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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Riflessioni sull'educazione oggi
Testo del saluto all’incontro con gli amministratori ed operatori del Cefal di Bologna (il Centro di formazione professionale del Movimento Cristiano del lavoratori)
5 settembre 2006


Esprimo tutta la mia gratitudine per il vostro invito che mi dona la possibilità di riflettere ancora una volta sul grande tema dell’educazione con chi, come voi, ogni giorno è confrontato con l’emergenza educativa.

Vorrei introdurre la riflessione che andrò poi facendo con due premesse di carattere generale, ma penso non irrilevanti per la nostra tematica.

a. Sono sempre più convinto che ormai ci troviamo di fronte ad una vera e propria emergenza educativa. Emergenza i cui connotati principali mi sembrano i seguenti. Esiste nell’adulto, in chi cioè ha la responsabilità di far fronte all’emergenza, una profonda incertezza sulla stessa necessità o sensatezza dell’atto educativo così come esso era stato pensato e praticato da secoli in Occidente. Inoltre la "agenzia educativa" per eminenza, la famiglia, sta conoscendo una crisi di identità istituzionale quale mai aveva conosciuto prima. A ciò, e non da ultimo, deve aggiungersi la grave incertezza legislativa circa l’istituzione scolastica, il cui percorso di riforma non è ancora giunto ad un approdo sicuro e certo.

Tutto questo è particolarmente vero nel vostro e per il vostro impegno educativo, per le ragioni – né poche né superficiali – che avete detto.

b. La vostra attività educativa si pone per così dire all’incrocio di un complesso di dinamiche, di problemi e di domande. Essa pertanto necessita di essere sostenuta da profonde motivazioni.

Non raramente voi avete a che fare con persone ferite nella loro umanità, quando non devastate o quanto meno minacciate nella loro dignità di persone: ferimenti, devastazioni, minacce provenienti o da fallimenti e/o dispersioni scolastiche; dalla condizione delle famiglie; dalla difficoltà di costruire rapporti umani veri e buoni da parte di chi proviene da culture assai diverse dalla nostra.

L’altra dinamica che attraversa la vostra attività educativa è di carattere sociale ed economico. Di carattere sociale: l’insostenibile "dogma" di una totale separazione fra il bene ed il giusto sta portando le nostre società ad una dequalificazione etica che nel ragazzo e nel giovane soprattutto quello più fragile genera un grave male-essere esistenziale. Di carattere economico: come è stato già detto da voi, la riforma dei Fondi Strutturali Europei accresce l’incertezza di chi con tanto impegno è dedito alla formazione, come fate voi.

Se le mie parole servissero anche solo ad accrescere maggiormente la nostra attenzione, l’attenzione della nostra città al problema educativo, non ci saremmo incontrati invano.

 

1. La prima riflessione deriva immediatamente dalle premesse appena concluse. La formulo sinteticamente in modo semplice: l’educazione della persona è sempre possibile; educare comunque si può.

Questa certezza non può essere seriamente messa in dubbio per almeno due ragioni interdipendenti, correlative.

La prima è che la possibilità dell’educazione è una conseguenza necessaria per chi percepisce che la persona umana è un soggetto libero e non un mero "accidente-incidente" di un incrocio casuale di forze impersonali. Per chi ritiene che l’uomo è un mendicante di verità e di bene e quindi di senso, e che quindi le nostre convivenze non sono solo il parallelogramma di forze egoistiche fra loro contrarie.

La seconda ragione è che la persona umana chiede di essere educata, di essere cioè introdotta dentro alla realtà. Ora questa domanda non è evasa pienamente se si insegna solo un "saper fare": se si riduce l’educazione a formazione. Resta inevasa infatti la domanda di fondo che ogni ragazzo consapevolmente o inconsapevolmente pone: "saper fare", ma in vista di che cosa? Parlare di una logica tecno-scientifica come fosse una sorta di ethos, di dimora dalla quale non si esce e dentro la quale non ha senso porsi la domanda di cui sopra, mi sembra negare all’uomo la possibilità di porre domande ultime. Per altro, recenti fatti di pseudo-scoperte dimostrano che il moloch tecno-scientifico è mosso da un ben preciso interesse: quello del guadagno.

Penso che ciascuno di noi non possa non ritrovarsi nelle parole che Platone mette sulla bocca di Socrate: "i nostri ragionamenti riguardano una questione a paragone della quale nessun’altra dovrebbe essere presa più seriamente, anche da parte di un uomo di poca intelligenza. Si tratta della questione del modo in cui si debba vivere" [Gorgia 500 C, 1-4]. Sono parole come queste che costruiscono una vera civiltà, nonostante tutte le difficoltà.

La domanda di educazione coincide precisamente colla domanda sul modo in cui si debba vivere, per vivere bene.

2. La seconda riflessione vi riguarda più direttamente. Voi intendete educare, precisamente insegnando un "sapere fare": come si debba vivere sapendo fare. È una sfida stupenda che voi affrontate, sulla quale si sono già confrontati alcuni fra i più grandi educatori di tutti i tempi. Penso ad esempio a S. Giovanni Bosco.

La situazione culturale a cui accennavo nelle premesse vi costringono, per così dire, ad una visione fortemente ed esplicitamente educativa del vostro lavoro.

Ridurre, pensare la "formazione professionale" come un breve periodo di formazione tecnica – insegnamento del "saper fare" – in vista dell’inserimento nel mondo del lavoro, è oggi quanto meno assai riduttivo. Per almeno due ragioni, una di carattere, diciamo, congiunturale e una di carattere strutturale.

Di carattere congiunturale. Come già dicevo brevemente poc’anzi, sono persone che hanno non raramente bisogno di essere ricostruite nella loro umanità. Non è la loro una ignoranza di "saper fare" solamente; è il bisogno di un incontro che faccia loro presagire la possibilità di una vita vera e buona di cui il loro lavoro è dimensione essenziale.

Di carattere strutturale. Non c’è dubbio che il lavoro è una delle dimensioni costitutive della vita umana, uno dei capitoli ineliminabili dalla biografia di ogni uomo e donna. Esiste una connessione essenziale fra l’essere uomo "ad immagine di Dio" ed il lavorare. La separazione del lavoro dalla persona è contro la dignità dell’uomo; il non "ritrovarsi" della persona nel suo lavoro è uno dei sintomi più chiari di una vita non buona e/o di una società sbagliata. Tocchiamo qui un tema antropologico di enorme importanza, sul quale ora non posso ulteriormente prolungarmi. Ritrovarsi nel proprio lavoro senza perdersi in esso [immanenza dell’agire nella persona]; non perdersi nel proprio lavoro senza essere estraneo da esso ["trascendenza della persona nei confronti del lavoro]: saper organizzare il lavoro nell’armonia delle due esigenze è la grande sfida posta al sindacato e al politico. Ed anche a voi, cioè alla "formazione professionale".

Ovviamente la vostra competenza e responsabilità è ben diversa da quella del sindacalista e del politico, poiché la vostra è educativa.

Direi che voi lavorate su due ambiti: l’ambito del "saper fare" e l’ambito del "saper vivere"; e non come due ambiti separati ma uniti fra loro. Insegnando "come fare" educate a "come vivere".

3. La terza riflessione è più breve ma non meno importante. Ritengo che in ordine al bene comune di cui tutti siamo responsabili, la vostra attività sia assai importante.

Se così è, chi ha responsabilità pubbliche ha il dovere di sostenervi, secondo quel principio di sussidiarietà che è la struttura portante di una società bene architettata. Ovviamente non rientra nella competenza del Vescovo elaborare progetti politici che devono essere da altri elaborati. Ciò che mi preme sottolineare è che fa parte di un disegno politico sapiente non sostituirsi, ma offrire aiuto a quei soggetti che nella società civile si impegnano come voi nell’ambito dell’educazione professionale.

Ed inoltre non è rispettoso della singolarità e della dignità delle persone umane imporre percorsi istruttivi ed educativi uguali per tutti. Si rischia che la persona non trovandosi adeguatamente compresa nei suoi bisogni, si disperda.

In questo contesto è ugualmente importante che quanti si ispirano in questo lavoro alla visione cristiana dell’uomo lavorino in collaborazione concreta e quotidiana. La Chiesa di Bologna offre anche in questo campo una grande ricchezza di iniziative.

Concludo. "Quale è la natura della gravità di ciascun male, tale è la bellezza del portar aiuto, e tale è anche la vergogna del non potere" [ib. 509 C, 1-3]. Leggendo la documentazione che mi avete inviato e riflettendo su di essa, mi sono reso conto della misura della gravità del male cui dovete far fronte: senza esagerazioni né superficialità. Ma nello stesso tempo vedo la bellezza del vostro impegno. Dio non voglia che non proviate mai la vergogna di cui parla Platone: la vergogna di non poter portare aiuto, per ragioni indipendenti dalla vostra volontà.