e risorto unisce a sé intimamente i suoi fedeli. In tal modo i credenti in Cristo, in quanto stretti a Lui soprattutto nell’Eucarestia, sono uniti fra loro nella carità, formando un solo corpo, la Chiesa. La cui unità si realizza nella diversità di membra e di funzioni". Questa è la definizione della nostra identità di cristiani: siamo il corpo di Cristo. Noi e Cristo siamo, per così dire, una sola persona mistica.

Vorrei che la prima grazia fattavi dal Signore in occasione di questo incontro fosse una vera, profonda visione del nostro essere Chiesa: una visione che genera nel vostro cuore la gioia di un’appartenenza.

È come quando vi trovate davanti ad un bel paesaggio, all’improvviso, non potete non esclamare: come è bello! Come è bello essere Chiesa!

Quando dico "Chiesa" non parlo di una realtà situata non si sa bene dove. Parlo di noi; parlo della nostra Chiesa di Bologna. Essa è il gregge di Cristo. È l’edificio costruito dal Padre; è il Corpo di Cristo.

2. Se sono riuscito ad essere chiaro e voi mi avete seguito, compendiamo subito una verità importantissima riguardante il nostro essere Chiesa: nella Chiesa tutto è di tutti. La Chiesa è chiamata anche: "comunione delle cose sante". Ascoltate come il Compendio del CChC spiega questa verità: "Tale espressione indica anzitutto la comune partecipazione di tutti i membri della Chiesa alle cose sante: la fede, i sacramenti, in particolare l’Eucarestia, i carismi e gli altri doni spirituali" [194]. Tutto è di tutti, anche se con modalità anche essenzialmente diverse di partecipazione.

Da questa verità deriva una conseguenza assai importante, che mi piace dirvi colle parole dell’Es. post-sinodale Christifideles laici [30-12-88]: "La comunione ecclesiale è, dunque, un dono, un grande dono dello Spirito Santo, che i fedeli laici sono chiamati ad accogliere con gratitudine e nello stesso tempo a vivere con profondo senso di responsabilità. Ciò si attua concretamente mediante la loro partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa, al cui servizio i fedeli pongono i loro diversi e complementari ministeri e carismi" [20,4; EV11/1683].

Abbiamo detto una grande parola "corresponsabilità". È la conseguenza immediata e necessaria della "comunione". Se nella Chiesa ciascuno è partecipe dei doni fatti dallo Spirito, ciascuno ne diventa responsabile nella Chiesa, e quindi corresponsabile. Che cosa significa?

Proviamo a pensare che cosa vuol dire "responsabilità" nella nostra vita quotidiana. La responsabilità ha sempre una dimensione oggettiva: uno è sempre responsabile di qualcosa/di qualcuno. La responsabilità ha sempre una dimensione trascendente: uno è sempre responsabile verso qualcuno che ha in un qualche modo autorità di giudicarlo. La responsabilità comporta quindi sempre un "incarico" ricevuto, una "missione o compito" assegnato.

Avviene in maniera analoga nella Chiesa. Ciascuno è responsabile delle "cose sante" della Chiesa: sei responsabile della fede che devi annunciare, testimoniare, difendere, inculturare … Sei responsabile dei Sacramenti: dell’Eucarestia perché sia celebrata degnamente, per esempio. E così via. Ciascuno è responsabile verso Cristo, capo della Chiesa, ultimamente: saremo giudicati da Lui. Ciò comporta che ciascuno di noi nella Chiesa ha ricevuto un incarico, una missione: ultimamente in forza del battesimo e della cresima.

Non voglio ora fermarmi su questo. Avremo altre occasioni per farlo. Dico solo una cosa: nella Chiesa sono eminenti i ministeri che derivano da un sacramento, il ministero pastorale e il ministero coniugale.

Vorrei che partiste da questo incontro colla consapevolezza che ciascuno di noi è responsabile e quindi corresponsabile della vita della Chiesa – davanti a Cristo. E ve lo ripeto, sto parlando della Chiesa che è in Bologna.

Questa corresponsabilità non deve essere sentita come un peso, ma come un onore, un atto di stima e di fiducia di Cristo nei nostri confronti. Egli non ha voluto che fossimo solo beneficiari e destinatari dell’azione della Chiesa, ma anche – a seconda del proprio ministero, del proprio carisma, della generosità – responsabili e protagonisti della medesima azione.

Il segno e lo strumento privilegiato per attuare questa corresponsabilità è il Consiglio pastorale parrocchiale. Esso, la dove è seriamente messo in atto, rende effettiva la corresponsabilità e non solo verbale. È necessario dunque ridare grande impulso a questo organismo.

Vorrei ora dedicare la mia riflessione a questo organismo ecclesiale.

 

3. Partiamo da un limpido testo del Concilio: "La parrocchia offre un luminoso esempio di apostolato comunitario, fondendo insieme tutte le differenze umane che vi si trovano e inserendole nell’universalità della Chiesa. Si abituino i laici a lavorare nella parrocchia intimamente uniti ai loro sacerdoti, ad esporre alla comunità della Chiesa i propri problemi e quelli del mondo e le questioni che riguardano la salvezza degli uomini perché siano esaminati ed ascoltati con il concorso di tutti; a dare secondo le proprie possibilità il loro contributo ad ogni iniziativa apostolica e missionaria della propria famiglia ecclesiastica" [Decr. Apostolicam actuositatem 10; EV 1/950]. In questo testo troviamo delineato il profilo completo dei nostri Consigli pastorali.

È un profilo di comunione e corresponsabilità: "intimamente uniti ai loro pastori" e "con il concorso di tutti". È indicato uno stile di vita parrocchiale.

È un profilo di missione: i problemi che vengono affrontati riguardano "ogni iniziativa apostolica e missionaria". È indicato uno stile di missionarietà permanente.

È un profilo di coinvolgimento: la "materia" di cui tratta il Consiglio è costituita dai "problemi propri e quelli del mondo e le questioni che riguardano la salvezza degli uomini". È indicato uno stile di condivisione di ogni vera domanda che è nel cuore dei nostri fratelli uomini.

Se il dettato conciliare ci indica il profilo generale, è necessario però che vi dica in maniera più precisa come concretamente nella nostra Chiesa i Consigli pastorali devono realizzarsi sotto il profilo della corresponsabilità, della missione e del coinvolgimento. E lo faccio dicendovi quali "preoccupazioni" o meglio "passioni" dovete avere, qualunque sia il problema che affrontate; e dicendovi quale cammino vi chiedo di percorrere nel corrente Anno pastorale.

3.1. Qualunque sia il problema che affrontate nelle riunioni del vostro Consiglio pastorale, dovete sempre avere presenti alcune esigenze prioritarie, nel senso che spiegherò subito.

La prima esigenza è quella del primo annuncio della fede. Ciò che oggi la Chiesa deve in primo luogo assicurare è la notificazione del fatto centrale della nostra fede: Gesù Cristo, figlio di Dio fattosi uomo, morto per i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione. Faccio qualche esempio. Se affrontate il problema della preparazione dei giovani al matrimonio, la prima domanda che dovete farvi è la seguente: questi giovani hanno già ricevuto il primo annuncio della fede? Come possiamo donarlo loro? Se affrontate il problema di Estate Ragazzi, la prima domanda che dovete farvi è la seguente: nella nostra programmazione è assicurato il primo annuncio della fede?

Non dimentichiamo mai, neppure per un istante, ciò che scrive S. Paolo: "è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione" [1Cor 1,21b]. Ed intendeva la predicazione di Cristo crocifisso e risorto.

La seconda esigenza è strettamente connessa colla precedente, ed è quella dell’educazione della persona. Il primo annuncio della fede è un seme piantato nel cuore, che ha bisogno di essere coltivato e nutrito. Fuori metafora, che cosa significa? Significa che la formazione di Cristo in noi è un cammino lungo, perché consiste nel cambiamento e nella rigenerazione di tutto l’uomo. Nel vocabolario liturgico questo processo si chiama iniziazione cristiana. Anche qui faccio qualche esempio. Se affrontate il problema dell’apertura e/o conduzione dell’oratorio, la domanda che vi dovete fare è la seguente: abbiamo un progetto, un itinerario educativo che tenga conto dell’itinerario sacramentale che il ragazzo sta percorrendo? Se affrontate il problema del volontariato o di iniziative di volontariato da proporre ai giovani, la domanda che dovete porre è la seguente: questa proposta [nei contenuti, nelle modalità esecutive] è educativa? o: come rendere questa proposta veramente educativa?

Da questa esigenza deriva che l’attenzione alle giovani generazioni, la cura delle giovani generazioni deve avere un posto assolutamente privilegiato.

La terza esigenza infine è quella della connessione fra la fede e le grandi aree della vita umana che sono il matrimonio e la famiglia, il lavoro e la festa, la fragilità e la malattia, la cittadinanza. Si tratta di aver costantemente occhi e cuore vigilanti per non essere insidiati dalla separazione fra fede e vita. Non ridurre il cristianesimo ad una sorta di dopo-lavoro. Faccio qualche esempio. Se affrontate il problema pastorale della famiglia, dovete chiedervi: come rendere presente efficacemente nella vita civile la visione cristiana del matrimonio? Ricordate la recente esperienza del referendum. Se affrontate il problema della festa, del giorno festivo, dovete chiedervi: come rendere veramente cristiana la giornata festiva?

Alla base di questa problematica sta una chiara idea di laicità, sulla quale ritornerò con una certa frequenza nei prossimi mesi. L’ho già fatto nell’omelia di S. Petronio e di domenica scorsa.

Dunque, riassumendo. La partecipazione al vostro Consiglio pastorale deve essere una partecipazione appassionatamente preoccupata per il primo annuncio della fede, per l’educazione delle giovani generazioni, per una rigenerazione in Cristo dell’umano nella sua interezza.

3.2. Vorrei darvi ora alcuni orientamenti per il prossimo anno pastorale, che è e deve essere anno di preparazione al Congresso Eucaristico Diocesano e al Convegno di Verona.

La prima cosa che vi chiedo è che leggiate personalmente i due Documenti preparatori, e poi ne facciate oggetto almeno di due riunioni del Consiglio pastorale, una per ogni Documento.

Il secondo orientamento è che, volgendo la fine dell’anno civile, mettiate all’o.d.g. il grande tema della comunicazione sociale e dei suoi mezzi, AV BO7 in primo luogo.

Il terzo orientamento è che cominciate ad avere incontri inter-consigliari, di più Consigli cioè di zone che hanno problemi pastorali unitari, affrontandoli insieme. È per un primo passo verso quella pastorale integrata dalla quale non possiamo più prescindere. Ci aspettano grandi decisioni al riguardo, che non esito a dichiarare di portata storica; dobbiamo individuarle nella luce del Signore col concorso di tutti. Ho creato anche un Vicariato episcopale per questo.

4. Sono giunto alla fine. Vi chiedo di alzare il vostro sguardo. Voi vedete l’annuncio dell’angelo a Maria e la consegna delle chiavi a Pietro. Avete la visione della Chiesa nella sua interezza. La Chiesa è Maria e Pietro: è la piena dedizione al suo Sposo Cristo visibilmente presente nel sacramento della successione apostolica. Pietro deve porsi in Maria ["Signore, tu sai che ti amo"] così come Maria è sottomessa a Pietro. E dentro a questo santo spazio, a questa ellisse i cui fuochi sono Maria e Pietro, è collocato l’altare e la cattedra episcopale in stretta unione con l’ambone.

Il Signore vi doni di partire da questa santa assemblea avendo il cuore pieno di lode al Signore e di stupore per la bellezza della Chiesa di Cristo, presente ed operante nella Chiesa di Bologna.