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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


LA FAMIGLIA COME AMBIENTE DI CRESCITA UMANA
Conferenza tenuta a Bologna, al IV Corso di Bioetica, il 13 aprile 1994
Pubblicata su "Anthropotes", Rivista ufficiale del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli Studi sul matrimonio e la Famiglia, anno X n° 2 dicembre 1994, pagg. 218-225


Due sono i temi della nostra riflessione, racchiusi nell'enunciazione del titolo: il tema della crescita o sviluppo della persona umana (della "genealogia della persona") ed il tema della famiglia come "ambiente" in cui avviene questa crescita. E saranno questi i due punti in cui si articolerà la mia relazione

Devo, tuttavia, precisare la prospettiva in cui mi muoverò. Il tema infatti della famiglia come genealogia della persona può essere sviluppato in molti modi. La mia è una prospettiva di antropologia ed etica filosofica e teologica. La domanda, cioè, a cui cercherò di dare una risposta è la seguente: qual è la verità della genealogia della persona e (la verità) della famiglia? è la domanda antropologica. Poiché la persona, la sua genealogia, è affidata alla libertà, la domanda antropologica genera inevitabilmente la domanda etica: qual è il bene (il valore) proprio della famiglia in quanto luogo in cui cresce la persona umana? Questa è la prospettiva della mia relazione. E facile vedere come essa sia necessaria, ma non sufficiente.

Necessaria, perché istituisce la riflessione tesa ad individuare l'essere stesso della persona e della famiglia (ero tentato di scrivere: il loro "zoccolo duro") e quindi di disegnare la topografia spirituale di qualsiasi esplorazione di questo territorio e di qualsiasi intervento in esso. Ma è una riflessione che da sola non basta: la famiglia come luogo di crescita della persona si costituisce dentro contesti storici assai diversi. Vogliate dunque accettare questa mia riflessione come un contributo assai parziale.

1. La "genealogia" della persona

È un guadagno ritenuto ormai definitivamente acquisito dalla ricerca storica, l'affermazione secondo la quale il "concetto" di persona è nato solamente nel cristianesimo ed all'interno dei due più grandi dibattiti teoretici che abbiano percorso la ragione umana: il dibattito cristologico ed il dibattito trinitario. Uno dei risultati teoretici fra i più importanti è stato precisamente la definizione di persona.

Quali sono i costitutivi essenziali di questa definizione? Sono, se non vado errato, due. Il primo è l'affermazione dell'assoluta singolarità della persona. Si tratta di una percezione spirituale che non è facile da tematizzare. Che cosa significa che la persona è il singolo assoluto? Siamo subito portati a pensare all'individuo e quindi ad identificare individualità e singolarità. In realtà essere un singolo, una persona, è più che essere un individuo. L'individuo, in fondo, ci appare come il membro all'interno di un tutto, di una natura di cui esso è partecipe. Ne viene che l'individuo è numerabile. Ne viene che l'individuo è sostituibile: in qualunque momento, in qualunque specie vivente, qualsiasi individuo può essere sostituito da un altro. S. Tommaso scrive profondamente che la nozione di "parte" è contraria alla nozione di "persona". Contrariatur, scrive il S. Dottore; in logica, non c'è opposizione più radicale della contrarietà. I contrari non hanno nulla in comune: l'idea di "parte (di un tutto)" non ha nulla in comune con l'idea di "persona".

Questo dunque significa in realtà "singolarità": unicità, insostituibilità, inquantificabilità. In una parola: non essendo "parte", essa è un "tutto". La tradizione cristiana, con un ardire teoretico impressionante, ha parlato di infinità, parlando della persona. In un senso molto preciso: non fa numero con niente. Unicità, insostituibilità, inquantificabilità, infinità: proprietà che possono solo rinvenirsi in un essere che sussiste in sé e per sé: dotato del massimo di soggettività.

Ma questo non è l'unico costitutivo della persona, secondo la tradizione cristiana. Esiste un secondo. La persona è un soggetto in relazione con le altre persone. È stata soprattutto la meditazione sul mistero trinitario a scoprire l'essenziale relazionalità della persona. Certamente l'uso dell'analogia è sempre un'operazione rischiosa, soprattutto quando i due analogati sono la persona divina e la persona umana, fra le quali è molto più grande la dissomiglianza che la somiglianza. Tuttavia, l'antropologia cristiana non ha mai avuto timore nel dire che la persona si realizza nella relazione con l'altra persona, che la sua vocazione costitutiva è la comunione con le altre persone.

Questa è la costituzione ontologica della persona. Essa ci mostra una costituzione che è come percorsa da una tensione intrinseca che scoppia fra i "due poli" dell'essere personale: il polo della soggettività-singolarità sussistente in sé e per sé ed il polo della relazionità all'altra persona. Bipolarità che ha fatto parlare anche della persona umana come di una "relazione sussistente" o meglio di una "sussistenza relazionata". Ma poiché dobbiamo parlare della genealogia della persona e non del suo essere statisticamente considerato, non voglio più continuare in questa prospettiva di una metafisica della persona. Ciò che ho detto al riguardo, mi sembra sufficiente per riflettere sulla persona nel suo formarsi, nella sua genealogia, appunto.

Partiamo da una domanda: esiste un varco, una via attraverso la quale poter vedere in qualche modo quell'assoluta singolarità, quell'esistere in sé e per sé che costituisce il fondo metafisico della persona?

Credo che questo varco, questa via sia la scelta libera: è l'atto libero la suprema rivelazione della persona. Molte operazioni accadono nella persona, ma non tutte sono della persona nel senso che di esse si senta autore, e nessuna è della persona, appartiene alla persona tanto quanto un atto di libertà. Esso, infatti, nel suo costituirsi non ha altra ragione che la persona che lo pone. Ed infatti si possono sostituire molte operazioni attraverso protesi sempre più perfette; si è potuto creare l'intelligenza artificiale. Non esiste una protesi della libertà né una volontà libera artificiale. L'atto libero rivela la persona eminentemente, perché ne rivela la sua soggettività sussistente, il suo essere "causa sui" ripeterà continuamente S. Tommaso, con un ardire teoretico non comune nel pensiero cristiano. Nella prospettiva che stiamo considerando, genealogia della persona coincide con genealogia della libertà e divenire persona significa divenire liberi. Ritorneremo fra poco su questa coincidenza.

A. Rosmini parla di una misteriosa vertigine che l'uomo prova quando vive profondamente la libertà, meglio la scoperta della libertà. L'osservazione è profonda. Se la libertà si radica così profondamente nella persona da esserne la suprema rivelazione; se la libertà rivela supremamente la persona, perché ne mostra l'assoluta singolarità (tutti possono prendere il mio posto, ma non quando devo fare una scelta libera), allora la libertà è la capacità di affermare se stesso per se stesso. Qui si prova la vertigine di cui parla Rosmini; la libertà è l'auto-affermazione pura e semplice, è l'alfa e l'omega della propria vicenda spirituale. Non esiste una "prima" della libertà. E l'altro con cui mi trovo ad essere in relazione?

Poiché di esso, della sua libertà vale ciò che ho scoperto in me, non resta che trovare fragili compromessi di opposti interessi, elaborando regole per questa scoperta. Ritorneremo più avanti su questo punto.

Non è difficile vedere come la bipolarità della persona vista prima a livello della costituzione ontologica della persona, si manifesta chiaramente a livello dell'agire libero della persona e, quindi, nel suo formarsi, nella sua genealogia. La cosa troverebbe la sua ulteriore conferma se partissimo dalla considerazione dell'altro "polo" della persona, la sua relazionità. Non intendo farlo. Teniamo, dunque, presente la seguente affermazione: nel suo formarsi, all'interno della genealogia della persona, ritroviamo la tensione bipolare fra l'affermazione di sé e la comunione con l'altro. Il punto in cui le due energie si incontrano, potremmo dire la "scintilla" che scocca tra i due poli, è l'atto libero. Cioè: è nell'atto libero e mediante l'atto libero che la persona si forma come soggetto che esiste in sé e per sé ("causa sui").

Esiste una soluzione a questa tensione? La soluzione sarebbe in un atto supremamente libero che sia nello stesso tempo suprema affermazione dell'altro, un atto che afferma la singolarità assoluta di chi lo compie e nello stesso tempo istituisce una relazione vera con l'altro. Nella visione cristiana questo atto di libertà è l'atto dell'amore. L'amore è la sintesi vissuta dei due costitutivi della persona e, pertanto, ne è la perfetta realizzazione. Comprendiamo uno degli insegnamenti più profondi del Vaticano II: "Questa similitudine manifesta che l'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" (GS 54). Scrive Giovanni Paolo II nella Lettera alle famiglie: "Entriamo così nel nucleo stesso della verità evangelica sulla libertà. La persona si realizza mediante l'esercizio della libertà nella verità. La libertà non può essere intesa come facoltà di fare qualsiasi cosa: essa significa dono di sé. Di più: significa ulteriore disciplina del dono. Nel concetto di dono non è inscritta soltanto la libera iniziativa del soggetto, ma anche la dimensione del dovere. Tutto ciò si realizza nella comunione delle persone" (14, 4). Dunque: la genealogia della persona è la genealogia della sua libertà, cioè della sua capacità di amare, cioè di fare dono di sé all'altro. L'affermazione di sé consiste nel dono di sé. In questo senso nell'antropologia cristiana, l'uomo interamente vero, l'umanità che ha raggiunto la sua perfezione, è Gesù Cristo. Egli ha donato se stesso.

Individuato qual è il concetto di formazione o genealogia della persona, vorrei ora indicare alcune ragioni a causa delle quali questo concetto è stato messo in discussione e alla fine abbandonato, nella nostra cultura occidentale. Questa contestualizzazione è necessaria, mi sembra, poiché è da essa che nascono oggi molti gravi problemi nella formazione della persona.

Come si è potuto constatare nella riflessione precedente, il concetto cristiano di formazione della persona nasce all'interno di una costellazione di concetti quali "persona", "libertà", "amore", "dono sincero di sé". Ora, come dice la già citata Lettera alle famiglie, "chi può negare che la nostra sia un'epoca di grande crisi, che si esprime anzitutto come profonda "crisi della verità"? Crisi della verità significa, in primo luogo, crisi di concetti" (13, 5). E sono precisamente quei concetti sopra richiamati che sono entrati in crisi: essi non veicolano più le stesse concezioni (di persona, di libertà, di amore, di dono sincero di sé), ma concezioni contrarie. Non è possibile ora ripercorrere tutta la vicenda di questa crisi. Mi accontento di alcune riflessioni generali.

La prima. Si è progressivamente ridotto la persona alla coscienza che la persona ha di sé; la sua consistenza e sussistenza ontologica si è ridotta alla coscienza-affermazione di se stesso. Si è passati ad una definizione sempre più psicologica della persona.
Questa riduzione ha creato problemi che sono risultati insolubili: qual è il fondamento ultimo della dignità della persona? Dei suoi diritti? È solo la coscienza di essi, cioè la loro affermazione? E chi di tale coscienza non è capace? Volendo usare un vocabolario molto tecnico, voglio dire che la perdita del concetto di persona come sostanza prima ha generato l'impossibilità di creare una cultura in cui ogni persona fosse riconosciuta, affermata in sé e per sé.

La seconda. La libertà è andata progressivamente configurandosi come "possibilità pura o possibilità di tutte le possibilità". Poiché il contrario della possibilità è la necessità, si tratta di una libertà svincolata da ogni necessità. Certamente è questa un'idea "regolativa" di libertà, non un'idea "reale". Cioè: una libertà così concepita non esiste e non può esistere (non è un'idea reale); questo concetto di libertà serve per indicare verso quale direzione deve procedere la liberazione della nostra libertà (è un'idea regolativa). Siamo ormai al polo opposto della definizione agostiniana di libertà come potere di fare ciò che si vuole facendo ciò che si deve, come sintesi cioè di possibilità e necessità. L'ultima eco di questo concetto cristiano è risuonata, nella nostra cultura occidentale, in Kant: dopo (e non senza colpa sua) ogni eco si è spenta. Kierkegaard ritiene che questa sia la vera radice della nostra disperazione. Ma che cosa significa questa definizione prescrittiva, più che descrittiva, di libertà, concretamente nella nostra vita di ogni giorno? Risponderò a questa domanda nelle due riflessioni seguenti.

La terza. Che cosa può significare "dono sincero di sé"? Il "sé" che è donato non esiste, poiché non esiste una "prima" della libertà, una realtà di cui la libertà risponde perché si trova di fronte ad esse. Allora che cosa si dona quando si dice di donare se stesso? Nulla se non di fatto il permesso di usarsi reciprocamente. La verità del dono è confusa colla mera sincerità del rapporto: nella relazione reciproca si richiede solo la libertà di porla in essere. Nulla più. Se si pensa ad un uso della libertà nella quale il soggetto fa ciò che vuole, decidendo egli stesso la verità di ciò che è bene, non si ammette che altri esiga qualcosa da lui in nome di una verità oggettiva. Non dona più in verità. L'amore in una parola è evacuato nella sua stessa essenza.

La quarta. È impossibile elaborare un concetto di giustizia che non si riduca ad essere semplicemente un codice procedurale per istituire fragili miracoli della convergenza di interessi opposti. Cioè: quel concetto di libertà genera una società fondata sulla norma utilitarista ed edonista.

Possiamo ormai concludere il primo punto della nostra riflessione. Volevo disegnare uno schizzo del concetto di formazione o genealogia della persona. Abbiamo visto che esso si costruisce all'interno di una costellazione di concetti quali persona, libertà, amore, dono di sé. Ed abbiamo anche visto come si possano configurare due diverse genealogie della persona. La Lettera alle famiglie parla di una civiltà dell'amore e di un'anti-civiltà o "civiltà dell'utile e/o del godimento". Ora dobbiamo riflettere perché e come la famiglia è l'ambiente di crescita della persona umana, il luogo della sua genealogia.

2. La famiglia e la "genealogia" della persona

È un'affermazione centrale e costante nella visione cristiana della persona umana che essa (persona umana) trova la sua culla, non solo biologica ma spirituale, nella comunità della famiglia. S. Tommaso parla della necessità per l'uomo non solo di un utero fisico per il suo compimento e sviluppo, ma anche di un utero spirituale, costituito dalla comunione coniugale dei genitori. Si tratta di un'affermazione di carattere antropologico. Ma non solo. Si tratta anche di affermazione di architettura sociale, di rapporto fra la famiglia ed altre società. Come vedremo.

Qual è la ragione profonda di questa connessione fra famiglia e genealogia della persona? Possiamo partire da un'affermazione che la Chiesa ha fatto sempre, nonostante sia una delle più contestate da parte di chi non condivide la visione cristiana. È l'affermazione secondo la quale si dà una connessione, di diritto inscindibile, fra esercizio della sessualità, amore coniugale e procreazione di una nuova persona. Ritengo che la percezione netta di questa connessione sia di importanza decisiva per capire tutta la dottrina cristiana dell'uomo e del matrimonio. Vediamo qual è il contenuto di questa connessione e le ragioni per cui e affermata.

Il contenuto. Nell'essere-uomo e nell'essere-donna sta inscritto un significato che non compete alla libertà di inventare, ma solo di scoprire ed interpretare nella verità. La mascolinità e la femminilità sono un linguaggio dotato di un significato originario. Non è un dato puramente biologico atto a ricevere quel senso che la libertà decide di attribuirvi. Qual è questo significato? È il dono di sé all'altro in totalità.

Il linguaggio della mascolinità/femminilità è il linguaggio del dono totale. In quanto tale, è linguaggio intrinsecamente, essenzialmente sponsale, coniugale. L'essere sessuato umano è orientato alla coniugalità (ed in Cristo alla verginità consacrata). In questo senso, la dottrina della Chiesa parla di una connessione di diritto inscindibile fra l'esercizio della sessualità e la coniugalità.

"La logica del dono di sé all'altro in totalità comporta la potenziale apertura alla procreazione (...). Certo, il dono reciproco dell'uomo e della donna non ha come fine solo la nascita dei figli, ma è in sé mutua comunione di amore e di vita. Sempre deve essere garantita l'intima verità di tale dono. Intima non è sinonimo di soggettiva. Significa piuttosto essenzialmente coerente con l'oggettiva verità di colui e di colei che si donano" (Lettera alle famiglie, 12, 12). Ed entra nella costruzione di questa verità anche la potenziale paternità e maternità inscritta in essi. In questo modo la persona viene generata da un atto di amore ed attesa come puro dono.

Le ragioni per cui la Chiesa afferma queste connessioni sono profonde. Possiamo percepirle attraverso il disegno di una controfigura. Quella connessione può essere negata in una duplice direzione. La prima: l'essere uomo - l'essere donna non veicola alcun significato originario che preceda la libertà per cui non esiste nessuna definizione prescrittiva di relazione sessuale, ma solo descrittiva e pertanto la paternità-maternità non ha alcuna radicazione obiettiva. In questo contesto si colloca l'attuale nobilitazione della contraccezione come liberazione della biologia sessuale, il tentativo dell'equiparazione delle coppie omosessuali ed il rifiuto di considerare l'adozione come "copia" di una filiazione naturale. Qual è l'esito di questo tipo di sconnessione? Mi limito a richiamare la vostra attenzione su quello che mi sembra il più importante. Alla radice sta la negazione che l'essere uomo-essere donna sia il linguaggio dotato del significato originario dell'essere persona semplicemente. Cioè: la persona dice la sua vocazione originaria mediante il linguaggio del corpo, mediante il suo essere uomo ed il suo essere donna. Scardinando questa reciprocità nel dono, si scardina il codice fondamentale di comunicazione interpersonale. Si distrugge alla sua origine stessa la possibilità della comunione interpersonale. Non dimentichiamolo: l'uomo si sentì solo e Dio non creò un altro uomo. Creò la donna. È la possibilità di una civiltà del dono che è distrutta.

Ma la sconnessione procede anche in senso inverso: sradicare la procreazione (e la genealogia) della persona dalla comunità coniugale e dall'attività sessuale. In questo contesto si colloca l'artificializzazione della procreazione umana, che sembra ormai non conoscere più limiti. Qual è l'esito di questo secondo tipo di sconnessione? Il rischio di ridurre il figlio ad un "prodotto" di cui si ha bisogno per la propria felicità.

Come si vede, la radice per cui la Chiesa afferma che fra l'esercizio della sessualità, la coniugalità e la procreazione esiste una connessione di diritto inscindibile è una sola: solo in questa connessione è salvata la comunione interpersonale, è salvata la dignità della persona.

Questa riflessione di base ci ha già introdotto nella considerazione della famiglia come luogo di crescita della persona. Nel primo punto della nostra riflessione abbiamo visto che la crescita della persona è crescita della sua libertà cioè della sua capacità di amare, di donare se stessa nella verità. Perché proprio la famiglia è il luogo originario, non dico l'unico, di questa crescita della persona?

Tenendo presente quanto ho appena detto sul rapporto sessualità-coniugalità-procreazione, possiamo ordinare la nostra risposta in due momenti. In realtà, la comunità familiare si costruisce in due relazioni interpersonali, la relazione coniugale e la relazione parentale. Consideriamole analiticamente.

2. 1. Ho già parlato del "linguaggio del corpo" come fondamentale linguaggio della persona; la mascolinità-femminilità hanno in sé e per sé un significato che deve essere letto nella verità. L'autore ispirato del secondo capitolo della Genesi ci ha svelato verità decisive per la nostra vicenda spirituale.

L'uomo vive una solitudine originaria, cioè intrinseca al suo stesso essere uomo. Posto nell'universo delle cose, nell'universo delle non-persone, egli si sente assolutamente solo. Questa solitudine non è un bene: l'essere umano in queste condizioni non ha raggiunto la sua pienezza. In termini più astratti, più metafisici, dicevamo che la sussistenza in sé e per sé non è l'unico costitutivo della persona. Ed infatti , proprio per uscire da questa solitudine, l'uomo - ciascuno di noi - cerca un dominio, un possesso. Dominio e possesso che non lo fanno uscire dalla sua solitudine originaria. L'uomo raggiunge la sua pienezza posto di fronte alla donna. È il momento in cui si scopre chiamato ad una comunione, capace di realizzarla perché è di fronte ad un'altra persona. Si ha qui un mistero molto profondo. È attraverso il linguaggio corporeo che la persona dice qual è la sua vocazione originaria.

Possiamo ora comprendere, credo, perché nella comunione coniugale la persona umana cresce come persona umana: perché è in essa che si realizza come dono di sé. Ed infatti nel vincolo coniugale ritroviamo in modo eminente tutta la misteriosa paradossalità umana. Non esiste un vincolo di mutua appartenenza più radicale dell'appartenenza coniugale: non è possibile, in humanis, appartenersi più che coniugalmente. Non esiste un atto di libertà più grande che l'atto con cui i due sposi si donano: non è forse possibile, in humanis, essere più liberi. La libertà coincide col dono. Ed il dono di sé implica il possesso di sé: non si può donare ciò che non si possiede. Il massimo dell'auto-affermazione coincide col massimo dell'auto-donazione. È per questo che la comunione coniugale è il luogo della crescita della persona come tale.

2. 2. La comunione coniugale si espande nella comunità familiare. È il luogo proprio della genealogia della persona: il luogo proprio della sua crescita. Benché radicato nella biologia, il concepimento della persona non è semplicemente il risultato di una fortuita o necessaria coincidenza di fattori biologici. Questo spiega la venuta all'esistenza di un individuo, del tutto funzionale alla sopravvivenza della specie. Ma l'uomo che è concepito, è una persona, unica ed insostituibile nel suo valore infinito. Ed infatti gli sposi possono solo volere un bambino(a): uno qualsiasi. Essi non possono decidere chi concepire: lui e non un altro. La conoscenza di questa unica, insostituibile persona può loro venire dall'esistenza di essa: vista, essi dicono: "è questo il (la) mio (a) bambino (a)" Non possono conoscerla prima che esista. Perché? scopriamo qui la differenza essenziale fra la conoscenza creata e la conoscenza divina. L'uomo conosce ciò che esiste e perché esiste; mentre è la conoscenza divina che fa essere. In una parola: ogni concepimento implica un atto di creazione. Ciascuno di noi esiste perché è stato pensato e voluto da Dio.

Ne deriva di conseguenza che non avendo essi (gli sposi) deciso, ma essendo il figlio un dono di Dio, essi lo ricevono come tale. Ed in questa accoglienza si pone l'origine di tutta la genealogia della persona.

Entrata nell'universo, la nuova persona si interroga sul "volto" di questo universo medesimo: se è un volto ostile o amico, se lo rifiuta o lo accoglie, se considera un bene che essa ci sia oppure un male. A seconda della risposta che la nuova persona riceve, tutta la sua esistenza ne sarà marcata. La sua crescita sarà determinata dalla risposta che riceverà alla sua domanda. Da chi riceve questa risposta? Dalla donna che l'ha concepito e da suo padre: "come è bene che tu ci sia". È il benvenuto. L'universo lo attendeva come un dono ed egli può vivere nella certezza che è bene esistere. Si inizia così la crescita della persona nella verità e nel bene. Dice profondamente il S. Padre nella Lettera già citata: "Sì, l'uomo è un bene comune: bene comune della famiglia e dell'umanità, dei singoli gruppi e delle molteplici strutture sociali" (11, 6). Nell'amore sponsale in cui la persona del coniuge è affermata in sé e per sé si compie così l'affermazione della nuova persona. Questa può iniziare nell'ambiente dell'amore coniugale la sua crescita.

Si vede veramente come l'affermazione della connessione fra esercizio della sessualità, coniugalità e procreazione stia alla base della conseguente affermazione che la famiglia è il luogo originario della crescita della persona.

Ho sempre detto, nel corso della mia riflessione, "luogo originario", non esclusivo. La persona umana necessita anche di altri "ambienti", altri luoghi, per una sua crescita integrale. Questo pone un problema di rapporti, di relazioni della famiglia con altri luoghi della crescita della persona: parlavo di un problema di architettura sociale e politica.

Anche il Terzo rapporto sulla famiglia in Italia (a cura di P. P. Donati, CISF, Milano 1993) insiste su questo punto, con analisi e proposte assai pertinenti. Non voglio addentrarmi in questo campo, nel quale per altro sono incompetente. Vorrei piuttosto al riguardo continuare la mia riflessione nella prospettiva antropologica ed etica, limitandomi a studiare un processo culturale che tende a sostituirsi alla famiglia come luogo originario della crescita, o quanto meno come luogo non necessariamente originario.

Questo processo culturale contesta precisamente quei tre anelli della connessione e quindi viene a cadere la connessione stessa. La prima negazione rifiuta l'esistenza di un significato originario veicolato dal linguaggio sessuale: ciascuno crea il proprio linguaggio sessuale. La seconda negazione rifiuta che la definizione di matrimonio sulla base della sessualità, sia prescrittiva, che esista una definizione prescrittiva di coniugalità: ciascuno crea il proprio coniugio La terza negazione rifiuta che sia di decisiva importanza che il matrimonio sia a fondamento della famiglia. La conseguenza di questa triplice negazione è ben descritta nel suddetto Rapporto, al quale rimandiamo (soprattutto si veda a pag. 430).

Parlare di famiglia come necessario luogo originario di crescita della persona perde sempre più significato teorico e pratico.

Conclusione

Ho detto all'inizio che il percorso tracciato dalla mia riflessione è molto stretto ed esige di essere ampiamente allargato da molti altri contributi. Tuttavia, penso di poter dire che attraverso esso noi possiamo giungere nel cuore stesso del problema. La ragione è detta nella Lettera alle famiglie: "la nostra civiltà, che pur registra tanti aspetti positivi sul piano sia materiale che culturale, dovrebbe rendersi conto di essere, da diversi punti di vista, una civiltà malata, che genera profonde alterazioni nell'uomo. Perché si verifica questo? La ragione sta nel fatto che la nostra società si è distaccata dalla piena verità sull'uomo, dalla verità su ciò che l'uomo e la donna sono come persone" (20, 8).

Questo è il nodo di tutta la problematica: come rendere l'uomo capace del Vangelo, cioè di stupirsi di fronte alla sua grandezza?