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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


LA FAMIGLIA E LE SFIDE DI OGGI
Grosseto - Sala Friuli, 28 novembre 1991

(Trascrizione non rivista dall'Autore)


Il tema sul quale mi avete chiesto di riflettere questa sera: "La famiglia e le sfide di oggi" è semplice solo in apparenza. Infatti esso racchiude almeno tre grosse domande.

Quali sono le sfide di oggi?

A quali di queste sfide la famiglia è chiamata a rispondere?

A quali condizioni la famiglia è capace o diventa capace di rispondere a queste sfide di oggi?

E nessuno potrà negare la difficoltà, la complessità di queste tre semplici domande.

Ecco sono i casi in cui l'amicizia tira dei brutti scherzi. Non si poteva dire di no ad un amico così grande per noi, non solo per me, ma per noi dell'Istituto Giovanni Paolo II: è il vostro Vescovo, verso il quale abbiamo un debito infinito di gratitudine, come nostro professore, fin dall'inizio dell'Istituto. Sono gli scherzi che tira l'amicizia. E non si può dire di no in questi casi, e così ho accettato e cercherò questa sera con voi di rispondere semplicemente come sono capace a queste tre domande.

LE SFIDE DI OGGI

Vorrei cominciare proprio col chiarire questo concetto e questo termine di "sfida". È facile constatare come ogni giorno la nostra esistenza si costruisca attraverso la soluzione delle difficoltà che incontriamo, attraverso la risposta alle domande che la vita stessa ci pone e ci impone.

Facciamo qualche semplice esempio.

Primo esempio

Primo esempio. Il fatto che un amico tradisca la fiducia che tu gli hai dato, ti costringe a chiederti: "Ma allora non è possibile nessuna fiducia reciproca fra gli uomini?". E voi capite che a seconda della risposta che diamo, noi costruiremo i nostri rapporti sociali in un modo completamente diverso, vivremo cioè, in un modo diverso. Nella fiducia reciproca o nel sospetto reciproco.

Secondo esempio

Secondo esempio. Il fatto che vi si apra la possibilità di avanzare in carriera, o di realizzare un forte guadagno a condizione però di commettere una grave ingiustizia nei confronti di un collega, ti costringe a chiederti: "Ma alla fine che cosa vale di più? Che cosa vale veramente per una persona? Essere ricco o essere giusto? Che cosa è peggio: subire o commettere un'ingiustizia?". E voi capite che a seconda della risposta che diamo, noi viviamo in un modo profondamente diverso.

E gli esempi potrebbero continuare, ma penso che questi due siano sufficienti per aprirci subito fin dall'inizio gli occhi su quello che ritengo essere uno dei più profondi misteri della nostra esistenza quotidiana.

Quale mistero? La nostra esistenza, ripeto la nostra esistenza quotidiana, non è qualcosa che va da sé, essa è affidata alla nostra libertà che la costruisce sulla base di risposte date a domande fondamentali, domande che possono ricevere soluzioni fra loro contraddittorie.

Che tu abbia, o che tu non abbia fiducia nell'altro, non è qualcosa che viene in te da qualcosa di estraneo: sei tu che decidi di avere o non avere fiducia. E questa decisione è presa sulla base di una risposta che hai dato a questa domanda: "Ci si può fidare degli altri?".

Che tu decida di commettere un'ingiustizia verso un collega per avanzare nella carriera, o di non commettere un'ingiustizia, non è una decisione di cui sia autore qualcuno o qualcosa all'infuori di te: sei tu che decidi. E questa decisione è presa sulla base di una risposta che hai dato a questa domanda: che cosa in verità vale di più nella vita? Essere giusti o avanzare in carriera?

Qui si può avere una percezione assai profonda della condizione in cui versa il nostro vivere quotidiano.

La nostra esistenza quotidiana è un'esistenza che si trova di fronte a varie possibilità di scelte. Realizzando l'una o l'altra, cambia la temperie della nostra vita, il suo volto intimo, la sua identità stessa. In una parola: la nostra esistenza è "sfidata", nel senso che si trova provocata da contrastanti possibilità di realizzarsi.

Questo è il significato profondo con cui noi questa sera parleremo di "sfida".

Esiste dunque uno sfidante, uno che lancia questa sfida, ed è la nostra esistenza stessa, nel suo quotidiano svolgersi, ed esiste uno che riceve questa sfida, che accoglie questa sfida: è la nostra libertà. La nostra libertà stessa che non può non cogliere questa provocazione.

QUALI SONO LE SFIDE DI OGGI?

Detto questo vorrei allora tentare la risposta allora alla nostra prima domanda: e quali sono le principali sfide di oggi? Quali sono cioè, le principali provocazioni oggi per la nostra libertà?

Sfide di oggi

Comincio la mia risposta richiamando la vostra attenzione su questo oggi, sfide di oggi. Esso c'induce a pensare che esistono sfide che sono proprie del nostro tempo e che non lo erano ieri, e che viceversa esistevano invece sfide che erano di ieri e oggi non lo sono più.

Tutto questo è vero, ma non è tutta la verità e mi spiego ancora con un esempio.

La sfida della fame

Ci sono stati momenti in cui, primo esempio, la sfida della fame, della fame proprio fisica e dunque la soluzione del problema di avere un sufficiente nutrimento, era una sfida fondamentale per la persona umana. Da noi oggi, grazie a Dio, questa non è più una sfida fondamentale, da noi dico... Altrove lo è ancora.

La sfida della malattia

Altro esempio: ci sono stati momenti in cui la sfida della malattia, della mortalità era un problema e una sfida fondamentale, dominavano veramente la coscienza della persona. Oggi, sappiamo, moltissime malattie, fino a ieri mortali, non lo sono più. Vedete? Sfide di ieri che non sono più tali oggi.

Le sfide di sempre

Tuttavia esistono sfide che non sono né di ieri né di oggi, perché sono di sempre. Esistono provocazioni per la nostra libertà che abitano dentro l'esistenza umana come tale, non di questo o di quello, ma di ciascuno di noi.

Sono sfide di oggi perché sono sfide di sempre, tuttavia oggi è accaduto un evento che rendono queste sfide di sempre particolarmente provocanti, insistenti, ineliminabili dalla nostra coscienza.

Quali sono?

La sfida fondamentale di oggi

Anziché enumerarle, facendo un breve commento, penso che sia più utile per noi questa sera, cercare di individuare qual è la sfida fondamentale con cui ciascuno di noi oggi si trova confrontato senza possibilità di sfuggire a questa provocazione. Quale è questa sfida fondamentale di oggi?

S. Agostino, in una sua opera, racconta un fatto molto singolare. Nella città di Cartagine - racconta - una compagnia teatrale stava dando una serie di spettacoli, ma con scarso successo di pubblico. Alla fine di uno spettacolo, un attore escogitò una trovata geniale per attirare gli spettatori. Disse: "Se domani ritornerete qui numerosi, io saprò dirvi esattamente ciò che ciascuno di voi, in cuor suo, vuole".

Ciascuno di voi vuole essere felice

Il giorno dopo - continua il racconto S. Agostino - il teatro era pieno zeppo. L'attore si presentò puntualmente e disse: "Ora vi dico ciò che ciascuno di voi vuole in cuor suo in questo momento. Ciascuno di voi, nel suo intimo, in questo momento, vuole essere felice". Nessuno si ritenne imbrogliato di questa geniale trovata, e applaudì quel geniale attore.

L'episodio termina qui, ma ci dona molta materia di riflessione. Come ha potuto quell'attore essere così sicuro di non essere smentito da nessuno? Di non sentirsi rispondere da nessuno: "Non è vero, io in questo momento non voglio essere felice". Come ha potuto essere così sicuro?

È impossibile vivere senza voler vivere

Perché semplicemente è impossibile vivere senza voler vivere, e che altro significa "voglio essere felice" se non "voglio vivere"? Ma non come vive una pianta, ma non come vive un animale, ma come sento che posso vivere, cioè nella beatitudine di una pienezza indistruttibile di beni?

Ma qui finisce l'accordo di tutti.

Se infatti dopo aver chiesto: "Vuoi essere felice?", chiedi: "In che cosa consiste la felicità?", a stento si trovano due persone che risponderanno allo stesso modo.

Quale orientamento dare alla propria esistenza

Ed è precisamente qui che emerge la sfida fondamentale che la nostra esistenza rivolge alla nostra libertà: la sfida più profonda quella di costringere la nostra libertà a decidere in che cosa fare consistere la propria felicità, a decidere quale orientamento, quindi, dare alla propria esistenza. E si tratta di una sfida alla quale non ci si può sottrarre e alla quale non c'è scappatoia e via di uscita.

Tuttavia è assai importante considerare attentamente questa sfida che viene continuamente rivolta alla libertà, ma soprattutto un aspetto di essa.

La nostra felicità non dipende esclusivamente da noi

Partiamo ancora una volta da una constatazione molto semplice: la nostra felicità, la nostra beatitudine, la pienezza indistruttibile dei beni non dipende esclusivamente da noi. Non sto pensando in questo momento per esempio, al bene della salute, che è chiaro non dipende esclusivamente da noi. Non sto pensando al bene, che so io, della ricchezza, che è chiaro non dipende esclusivamente da noi, ma penso a beni ben più intimi alla persona.

Quale è il vero volto del destino umano?

Nel momento in cui l'uomo prende coscienza di questo che la sua beatitudine non dipende esclusivamente da lui, alla fine si pone la domanda: "Ma allora, ultimamente, da chi e da che cosa dipende il tutto? Dalla fortuna? Dal caso? Da una necessità oscura ed inspiegabile?". Cioè si pone la domanda più grande che uomo possa porsi: quale è il vero volto del destino umano?

È il bisogno inestinguibile di beatitudine che abita nel cuore di ciascuno a costringere, primo, la nostra ragione a dare una risposta a questa domanda; secondo, a costringere la nostra libertà a costruire la nostra esistenza secondo la risposta che avremo dato alla domanda sul nome, sul volto del nostro destino.

Questo bisogno allora di beatitudine, cui faceva riferimento quell'astuto attore, e che abita nel cuore di ciascuno, è una sfida lanciata continuamente alla nostra ragione, perché ci illumini o almeno ci metta alla ricerca del vero volto del nostro destino. E alla libertà, perché scelga ciò che veramente ci porta alla vera beatitudine e non altrove.

Questa è la sfida di sempre per l'uomo, questa è la nostra vita nella sua umile grandezza.

Una particolare caratteristica

Tuttavia oggi questa sfida ha assunto una particolare tonalità, una particolare caratteristica su cui vorrei attirare la vostra attenzione. È accaduto nella coscienza di ciascuno di noi un evento spirituale di portata tragica, perché ci si è convinti - ecco l'evento tragico di oggi - ci si è convinti che non è più possibile dare un nome al nostro destino ultimo, che non è più possibile per l'uomo incontrare il volto vero del suo destino. Si è come sterilizzata la nostra ragione, rendendola incapace perfino di concepire la domanda sulla nostra beatitudine.

Esiste una beatitudine vera per l'uomo? In che cosa consiste? Quale è la via che porta a questa beatitudine? Oggi si dice: "Sono domande inutili. Ciascuno faccia ciò che vuole".

E il nostro vivere associato si cerca di regolarlo in modo tale che almeno qualche volta accada il fragile miracolo della convergenza di interessi opposti, nulla di più di questo.

La domanda fondamentale si è fatta tacere

La domanda fondamentale si è semplicemente censurata, la si è fatta tacere dicendo che deve essere rinchiusa nel campo del privato, riduttivamente inteso come pura emotività. La grande domanda, il grande desiderio sono stati decurtati. Sembra di risentire qui la sconsolata ricetta del poeta pagano che diceva: "Tronca le speranze troppo lunghe per una così breve vita". La ricetta del paganesimo.

Conseguenze

E quali sono le conseguenze di questa situazione di oggi?

A - La perdita del gusto di vivere

Mi limito ad accennarne solo tre: la prima e la più grave è la perdita del gusto di vivere, della gioia di vivere. Consentitemi una brevissima cosa personale: stavo viaggiando in aereo da Roma a Los Angeles, il viaggio è lunghissimo, come sapete. Avevo vicino una ragazzina, diciassette, diciotto, vent'anni non di più che, durante tutte le prime cinque o sei ore del viaggio, aveva queste famose terribili cuffie che si mettono alle orecchie con i giradischi portatili e ad un volume talmente alto che non solo lo sentiva lei e non aveva bisogno del volume alto, ma lo sentivo anch'io, per cui ad un certo momento non ho più potuto sopportare questo rumore, anche perché pensavo che il viaggio doveva durare dieci, undici ore. Dieci o undici ore di rumore... Allora dico a questa ragazza: "Ma insomma, goditi un po' la vita". Questa ragazza si toglie le cuffie e mi guarda meravigliata - io ero vestito da sacerdote - e mi dice: "Padre, in vita mia non ho mai sentito un prete che mi dicesse: goditi la vita e non avrei mai pensato di incontrarlo". Dopo le ho spiegato cosa voleva dire in quel momento godere la vita. Ecco, la perdita del gusto di vivere.

B - Deresponsabilizzazione

La seconda conseguenza è stato un bisogno incontenibile di uscire da se stesso, di deresponsabilizzare se stesso, per cui è sempre la società responsabile di tutto.

C - Solitudine

La terza conseguenza è la solitudine. Una solitudine quasi infinita, una incapacità, cioè, di creare comunione reciproca.

Ecco ho finito il primo momento della mia riflessione.

Tre punti abbiamo chiarito, almeno spero. Il primo: la nostra esistenza, la nostra esistenza quotidiana porta dentro di sé una sfida perché essa esistenza, è un compito affidato alla nostra libertà.

Il secondo punto che abbiamo chiarito: la sfida fondamentale di cui è gravida la nostra esistenza quotidiana è costituita dalla presenza in essa di un desiderio illimitato di indistruttibile beatitudine, che chiede - questo desiderio - alla ragione di giudicare quale sia la vera felicità dell'uomo e alla libertà di costruirla giorno dopo giorno, nelle sue umili scelte quotidiane.

Il terzo: questa sfida fondamentale, è stata oggi giudicata impossibile ad accogliersi, troppo forte - questa sfida - per una ragione che è troppo debole, per una libertà che è inesorabilmente prigioniera delle sue emozioni.

Il risultato: questa morte dell'umano in ciascuno di noi.

A QUALI DI QUESTE SFIDE LA FAMIGLIA È CHIAMATA A RISPONDERE?

Seconda parte della mia riflessione invece che ora comincia, vorrebbe rispondere alla seconda e alla terza domanda e la famiglia è chiamata a rispondere a questa sfida di oggi. E a quali condizioni potrà farlo?

Anche qui vorrei incominciare richiamando alla vostra attenzione uno degli eventi per me più mirabili che accadono nella vita di ciascuno di noi, di cui conserviamo il ricordo sempre, vivessimo anche un secolo o più. Qual è questo evento? Vorrei ora descriverlo semplicemente.

A - La persona umana e la sua origine

La persona umana resta un incomprensibile mistero per se stessa, un enigma insolubile fino a quando non vive una vera esperienza di amore. Perché? La ragione è molto semplice: nessuno di noi ha deciso di venire all'esistenza, ciascuno di noi si è trovato nell'esistenza. E dunque ciascuno di noi prima o poi si chiede: "Ma chi o che cosa sta all'origine del mio esserci? Cioè di me stesso?".

È una domanda che ogni uomo porta in se stesso ancora prima di formularla. Anche il bambino nasce con nel cuore questo interrogativo. Ed è precisamente a questo punto che accade quell'evento mirabile e misterioso di cui ho parlato. Quando? Come? Da chi il bambino riceve la sua prima risposta?

Dal volto di sua madre. Questo volto assicura il bambino che sta entrando in un universo nel quale la sua persona è ben-voluta, è venerata, è attesa, è amata.

Uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, Virgilio, in una poesia scritta in occasione di una nascita, rivolgendosi al neonato bambino dice: "Comincia, o bimbo, a riconoscere tua madre dal modo con cui ti sta sorridendo. Incipe parve puer risu cognoscere matrem".

La persona cioè entra in un universo del tutto nuovo, del tutto sconosciuto, ma fra le tante cose c'è un volto che gli sorride in un modo unico, dicendogli con quel sorriso che egli era atteso, e che pertanto è il ben- venuto, perché è il ben-voluto.

È un bene esistere

Quella persona che gli sta sorridendo e che è inconfondibile per il bambino fra le mille persone che lo attorniano, la madre che lo accoglie gli dice: "Ma come è bello che tu ci sia!". E questa esclamazione trova eco nella persona appena arrivata, che pertanto dice a se stessa: "Ma come è bello che io ci sia". Cioè l'esistenza è buona. Cioè è un bene esistere.

E oggi più di ieri, sappiamo dalla psicologia infantile che danni irreparabili spesso sono causati nella persona quando alla sua origine non c'è stata questa accoglienza.

B - L'esperienza dell'amore umano

Ed ora vorrei richiamare la vostra attenzione su un'altra esperienza umana, non meno profonda e non meno ammirabile di questa che abbiamo appena descritto: l'esperienza dell'amore umano.

Che cosa, in realtà, accade in una persona quando in verità può dire di amare un'altra persona? Che cosa accade?

In primo luogo si ha la percezione, la visione della preziosità del tutto singolare della persona amata, al punto tale che nessuno e niente può prendere il suo posto, può sostituire la persona amata. La persona che ama, può forse dire alla persona amata: "Ti amo tanto che qualunque altro potrebbe prendere il tuo posto"?

Unicità

Questo fa ridere, questo è ridicolo perché appunto l'amore percepisce l'unicità, l'insostituibilità della persona amata. E comincia, dicendo: "Tu sei unico. Tu sei unica", dice chi ama.

Preziosità

L'affermazione della singolarità, della insostituibilità della persona amata, è connessa quindi, con l'affermazione della preziosità, della bontà del suo esserci. Chi ama non dice alla persona amata: "Come mi è utile che tu ci sia". Ma più semplicemente, più profondamente dice: "Come è bello, come è bene che tu ci sia".

E qui accaduta una scoperta mirabile: la scoperta che l'esistenza è buona, che l'esistenza è bella.

Solo chi non ha mai amato non ha mai scoperto la bellezza dell'esistenza. Cioè è l'amore che mi svela la bontà, la bellezza dell'essere.

E volete una controprova di questo? Controprova tragica nella vita umana: la morte della persona amata è sempre sentita come la cosa più assurda che esista, perché in fondo noi diciamo: "Questa persona non doveva mai morire, perché questa è unica, perché era bene che lei ci fosse".

Queste due semplici esperienze ci hanno aiutato a capire una grande verità: nel volto della madre che gli sorride, il bambino sente che l'universo dell'essere, nel quale sta entrando, gli è benevolo, gli vuole bene. Nella persona amata chi ama scopre la bontà dell'essere, una bontà che merita di rimanere eternamente - ecco l'assurdo della morte - e alla quale bontà può consegnare se stesso, cioè può credere.

Queste due esperienze esemplificatrici non sono state scelte a caso, come potete subito immaginare. Esse parlavano di una persona che entra per la prima volta nell'universo, cioè che è concepita e nasce, e di un amore fra due persone che si donano reciprocamente per sempre.

Le due esperienze cioè si riferiscono chiaramente alla comunità coniugale in ciò che l'ha costituisce nella sua intima natura, e alla comunità familiare nella sua origine, concepimento, nascita del figlio. Nella sua origine dalla e nella comunità coniugale.

Ed è allora a questo punto, che possiamo riprendere la riflessione che abbiamo compiuto prima.

La nostra libertà è una libertà continuamente sfidata, perché è costretta a dare un nome, un volto al destino umano.

La famiglia e il destino umano

La famiglia è chiamata ad assumere questa sfida? La nostra risposta finalmente è la seguente: non solo è chiamata, ma, in un certo senso che spiegheremo subito, è essa che in primo luogo deve assumere questa sfida. Si tratta cioè di capire fino in fondo la missione educativa della famiglia.

Ho detto: "La nostra libertà è sfidata a dare un nome al destino umano".

Il caso?

Siamo nati per caso? Viviamo per caso? E moriremo per caso? È il caso, cioè, il nome del destino umano? Se è così è vana fatica cercare un senso nel nostro esserci. La sua casualità esclude ogni significato.

La necessità?

Siamo nati allora per necessità? Viviamo per necessità e sarà necessario che moriremo? È dunque la necessità il nome del destino umano? Se è così, è vana fatica cercare un senso nel nostro vivere, perché ciò che accade è semplicemente il necessario frutto di forze impersonali che ci costringono nella loro impersonale necessità.

L'essenza stessa dell'educazione

Nella esperienza profonda e semplice, quotidiana, della vita familiare, la persona umana che entra nell'universo è aiutata a scoprire il volto del suo destino, oppure è lasciata sola a scoprire questo volto. Ricordate la prima esperienza - quella del bambino - che abbiamo descritto. È questa l'essenza stessa dell'educazione, che ha nella famiglia il suo primo luogo.

È questo quello che intende dire la Chiesa quando dice che "la famiglia è la prima scuola di umanizzazione della persona umana".

Perché? Perché nella comunione familiare vera regna sovrana la gratuità. Ciascuno è voluto semplicemente a causa di ciò che è, non a causa di ciò che ha, non a causa di ciò che fa, di ciò che produce.

In questa esperienza profonda di gratuità assoluta, la nuova persona umana sente semplicemente che è voluta in sé e per sé. Essa sente che non è entrata in un universo governato dal caso, sente che è entrata in un universo nel quale essa è voluta in se stessa, per se stessa, cioè è amata.

La sfida decisiva

È questa l'umanizzazione della persona, perché così la persona è aiutata alla suprema decisione della libertà: ha dato il nome al suo destino. È aiutata a dare nome al suo destino ultimo.

Altre sfide

E la famiglia infatti può anche non assumere questa sfida, e accontentarsi di assumere altre sfide importanti e necessarie per la vita quotidiana, ma non così di decisiva importanza. Ad assicurare solo al nuovo venuto, alla nuova persona umana un benessere che è un valore, una salute fisica che è un valore, una istruzione che è un valore. Cioè quindi vedete ad assumere altre sfide, ma non magari questa.

A QUALI CONDIZIONI LA FAMIGLIA È CAPACE O DIVENTA CAPACE DI RISPONDERE A QUESTE SFIDE DI OGGI?

L'ultima domanda allora: "A quali condizioni la famiglia potrà assumere questa sfida?".

1 - Origine da una vera comunità coniugale

La prima condizione è che la comunità familiare abbia origine da una vera comunità coniugale. La cosa sembra talmente ovvia da non meritare molta attenzione, ma in realtà non è così ovvia, è molto profonda.

Come ho appena terminato di dire nel momento in cui e nel modo con cui la nuova persona umana è accolta, essa, per ciò stessa, è educata a dare un nome al suo destino. Il seno che in primo luogo lo accoglie, accoglie la nuova persona - non solo il seno, l'utero in senso fisico ma in un senso spirituale anche - è il luogo in cui accade la prima rivelazione che l'universo fa di se stesso.

È come il roveto ardente entro cui risuona la voce che dice il nome del destino umano.

Ora chiediamoci: come può dire al nuovo arrivato "è bene che tu ci sia" colui che non crede nella bontà dell'esserci? E come può un uomo, una donna credere nella bontà dell'essere se egli o ella non vive una profonda esperienza di amore?

Non una parola: tu, padre o madre, svelerai al nuovo arrivato quel nome con cui tu stessa prima hai chiamato il destino umano. Ma questo nome tu lo scopri nel rapporto dell'amore coniugale.

Ecco perché in fondo è di insondabile profondità questo insegnamento dalla Chiesa, perché la Chiesa ha sempre insegnato: non separare mai né la procreazione dalla coniugalità, né la coniugalità dalla procreazione.

Detto in parole più semplici: non si può essere veri genitori se non nella misura in cui si è veri sposi.

Dunque qualcuno potrebbe a questo punto pensare che stiamo caricando l'amore umano in particolare, l'amore umano coniugale, di un peso che non è in grado di portare. È la sua - dell'amore coniugale - intrinseca fragilità, la sua ineliminabile insicurezza, è il rischio dell'infedeltà che abita ogni amore umano, che lo rende incapace di essere il luogo in cui cercare di vedere il vero volto del destino umano.

Questo in fondo era la ragione del consiglio del poeta latino: "Tronca le speranze troppo lunghe per una vita così breve". Detto in un altro modo, più semplicemente, si può pensare che è l'amore a svelarci il volto del destino umano, poiché solo esso ci rivela la bontà e la bellezza dell'essere. Se l'amore come ogni cosa umana è fragile e può finire, come puoi affidarti ad esso?

E infatti l'amore tradito mette nel cuore di chi è stato tradito una tale disperazione che lo rende di solito incapace di credere nella bontà della vita. Terribile questa esperienza.

Perché o è l'amore o non è possibile scoprire questo volto, ma siccome si vede questa intrinseca fragilità e ci sono persone che l'hanno vissuta nella loro carne, allora questo punto uno può pensare: "L'unica via che avevamo è troppo fragile per essere percorsa".

2 - Radicata in Cristo

Qui scopriamo la seconda ultima e più importante condizione che rende la famiglia capace di assumere questa sfida. Nella sua lettera ai Romani, capitolo ottavo, versetto 28, san Paolo scrive: "Noi sappiamo che tutto coopera al bene di coloro che amano Dio, di coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno".

Si noti bene la forza e la radicalità di questa convinzione: tutto, dice, coopera al bene. Nulla cioè, dico, nulla di ciò che accade sfugge o può sfuggire ad un disegno che destina, anzi pre-destina, ogni cosa al bene di coloro che amano Dio.

C'è nel reale, nella realtà, nel quotidiano in cui ciascuno di noi dimora, un ordine che esclude la casualità (se sei fortunato le cose ti andranno bene). San Paolo esclude precisamente che ciascuno di noi sia affidato al caso e che dunque debba vivere nella incertezza di come alla fine tutto terminerà. E donde gli viene questa convinzione? Dalla certezza che ciascuno di noi è stato chiamato secondo un disegno, che nessuno di noi esiste per caso o per necessità, ma esiste perché è stato chiamato, è stato voluto in se stesso e per se stesso.

Che prima di essere concepito sotto il cuore di una donna è stato concepito nel cuore di Dio. Perché egli sa che ciascuno di noi è un pre-destinato: a che cosa? E subito dopo egli aggiunge: "Per coloro che sono predestinati ad essere conformi all'immagine del suo Figlio".

Gesù Cristo è il nome del nostro destino

Questa è la verità ultima del nostro esserci, questo è il volto del nostro destino, questa è la fonte inesauribile della nostra speranza perché è il luogo in cui si svela pienamente il nome del nostro destino, e questo nome è Gesù Cristo.

Allora qualcuno potrebbe dire: "Ma in questo modo tutto quello che abbiamo detto prima allora non vale niente". Anzi, infatti lo stesso S. Paolo dice addirittura: "È una spazzatura tutto" in confronto di questo incontro col volto del nostro destino che è Gesù Cristo, e che egli anzi dice che ha buttato via tutto proprio per vedere questo volto, per incontrarlo.

Il fatto stupendo è che precisamente chi ha letto, chi ha visto nel Cristo il vero volto del destino umano è reso capace di vivere interamente quelle due esperienze: quella familiare e quella coniugale con una tale semplice profondità da pregustare in esse quella beatitudine piena che ci attende.

Ed è in questo, in questo suo essere radicata mediante il sacramento nel Cristo che la comunità familiare sarà in grado di essere pienamente se stessa, e quindi di assumersi la "sfida" più forte che l'uomo oggi si trova ad affrontare: quella di credere alla bontà, alla bellezza del suo esserci. Capace di assumersi il compito di aiutare l'uomo che entra in questo universo a dire: "Ma come è bello che io ci sia".

C'è un salmo che, vi confesso, ogni volta che lo recito mi commuove sempre profondamente perché ad un certo punto il salmista compositore del salmo dice: "Ed essi mi dicono: dove è il tuo Dio?". La domanda che faceva versare lacrime al salmista può esserci oggi rivolta e dallo scettico: "Ma dove è il vostro Dio?" ("Ma cos'è la verità?" dice Pilato), oppure dal disperato: "Dimmi dov'è davvero il tuo Dio". Cioè come dire: "Intanto anche tu non sai dove è". Dove è, quale è il luogo della sua presenza, luogo entrando nel quale e dimorando nel quale l'uomo possa celebrare la festa della sua beatitudine.

Trovo la risposta in una ammirabile - ancora - pagina di S. Agostino che vi leggo e con la quale concludo. Dice S. Agostino proprio commentando questo salmo: "Quando gli uomini celebrano le loro feste, sono soliti collocare alcuni strumenti musicali dinnanzi alle loro case, oppure ingaggiare suonatori, insomma suonare qualche musica. Chi passa, udendola, che cosa dice? Chiede di che cosa si tratta. Risponderanno che si tratta di una festa. Diranno che è una festa per un compleanno, oppure che si tratta di una festa di nozze, affinché quei canti non sembrino fuori luogo.

Nella casa del Signore la festa è eterna, non vi si celebra una festa che passa, perché il volto di Dio dona una letizia che non viene mai meno. E questo giorno di festa non ha né inizio né fine. Da quella eterna e perpetua festa risuona nel cuore dell'uomo un non so che di dolce e di canoro, il suono di quella festa accarezza le orecchie di chi cammina là dove si compiono i miracoli di Dio nella redenzione dei fedeli, nella Chiesa". Così S. Agostino.

Nella Chiesa

È nella comunione col Cristo che è la Chiesa, che si ha quella esperienza di bene, che è fonte inesauribile di una speranza che non delude, poiché in questa comunione ci è dato di vedere i miracoli che Dio compie nella redenzione dei suoi fedeli.

 

 

Conclusioni e ringraziamenti di S. E. MONS. ANGELO SCOLA

Vorrei concludere solo con un ringraziamento particolare a mons. Caffarra, non solo per il fatto di essere venuto qui tra noi, ma per la scelta difficile che ha fatto nella interpretazione del tema.

Ogni tema di conferenza - chi ne ha un poco di esperienza lo sa - è una provocazione fatta all'artista, al conferenziere e ognuno lo suona secondo il suo gusto e secondo una sua melodia. Quando non succede così in genere le conferenze diventano estremamente noiose, perché sono una ripetizione meccanica di cose tecniche e già note.

Ora sarebbe stato molto facile per mons. Caffarra parlare qui di quei temi drammatici, così attuali oggi, legati alla bioetica, legati al tema della natalità e al tema della morte. Sarebbe stato facile perché lui è uno dei massimi esperti mondiali di bioetica, riconosciuto da tutti come uno dei massimi esperti mondiali. Quindi sarebbe stato molto facile parlare di questo.

Invece ha fatto una scelta, ha interpretato il tema in maniera rapsodica - una scelta geniale - cioè andando alla radice di questi problemi, di questi disagi e provocando quindi, ognuno di noi, sulla sfida delle sfide: quella che riguarda il fondamento stesso della vita e della famiglia che è appunto la capacità di accogliere quell'anelito di verità, di bontà, di bellezza - in una parola di felicità - che alberga nel cuore di ogni uomo.

Io gli sono molto grato di questo e sono certo di interpretare bene anche i vostri sentimenti nei suoi confronti per l'attenzione che avete mostrato e che state ancora mostrando ora, nonostante che sia passato non poco tempo.

Realmente noi non dobbiamo solo fermarci alla tragicità delle conseguenze, perché se ci si ferma solo alle tragiche conseguenze si finisce per suonare una musica che altri, il cui spartito altri ci mettono sotto gli occhi. Noi dobbiamo ritornare al fondamento, a quel fondamento che ci consente di capire perché oggi un uomo e una donna non rischiano più di amarsi per tutta la vita nel sacramento.

Perché un uomo e una donna non hanno più desiderio di mettere al mondo dei figli? Di metterli al mondo secondo il ritmo del loro amore e del loro bene? Perché una persona anziana che arriva verso la fine della sua vita può incontrare l’inconveniente gravissimo di parenti, o di amici che pensano che in fondo sia bene porre fine alle sue sofferenze, alle sue fatiche attraverso un'interruzione meccanica della sua esistenza? Perché? Perché nella nostra società questo è così normale?

Ecco la questione. Ora la grande saggezza di don Carlo è stata quella di scavare qui sul fondamento, affinché rinasca nell'uomo il desiderio e il gusto di amare e di amare nella fedeltà e nella indissolubilità, il gusto di generare, il gusto di ricevere da Dio l'amore e la vita, il gusto di fare l'esperienza della vita in tutta la sua interezza ivi compresa la morte, secondo tutti i suoi aspetti.

Questo mi sembra, quindi, un guadagno sicuro per il primo dei nostri tre incontri sul tema della famiglia.

Se la famiglia non è la comunicazione di questa esperienza elementare, come lui l'ha descritta ed esemplificata, in fondo essa non esiste come soggetto primario e come cellula costitutiva della società e della Chiesa.

Questa è la grande, questa è la vera sfida la famiglia di oggi. Le altre sono sfide drammatiche, realissime, importantissime, ma che noi, che la famiglia e le famiglie cristiane non sapranno raccogliere se non vivono questa sfida più profonda. Perché si aiuta molto di più la donna che disperata ricorre all'aborto o che per comodità ricorre all'aborto testimoniando la bellezza e la gioia di un amore che genera figli, che non facendo solo discorsi sull'aborto o dando solo statistiche.

Bisogna che i cristiani testimonino la densità umana che nasce dalla fede. Godere la vita, dicevamo prima: bisogna che dimostrino che chi segue Cristo gode veramente la vita, la vive in tutta la sua intensità e secondo la pienezza di tutte le sue sfumature a tal punto che con S. Paolo può dire: "Nel dolore lieti".

Nel dolore lieti. Questa è la grande forza che noi dobbiamo portare anche nella nostra città, questa è la suprema di tutte le testimonianze che dobbiamo dare. Ed è la radice di ogni battaglia per i diritti, soprattutto per i diritti supremi, come quelli della libertà, dell'educazione, della morte naturale che dobbiamo fare. Quindi di nuovo grazie a lui, grazie a voi tutti.