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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Quale posto per l'etica nell'esercizio delle arti professionali?
Convegno della associazione "Il Fiorile"
13 giugno 1997

Tratto dal sito della Associazione Medici Cattolici Italiani - Sezione di Ferrara

Poiché non tutti, parlando di etica, parlano della stessa cosa, penso che sia necessario che cominci con il chiarire il concetto stesso di etica, o meglio di che cosa questa sera io parlerò, parlando di etica.

1. Il concetto di etica
La "domanda etica" nasce nel cuore dell'uomo nel momento in cui, consapevole della sua libertà, la persona umana si chiede la ragione, il significato del suo essere libera. Basta un poco di attenzione alla nostra vita spirituale per renderci conto che, se l'esperienza del nostro essere liberi è immediatamente esperienza di una "liberazione da..." (cioè assenza di vincoli che in qualsiasi modo possono predeterminare le tue scelte), nel suo senso però più profondo noi sperimentiamo il nostro essere liberi come "libertà per...". Cioè: la ricerca di una "libertà da..." (libertà come autonomia) è in vista di una "libertà per...". Libertà per che cosa? Libertà in vista di che cosa? Potrei già dire che questa è la domanda etica, cioè la domanda sulla ragione per cui sono libero, la domanda sul significato del mio essere libero: perché sono libero? che senso ha il mio essere libero? Ma formulata così, forse la domanda etica non mostra ancora tutto il suo potenziale teoretico e pratico. Consentitemi di fermarmi ulteriormente su di essa.
Si deve iniziare con il fare i conti con le due più radicali negazioni dell'etica. La prima: nega il senso stesso della domanda, poiché nega precisamente l'esistenza di una persona libera, l'esistenza della libertà. Libertà ed etica infatti stanno o cadono assieme: la negazione della prima comporta la negazione coerente dell'altra. Resta solo un'etologia, cioè una scienza del comportamento. La seconda: nega il senso della domanda, poiché identifica puramente e semplicemente il significato di essere liberi con il puro e semplice esercizio della libertà. Questa seconda, radicale negazione del senso di una domanda etica, nasce dal fatto che alla domanda "che senso ha essere liberi?" si risponde: nessun altro se non essere liberi. Cioè: la libertà in sé e per sé ha valore. Vorrei fermarmi un momento su questa posizione. E' necessario fermarci, sia perché il concetto forte di autonomia, cioè l'idea di un diritto alla libera scelta come atout è idea onnipresente in quella "filosofia pubblica" che influisce sui processi legislativi e giurisdizionali e genera l'opinione pubblica, formando un vero e proprio clima culturale. Sia perché questa idea sta producendo contraddizioni non solo argomentative, ma anche istituzionali, anche nell'ambito della nostra riflessione di questa sera.
Mi spiego subito. Da una parte, anche il più accanito difensore del concetto forte di autonomia riconosce legittimo limitare l'autonomia di uno, nella precisa misura in cui ciò è necessario per assicurare l'autonomia dell'altro: e l'esercizio di qualsiasi professione pone sempre in essere un rapporto fra due o più persone. Nel momento però in cui si tratta precisamente di una tale limitazione di autonomia, viene appunto invocata l'autonomia per respingere quella limitazione. E cosi da una parte si invocano sempre più norme, dall'altra si è sempre meno capaci di giustificare tale invocazione.
Da questa situazione si può uscire solo abbandonando quel concetto forte di autonomia che priva di senso ogni domanda etica. Quando si abbandona questo concetto? Quando vedo nell'autonomia una capacità di libera scelta in funzione di beni, in modo tale che solo la realizzazione di essi, ed in essi della persona, conferisce alla libertà il suo pieno valore. Questo modo di pensare l'esercizio della propria libertà implica l'affermazione che la nostra ragione sia capace di conoscere la verità circa il bene della persona e circa i beni per la persona.
Ora siamo in possesso di tutti gli elementi che compongono la definizione stessa di etica, il "di che cosa" parliamo quando parliamo di etica. L'etica è la scienza che si propone la conoscenza della verità sul bene della persona (e quindi sui beni che la realizzano), in vista del quale (per la realizzazione del quale) noi siamo liberi: "ideo liberi sumus quia subiecti sumus veritati" (S. Agostino). Si può dunque dire: quando noi parliamo di etica noi parliamo del significato ultimo del nostro essere liberi.

2. Etica e professioni
Quale posto allora ha questa riflessione nel momento in cui noi riflettiamo sull'esercizio delle professioni? Il ventaglio delle risposte a questa domanda è oggi assai ampio.
- Se per etica si intende ciò che prima si è detto, la risposta è: nessuno. Non esiste infatti un bene proprio dell'esercizio della professione, ma nella precisa misura in cui questo è richiesto, si deve solo regolamentare tale esercizio con delle leggi. Ora "non veritas, sed consensus facit legem". Il risultato di questa impostazione è che non esiste una identità propria, permanente di ogni professione.
- Ma, ed è la seconda risposta, l'etica non ha nessun posto poiché l'esercizio della professione deve essere semplicemente lasciato alla responsabilità del professionista, senza che nessuna altra istanza possa intervenire.
Fermiamoci un momento a considerare queste prime due risposte. Esse riflettono in modo speculare quell'intima contraddizione da cui le società liberali non riescono a liberarsi, di cui ho parlato nel punto precedente.
Si può uscire da questa contraddizione? Il tempo a mia disposizione mi consente solo di formulare alcune proposte di riflessione.
- Ha senso parlare in modo serio di etica delle professioni, solo se si ammette che ciascuna di esse ha una sua propria identità, definita dallo scopo per cui esiste. Esiste cioè un bene proprio di ciascuna professione.
- Questa identità ha da ritenersi intangibile da parte di qualsiasi autorità. E' un aspetto particolare di quella visione della società, fondata sul principio di sussidiarietà!
- L'identità genera un ethos specifico di ogni professione, un'insieme cioè di attitudini spirituali che definiscono il "buon professionista". E' questo ethos che deve generare poi quelle norme di comportamento proprie dell'esercizio di ogni professione: sono i codici deontologici.
- L'esercizio di ogni professione ha una relazione stretta con il bene comune. E' questa relazione che fonda la legittimità dell'intervento statuale per regolamentare l'esercizio della professione. E' necessaria una vera continuità fra identità della professione, ethos professionale, codice deontologico, legge civile. E' questa un'articolazione assai delicata. Se oggi non e più chiaro quale posto ha l'etica nell'esercizio delle arti professionali, è perché quell'articolazione è stata spezzata. E' stata spezzata nella direzione o di una affermazione di autonomia senza regole o di una richiesta di norme giuridiche sempre più invadenti.
E' la perdita del vero significato della libertà che, se non pienamente ricuperato, condannerà l'uomo all'arido deserto dell'individualismo.

Trascrizione, non rivista dall'Autore, del contributo all'incontro organizzato dall'associazione culturale "Il Fiorile", tenutosi a Ferrara il 13 giugno 1997.