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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


L’Arte di Presiedere: una riflessione teologica ed etica sul governo episcopale
Fidenza 14 marzo 2002

La nostra riflessione si fonda su un testo del Concilio Vaticano II, che recita: "In mezzo ai credenti è presente (adest) il Signore Gesù Cristo pontefice sommo, nella persona dei vescovi assistiti dai presbiteri … E’ Lui che per mezzo della loro saggezza e prudenza dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nel suo pellegrinare verso la beatitudine eterna" [Cost. dogm. Lumen gentium 21,1; EV 1/334]. E’ la base dogmatica di tutto il nostro discorso: nella persona del Vescovo si attua la permanente presenza salvifica di Cristo. Presenza che si esplica attraverso la predicazione del Vangelo, la celebrazione del divini Misteri e la guida del popolo cristiano. "I vescovi non fanno niente in nome proprio e per virtù propria.. La loro attività è sempre azione vicaria di Lui (= Cristo)." [U. Betti, La dottrina sull’episcopato del Concilio Vaticano II, Roma 1984, pag. 367].

Ovviamente questa presenza attiva di Cristo nella persona del Vescovo è resa possibile da un legame ontologico del Vescovo medesimo colla persona di Cristo, che non può che essere una assimilazione a Cristo – sposo/capo della Chiesa: legame ontologico che può essere prodotto solo da un sacramento. Solo infatti un atto sacramentale può operare "in chi lo riceve una trasformazione, che lo mette in uno stato di connaturalità con gli uffici sacri che gli vengono sacramentalmente conferiti [ibid. pag. 366].

L’affermazione dell’obiettiva presenza di Cristo nel Vescovo fondata sacramentalmente è il presupposto di tutta la mia riflessione seguente. La dividerò in due parti. Nella prima cercherò di chiarire la natura intima della guida o governo episcopale contestualizzandolo nell’economia generale della salvezza; nella seconda cercherò di spiegare le due proprietà che secondo il testo conciliare deve possedere il governo pastorale del Vescovo: la sapienza e la prudenza. La logica dunque del discorso è la seguente: natura del governo e proprietà del governo. Sempre alla luce che proviene dal presupposto dogmatico fondamentale.

1. La natura del governo

Molte sono le vie che la riflessione teologica può percorrere per cogliere la natura del governo episcopale. Noi percorreremo quella della "analogia fidei": porremo il fatto di cui stiamo parlando, il governo episcopale, in rapporto con alcune fondamentali verità di fede. Da questa correlazione sgorga la nostra intelligenza teologica del governo episcopale. Per ragioni di tempo la mia riflessione sarà molto schematica.

Quanto già la ragione deve affermare, è esplicitamente rivelato dalla Parola di Dio: l’azione divina ad extra non può essere priva di intelligibilità e casuale. All’origine dell’universo creato sta un atto di intelligenza e di libertà divina. Esiste un progetto divino. La Scrittura parla di una oikonomía [=piano di governo]; parla di una próthesis [= proposito]: cfr. Ef 1,9-12.

Questo progetto divino non lascia nulla e nessuno fuori di sé, ma comprende sia le creature irragionevoli sia le creature-persone. Ma in modo diverso, in quanto la seconde sono infinitamente superiori alle prime sia a causa della perfezione della loro natura sia a causa della dignità del loro fine [cfr. S. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentes III, cap. CXI (§ 2855)]. A causa della perfezione della loro natura: solo le persone hanno il domino del loro agire, liberamente muovendosi all’azione; le altre creature sono piuttosto mosse. A causa della dignità del loro fine: solo le persone sono capaci di relazionarsi a Dio attraverso l’intelligenza e la volontà.

Da ciò deriva un primo corollario importante, il corollario del primato dell’essere-personale nell’universo dell’essere. Tutto il mondo non personale entra nel progetto divino in ordine alla persona; la persona non in ordine ad altro che a se stessa. Cioè: non esiste nulla di più grande nell’universo creato della persona.

Ciò che ho detto finora sul "progetto divino" è ancora formale. Non dice ancora nulla sul contenuto del progetto stesso. Il contenuto può esserci però detto da Dio stesso. Per divina rilevazione noi sappiamo che l’intero universo trova in Cristo la sua Kephalé [cfr. Col 1,18 e Ef 1,10]. Il disegno di Dio è Gesù Cristo e si attua in Gesù Cristo, il Verbo incarnato crocefisso e risorto. Come sappiamo, questa convinzione che tutto ciò che il Padre ha voluto e pensato è finalizzato a Cristo principio dell’umanità ricreata, è la convinzione centrale nei padri della Chiesa: il poco tempo che abbiamo a disposizione mi impedisce di fare anche poche citazioni.

Ma che cosa significa esattamente che il contenuto unico e completo del disegno divino è Gesù Cristo? Partiamo da un testo paolino: "Egli ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia: grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità" [2Tim 1,9]. Ciò che Dio, il Padre, ha inteso e voluto è che in Cristo e per mezzo di Cristo la persona umana divenisse partecipe della divina figliazione del Verbo. E’ la ri-capitolazione di ogni realtà in Cristo . Poiché questa unificazione di ogni persona in Cristo, in forza della partecipazione alla stessa vita divina da parte della persona, è la Chiesa, possiamo e dobbiamo dire che il contenuto unico e completo del disegno divino è la Chiesa, cioè il Christus totus: "il Signore crocifisso e risorto, che forma con la creazione redenta e rinnovata un organismo unico, vitalmente compaginato e non separabile" [G. Biffi, Canto nuziale, Jaca Book ed., Milano 2000, pag. 99]. L’affermazione secondo la quale il contenuto unico e completo del piano divino è la Chiesa, non deve inquietarci. L’apostolo Paolo dice che al Padre sale la gloria "nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen" [Ef 3,21]. Come potete vedere Cristo e la Chiesa sono una sola realtà per tutta l’eternità.

Da ciò deriva un secondo corollario importante, il corollario del primato del bene della Chiesa, la cui formulazione ed approfondimento ho trovato soprattutto in A. Rosmini: tutti i pensieri, tutte le scelte, tutti i desideri, tutte le azioni devono essere rivolti al bene, all’incremento cioè della Santa Chiesa [cfr. per es. A. Rosmini, Scritti ascetici, ed. Paoline, Milano 1987, pag. 45]. La nostra esistenza infatti ha senso in quanto realizza il progetto divino; ma il contenuto di esso è l’unione con il Cristo, cioè l’essere Chiesa.

Ora possiamo avere una vera intelligenza teologica del governo episcopale. In forza della sua configurazione sacramentale a Cristo, il Vescovo diviene capace [= potestas ordinis] di rendere attuale e visibile la guida che Cristo compie della sua Chiesa. Che cosa significa esattamente "guida"? Significa che il Vescovo dirige le scelte dei fedeli e le ordina al bene della Chiesa, bene che consiste nella santificazione della persona, nella sua assimilazione cioè a Cristo.

Il governo dunque episcopale si inscrive, si inserisce e si radica nel divino progetto salvifico, in quanto e nel preciso significato che esso rende attuale e visibile l’azione con cui Cristo opera la direzione e l’ordinamento delle scelte dei fedeli verso lo scopo ultimo di tutto ciò che esiste: l'unione delle persone rigenerate con Sé stesso e in Sé stesso.

Termino questo primo punto della mia riflessione con tre precisazioni di decisiva importanza per evitare equivoci.

La prima. L’esercizio, la funzione di governo non deve mai essere staccata dalla funzione di santificare e di insegnare, pena lo snaturamento delle singole funzioni. L’essere il Vescovo sacramento della presenza di Cristo nella comunità dei fedeli comporta in lui la presenza di tutti e tre gli uffici "i quali, pur diversificati, non sono né estranei né separabili l’uno dall’altro. Sono piuttosto aspetti diversi dell’unico potere sacro" [U. Betti, La dottrina … op. cit. pag. 369].

La seconda. Quanto detto sopra non significa che i singoli atti di governo del vescovo siano sempre atti di Cristo quanto al loro contenuto. Vale qui una legge generale riguardante la partecipazione umana al governo divino: ciò che è chiesto ai fedeli dal governo del Vescovo non deve essere compiuto perché è ciò che è chiesto da Dio stesso, ma perché semplicemente Dio vuole che si esegua quanto è ordinato dalla legittima autorità. Non sempre Dio vuole ciò che l’autorità umana ordina; ma vuole sempre che si compia ciò che essa ordina.

La terza. Poiché siamo nella Nuova Alleanza, quando parlavo di "dirigere le scelte dei fedeli e ordinarle al bene della Chiesa" non intendevo dire tutte le scelte, ma solo ciò che è necessario al bene della Chiesa. La legge della Nuova Alleanza è lo Spirito Santo che ci è stato donato in Cristo [cfr. 1,2,q. 107, a.4: ne conversatio fidelium onerosa reddatur].

2. Con sapienza e prudenza

Vista la natura mistico-sacramentale del governo episcopale, consideriamo ora le sue proprietà essenziali: la sapienza e la prudenza.

La sapienza in primo luogo. A. Rosmini insegna che nelle nostre scelte e decisioni possiamo essere guidati da ragioni che egli qualifica come "primarie e di assoluta verità, semplici, sublimi, universali, madri di costanza e di pace", oppure da ragioni "secondarie e che hanno una verità relativa solamente e parziale, che appartengono ad una sfera di cose più basse ed angusta e mettono l’animo in una perpetua perturbazione e inquietudine" [cfr. Scritti ascetici, op. cit. pag. 153].

Rosmini riprende in questa distinzione una suggestiva pagina di Agostino [de Trinitate XII, 14,22; NBA IV, pag. 490-493] nella quale Agostino distingue una conoscenza sapienziale attraverso la quale l’uomo attinge lo stesso essere divino, ed una conoscenza scientifica attraverso la quale "bene utimur temporalibus rebus".

Anche Tommaso si rifà esplicitamente alla pagina agostiniana [cfr. 2.2,q.45,a.3] giungendo ad una sintesi sublime: è sapiente colui che è capace di "dirigere actus humanos secundum rationes divinas" [ibid. ad 3um].

Ora sappiamo cosa significa che il vescovo governa la Chiesa con sapienza: egli dirige e ordina le scelte dei fedeli "secundum rationes divinas", secondo le ragioni "primarie e di assoluta verità, semplici, sublimi, madri di costanza e di pace". Esse sono quelle ragioni ultime intrinseche al divino progetto di cui abbiamo parlato. Nel loro insieme costituiscono la logica, l’intima intelligibilità del piano divino: è la mens divina come si rivela nell’economia della salvezza.

L’assimilazione da parte del Vescovo di queste "rationes divinae", ethos del suo grande governo, avviene soprattutto in forza del dono dello Spirito Santo, il quale connaturalizza lo spirito del Vescovo colla realtà divina.

Quali sono le regole divine o le "ragioni semplici e sublimi" che ispirano il governo del Vescovo? Mi limito solo ad enunciarle: la regola divina del cristocentrismo-ecclesiocentrismo; la regola divina del primato della persona; la regola divina del primato del bene nei confronti dell’efficace; la regola divina del primato della santità nei confronti di ogni altro valore [oppure: del primato del soprannaturale nei confronti di tutto ciò che è naturale]. Non posso fermarmi a considerare ciascuna di queste "rationes divinae" secondo le quale "dirigere actus humanos".

La prudenza è la seconda proprietà del governo del Vescovo. E’ la capacità di introdurre le "rationes divinae" dentro alla vita quotidiana dei fedeli, indicando ed ordinando quelle scelte che concretamente sono necessarie alla realizzazione del progetto divino.

In realtà è solo attraverso un giudizio ed un ordinamento prudente che le regole semplici e sublimi del piano divino ispirano e governano l’agire dei fedeli.

Quali sono le condizioni o le attitudini spirituali che assicurano un governo prudente? Le letteratura etica cristiana ha lungamente riflettuto su questo problema: mi limito ad alcune considerazioni.

Ad un governo prudente concorre in primo luogo l’inserimento profondo dentro alla tradizione della Chiesa [gli studiosi di etica dicono che la memoria è la prima dimensione costruttiva del giudizio prudenziale: cfr. per es. 2,2,q.49,a.1]; è l’assimilazione vitale della tradizione della Chiesa. La Chiesa vive dentro al tempo, e la sua vita passata si continua dentro alla nostra esperienza di fede. In questo contesto si comprende il significato profondo di quella purificazione della memoria di cui il S. Padre ha parlato tanto durante l’Anno Santo.

Ad un governo prudente concorre in secondo luogo la docilità e il discernimento verso il presente della Chiesa. La Chiesa è sempre la realizzazione del piano divino e dunque dimora permanente dello Spirito Santo. Egli è stato definitivamente donato ad essa per sempre: non era più presente ieri di oggi o oggi più di ieri. Ciò che varia è la nostra obbedienza che può essere più o meno grande. Docilità significa porsi nell’attitudine di chi vuole ascoltare ciò che lo Spirito dice alla Chiesa. Come parla lo Spirito della Chiesa? come cioè la introduce sempre più profondamente nell’unione nuziale con Cristo? Sia attraverso "la contemplazione e lo studio dei credenti …; sia con la profonda intelligenza delle cose spirituali di cui fanno esperienza; sia per la predicazione di coloro che con la successione apostolica hanno ricevuto un carisma sicuro di verità" [Cost. dogm. Dei Verbum 9,2; EV1/883]. Discernimento significa capacità di distinguere correttamente la voce dello Spirito dalla voce del mondo, della carne, del Satana.

In rapporto al passato, ad un governo prudente concorre una profonda radicazione del Vescovo nella Tradizione ecclesiale; in rapporto al presente, ad un governo prudente concorre la presenza nel Vescovo della docilità e del discernimento; in rapporto al futuro, che per la Chiesa è il suo camminare nel mondo verso la vita eterna, ad un governo prudente concorre un vero spirito di profezia, la capacità cioè di capire ciò che sta accadendo nel mondo in rapporto alla presenza della Chiesa in esso.

Conclusione

Vorrei concludere col dialogo immaginato da I. Silone, fra il papa Celestino V ed il card. Gaetani:

Celestino V: La cristianità è vastissima, sì, ma pur tuttavia è composta di anime e non di cose. Io non posso trattare i cristiani come oggetti, come pietre, come sedie, come utensili e neanche come sudditi ... Posso ammettere che questo modo di vedere sia scomodo dal punto di vista della rapidità e disinvoltura nel comandare, ma mi pare che anche in questo debba esserci una differenza tra i cristiani e i pagani. .... Se mi viene sottoposto il caso di una persona qualsiasi ed io sento che dalla mia decisione può dipendere la sua salvezza o rovina, come posso procedere alla svelta? Non ha importanza che mi sia sconosciuta: è una creatura, un’anima. Sarebbe mio dovere andare a cercarla, conversare con essa, cercare di conoscerla...

Card. Gaetani: Strano, veramente strano. Non immaginavo che potesse esistere un uomo come voi, assolutamente refrattario al senso del potere.

(da "L’avventura d’un povero cristiano" di Ignazio Silone, ed. Mondadori, Milano 1982, pag. 147).

Il dialogo sottolinea alcune di quelle "rationes divinae" di cui vi ho già parlato: il primato della persona; il primato della santità soprannaturale della persona.

Due mi sembrano oggi le insidie principali da cui la comunità cristiana sia nei suoi pastori sia nei suoi fedeli deve guardarsi: lo spiritualismo e il burocraticismo .

Lo spiritualismo consiste nel ritenere che la via che ci fa incontrare Cristo e dunque la salvezza sia semplicemente il pensare a Cristo. Lo spiritualismo oggi assume molti volti: la riduzione del cristianesimo ad una dottrina o ad una morale; l’interpretazione del cristianesimo come una delle possibile "simbolizzazioni" della comprensione che l’uomo ha di sé; il rapporto con Dio pensato esclusivamente come rapporto dello spirito dell’individuo con lo Spirito di Dio; l’assenza del perdono e della misericordia da questa esperienza. Ma tutte le forme dello spiritualismo hanno un carattere comune: non riconoscere la carne, il corpo del Verbo come unica via di accesso a Dio e quindi di salvezza, e quindi ritenere un optional il corpo di Cristo che è la Chiesa. E’ un’insidia assai difficile da smascherare e da vincere: Agostino faticò anni a riconoscerla ed a vincerla (accettare l’humilitas Verbi); Teresa d’Avila ne fu vittima, guidata in questa illusione anche da teologi di prestigio (nihil sub sole novi!). La mia umile esperienza pastorale mi testimonia ogni giorno che il "materialista" è meno lontano dal Regno che lo "spiritualista"!

L’altra terribile insidia è costituita dal burocraticismo. Esso consiste nel porre qualcosa al di sopra della persona: nel negare concretamente che la persona è "id quod est perfectissimum in ratione entis" (S. Tommaso). Colla conseguenza che al rapporto inter-personale (cor ad cor loquitur; Newman) si va sostituendo gradualmente un vissuto ecclesiale fatto sempre più di programmazioni, commissioni, riunioni, convegni, produzione di documenti che ormai parlano di tutto. E’ il pensare che ci possono essere relazioni evangeliche che non sono relazioni personali.

Se lo spiritualismo è il principio anti-cristiano perché è il principio anti-Incarnazione, il burocraticismo è il principio anti-mariano perché è il principio anti-personale.

Nell’umiltà della vita quotidiana della Chiesa, fatta di un rapporto veramente inter-personale fra i fedeli ed il Vescovo sacramento del Cristo capo e sposo della Chiesa, si compie il piano divino della glorificazione della Trinità.