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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Intervista pubblicata su "Il Giornale" del 14 luglio 2000

Il quattro per cento dei malati terminali ottiene dai medici l’eutanasia. Il Giornale ha intervistato in proposito l’arcivescovo di Ferrara, Carlo Caffarra, 62 anni, membro del Pontificio Consiglio per la pastorale degli operatori sanitari.
La notizia la sorprende?
"Solo relativamente".
Perché?
"Nella cultura in cui siamo immersi si è eclissata la consapevolezza della nostra dipendenza da Dio. Il valore della vita si misura dal benessere, dal successo, dal piacere. E la sofferenza rappresenta qualcosa da cui liberarsi".
Come giudica i medici che praticano la "dolce morte"?
"Ciò che fanno è due volte ingiusto: perché nessuno ha il diritto di sopprimere la vita di un innocente, e perché l’esercizio della professione medica è per la vita, non per la morte. Sono ingiusti sia come uomini che come medici".
Qual è la posizione della Chiesa sull’eutanasia?
"Per eutanasia la Chiesa intende un’azione o un’omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte allo scopo di evitare il dolore".
Può essere lecita in alcuni casi?
"No, è sempre ingiusta".
E l’accanimento terapeutico?
"Vengono considerati accanimento terapeutico quegli interventi medici che non sono più adeguati alla situazione clinica perché sproporzionati ai prevedibili risultati o perché troppo gravosi per l’ammalato e per la sua famiglia. In queste situazioni, quando la morte è imminente e inevitabile, è lecito e doveroso evitare ulteriori interventi".
Mi scusi, non esiste una certa contraddizione tra il no all’eutanasia e sì alla fine dell’accanimento terapeutico?
"Al contrario. Il no all’accanimento terapeutico esprime l’accettazione che ogni persona deve avere della propria condizione umana. E questa accettazione è l’esatto opposto dell’eutanasia, che mette fine alla vita, senza averne il diritto".
Ci sono malati che provano dolori indicibili...
"La Chiesa ritiene giusto ricorrere agli analgesici, anche quando hanno come effetto collaterale quello di abbreviare la vita del malato".
Staccare il respiratore che mantiene artificialmente in vita una persona è eutanasia?
"Dipende. Se il respiratore rientra in un intervento che si configura nel suo complesso come accanimento terapeutico, allora staccarlo non è eutanasia".
Crede che la legalizzazione dell’eutanasia possa farsi strada anche in Italia?
"Purtroppo io credo di sì. Ci sono già tutte le premesse culturali: la coscienza è colpita da una tale devastazione che si sono oscurate anche le evidenze morali originarie".
Lei esprime la posizione della Chiesa. Ma lo Stato è laico.
"Non è necessario essere cristiani per capire che un innocente sano o malato non può essere ucciso da nessuno, anche se lo chiede. Il rispetto ai beni della persona non è richiesto solo dalla fede, ma anche dall’essere uomini ragionevoli".
Cosa direbbe a un malato terminale che chiede l’eutanasia?
"Ciò che sgorga dal cuore di queste persone è una domanda di compagnia, di vicinanza. Ci chiedono di essere tenute per mano. Ricordo di una giovane ventenne che mi disse: "Non sono credente, ho una paura terribile della morte". Risposi: "C’è l’abbraccio di un Padre che ti attende. Che tu ci creda o no, quell’abbraccio c’è". Il malato terminale attende che qualcuno gli  confermi la speranza che con la morte non è tutto finito".