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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


GIUBILEO EDUCATORI
Cinema Teatro S. Benedetto
29 gennaio 2000

1. Di che cosa stiamo parlando, quando parliamo di "educazione"? parliamo di come prendersi cura della persona umana: di come l’interessarsi dell’uomo prendendosene cura.

Possiamo allora chiederci a quali condizioni è possibile "prendersi cura della persona umana". La prima e fondamentale è che si condivida il destino dell’altro [di cui ci si prende cura]. Più precisamente: che il bene dell’altro sia affermato e voluto come il proprio bene. L’identificazione del bene dell’altro col proprio bene è l’amore nella sua forma più alta: "ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per educarlo" (Rom 15,2). Prendersi cura della persona umana è impossibile senza l’amore per la persona umana: è il motivo ultimo dell’atto educativo, come ci ha appena ricordato S. Giovanni Bosco. L’educazione perfetta è quindi quella con cui Dio stesso educa l’uomo, si prende cura dell’uomo (cfr. Deut 8,1-5). Pertanto, "qualunque educazione in cui qualche precettore o genitore allevi la gioventù sua, non vuole essere, secondo i cristiani principi, che imitazione del modo col quale Dio alleva gli uomini per la pietà, ovvero una applicazione, o (mi si conceda dire) una particolare attuazione di quella comune e divina educazione" (A. Rosmini, Dell’educazione cristiana, in Opere 31, CN ed., pag. 229). E si capisce subito che la forma originaria dell’atto educativo è quello che si compie nel rapporto genitore-figlio. Ma non è tanto su questo che ora voglio attirare la vostra attenzione, preferendo continuare nella individuazione delle condizioni che consentono di prendersi cura della persona umana.

La prima, dunque, è l’amore. Ma parlando dell’amore è stato inevitabile introdurre un altro concetto e parola: il "bene". Prendersi cura della persona umana significa interessarsi al suo bene, volere il suo bene. Il concetto di "bene della persona umana" è la chiave di volta di ogni progetto educativo, e di fatto, inevitabilmente, ogni attività educativa implica consapevolmente o non la risposta alla domanda: quale è il bene della persona umana? E’ necessario che ci fermiamo un momento su questa fondamentale domanda in quanto domanda riguardante il "prendersi cura dell’uomo", cioè l’educazione.

E’ possibile dare una risposta, ed è una risposta vera [parzialmente], molto semplice: bene della persona umana è ciò che appaga un suo desiderio particolare, ciò che risponde ad una sua esigenza particolare. La salute è un bene in questo senso: prendersi cura della persona umana significa certamente prendersi cura della sua salute. E gli esempi sono facilmente rinvenibili, poiché il bene di cui stiamo parlando è ciò a cui di solito pensiamo quando pronunciamo la parola bene. Ma per prendersi cura della persona umana basta sapere quali sono i suoi beni particolari? Basta guidarla all’acquisizione dei vari beni particolari? Non basta; anzi se limitassimo la nostra cura dell’uomo a questo, finiremmo, magari contro le nostre intenzioni, col fare male alla persona umana. Perché? Rispondo subito dicendo: perché la persona umana è "qualcosa" di unitario e la sua unità non è il risultato di tanti fattori, ma è l’integrazione di tante dimensioni, facoltà operative, relazioni.

Nella sua formulazione questa risposta non sarà risultata molto chiara. Cercherò di chiarirne il significato, sforzandomi di farlo nel miglior modo possibile, poiché qui tocchiamo uno dei punti nodali dell’attuale crisi dell’educazione.

Dimentichiamo per un momento il problema educativo e guardiamo semplicemente a se stessi: ciascuno guardi a se stesso. Non c’è dubbio che ciascuno di noi può anche accontentarsi di perseguire i vari beni particolari ai quali è orientato dai suoi desideri, aspirazioni, necessità. Tuttavia, arriva per tutti o prima o poi un momento in cui non considero più me stesso, la mia vita come uno sforzo, una tensione di raggiungere un bene dopo l’altro, ma considero la mia vita nella sua interezza, la mia esistenza come un intero-unitario. Ed allora la domanda è: come sto vivendo? Come ho vissuto finora? [domanda sul passato]; e quindi in che modo penso di continuare a vivere? [domanda sul futuro]. Se cerco di dare una risposta a queste domande, una risposta intendo ragionevole, lo posso fare solo in base ad un "bene" secondo il quale posso giudicare che "posso continuare a vivere come ho fatto prima", oppure "non posso, non voglio continuare a vivere come ho fatto finora"; è stata una vita vissuta bene; non è stata una vita vissuta bene.

Vedete che è emerso un concetto di "bene della persona umana" diverso da quello cui pensiamo solitamente, molto più profondo. Bene è "ciò in vista di cui" vale la pena ultimamente vivere: possiamo chiamarlo bene ultimo. Non nel senso della numerazione, ma nel senso di ciò che ultimamente significa: non ha un bene ulteriore.

Prima di procedere dobbiamo liberarci da un equivoco. Il bene in questo significato più profondo non è alternativo ai beni particolari di cui parlavamo prima. La cosa che stiamo dicendo è più profonda e più semplice. L’esistenza di un "bene ultimo" implica che i vari beni particolari siano coordinati ed integrati secondo una relazione interna. Faccio un esempio: non ci sono persone che hanno perduto la salute a causa del lavoro che facevano per la loro famiglia? I martiri non hanno rinunciato alla loro vita fisica per coerenza alla loro fede? Vedete come beni particolari [la salute, la vita] vengono rapportati e coordinati ad un bene ritenuto superiore.

In sintesi: arriva un momento in cui io capisco la mia vita come un tutto, come un intero. In quel momento capisco che essa ha un fine ultimo che dà ordine ed unifica tutti gli altri scopi o beni che mi propongo.

Ritorniamo ora al problema educativo. Educare significa prendersi cura del bene dell’uomo. Ora sappiamo che "bene dell’uomo" non significa solamente "beni particolari – loro somma". Significa bene ultimo che la persona deve realizzare se vuole che la sua vita nella sua interezza sia valsa e valga la pena di essere vissuta. Ed è qui che si pone quindi il significato più profondo dell'educare: educare significa prendersi cura del bene ultimo dell’uomo, di ciò che ultimamente rende la vita una vita buona, piena di senso. Prendersi cura significa interessarsi al bene ultimo dell’uomo, e non solo ai suoi beni particolari. "Ci avete dato tutto, meno che il necessario" scrisse un giovane prima di suicidarsi. Eco inconfondibile di una parola di Gesù: "Marta, Marta tu ti preoccupi di troppe cose: una sola è il necessario".

Giunti a questo punto, sempre per raggiungere un’intelligenza più profonda dell’equivalenza fra educare e prendersi cura del bene dell’uomo, dobbiamo farci due domande: quale è il bene ultimo che costituisce una persona umana nella pienezza del suo essere, una volta realizzato? Quale è il modo proprio e specifico del "prendersi cura dell’uomo" da parte di chi educa?

La risposta alle due domande, davvero fondamentali nel dibattito pedagogico contemporaneo, costituiranno i due punti seguenti della mia riflessione, che così avrà termine.

2. Nel rispondere alla prima domanda, noi oggi ci troviamo di fronte ad una situazione davvero conflittuale.

Ampia parte della cultura contemporanea ritiene che non valga la pena vivere in vista di uno scopo ultimo, di un progetto unitario, ma che basta vivere facendo attenzione ai singoli momenti, perseguendo solo beni particolari. E ciò a causa del fatto che un fine ultimo della vita umana non è oggettivamente determinabile; anzi non esiste neppure. La vita non può che essere un seguito di tante proposizioni, senza che dal loro insieme ne venga una narrazione dal significato unitario; non può che essere tante scelte, senza che dal loro coordinato intrecciarsi emerga un cammino verso un traguardo finale.

La Chiesa cattolica è rimasta l’unico soggetto educativo a ritenere che il bene ultimo dell’uomo sia oggettivamente determinabile: che esista cioè una verità sul bene ultimo della persona umana. Non solo, ma che questa verità sia conoscibile, almeno da un certo punto di vista, dalla ragione. E pertanto sia ragionevole, cioè conforme alla realtà dell’uomo, ordinare tutti i nostri desideri in relazione all’ottenimento di un bene ultimo e dare così un progetto unitario alla propria esistenza.

Teniamo ben presenti queste due risposte alternative perché contrarie, e passiamo senz’altro alla risposta alla seconda domanda ancora inevasa.

3. Quale è il modo proprio e specifico dell’educatore di "prendersi cura dell’uomo"? la risposta a questa domanda prende avvio da una costatazione ovvia: la persona umana di cui si prende cura l’educatore è una persona che non ha ancora raggiunto la sua maturazione, che non è ancora stata – per così dire – interamente generata nella sua umanità. Se poi ci chiediamo quale è la forza che opera questa maturazione della persona umana, il principio che genera la persona nella pienezza della sua umanità è la libertà liberata dalla grazia redentiva di Cristo. Scrive un Padre della Chiesa:

"ciò che sempre muta deve essere in qualche modo generato: infatti non si osserva nella natura soggetta a cambiamento niente che resti sempre uguale a se stesso. Tuttavia il venire così generati non dipende da un impulso esterno a somiglianza degli esseri generati corporalmente secondo casualità, bensì tale parto avviene per libera scelta. E in qualche modo noi siamo padri di noi stessi, generando noi stessi quali ci vogliamo e plasmandoci di nostra propria scelta nella forma che vogliamo"

[S. Gregorio Nisseno, Vita di Mosè (ed. Musurillo), 33, 19-34, 14]

 

Del resto già Socrate paragonava se stesso all’ostetrica. Ora abbiamo tutti gli elementi per rispondere alla domanda: l’educatore si prende cura dell’uomo perché ne promuove la sua libertà, rendendola capace di generare in pienezza di umanità la persona. Che cosa significa "pienezza di umanità" è già stato in fondo spiegato nel primo punto della nostra riflessione. E’ il raggiungimento dei vari beni coordinati ed integrati nel bene ultimo della vita. Prendersi cura del bene della persona umana significa per l’educatore liberare la persona che sta educando perché possa orientarsi verso la pienezza della sua umanità. In ultima analisi, a seconda della concezione che l’educatore ha della libertà, egli determina tutta la sua opera educativa. La definizione di educazione dipende dalla definizione di libertà. Ed è proprio a causa del fatto che non è più chiaro per noi educatori che cosa significhi essere liberi, che ci troviamo in condizioni di vera difficoltà: noi educatori, sottolineo. E’ perché viviamo in una cultura nella quale convivono definizioni non diverse e complementari di libertà, ma definizioni contrarie e quindi alternative, che noi educatori siamo veramente in una "impasse".

Conclusioni

La negazione dell’esistenza di un bene ultimo della vita oggettivamente determinabile, e quindi l’impossibilità di determinare un significato fondamentale della vita, porta a considerare la liberà come la ricerca di singoli beni particolari, tendenzialmente facendola coincidere colla spontaneità. Educare significa educare alla spontaneità?

Noi riteniamo che esiste un significato ultimo della vita, che non esistano solo beni particolari, che esista una verità razionalmente conoscibile circa il bene ultimo della vita. Educare significa liberare la libertà dalla pura spontaneità per la ricerca di una pienezza di verità attraverso un uso spregiudicato della ragione; per la ricerca di un pienezza di integrazione nella persona di ogni suo dinamismo; per la ricerca di una pienezza di comunione fra le persone. In una parola: per la ricerca di una pienezza di bene che si trova interamente nell’incontro con Cristo.


"Volevo latte e ho ricevuto il biberon.
Volevo dei genitori e ho ricevuto giocattoli.
Volevo parlare e ho ricevuto un libro.
Volevo imparare e ho ricevuto pagelle.
Volevo pensare e ho ricevuto saperi.
Volevo essere libero e ho ricevuto regole.
Volevo amare e ho ricevuto una morale.
Volevo una professione e ho ricevuto un posto.
Volevo felicità e ho ricevuto soldi.
Volevo un senso e ho ricevuto una carriera.
Volevo speranza e ho ricevuto paura.
Volevo vivere …"