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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


ESEQUIE DI DON ANTONIO PULLEGA
S. Cristoforo - Bologna, 30 gennaio 2006


1. "Se il chicco di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore. Produce molto frutto". È Cristo che parla di Se stesso, carissimi fratelli e sorelle. Egli è il "chicco di frumento caduto in terra". Pane degli angeli nella sua luce inaccessibile, ha voluto divenire nutrimento anche dell’uomo assumendo la nostra condizione terrena: è "caduto in terra".

Ma perché potesse nutrire la nostra inconsistente esistenza e donarci il cibo dell’immortalità, egli doveva entrare nella nostra morte. I frutti della sua redenzione sono stati prodotti dalla sua morte: "se invece muore, produce molto frutto". Tutta l’esistenza umana del Verbo incarnato è stata percossa da questa logica: la logica di un dono spinto fino alla morte.

Ben consapevole di questo, l’apostolo Paolo ci ha insegnato or ora: "nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore". Gesù è stato il grano che caduto in terra non ha vissuto per se stesso e non è morto per stesso, perché anche noi avessimo in Lui la capacità di non vivere per noi stessi e di non morire per noi stessi. Sì, carissimi fedeli, la vera differenza non è fra la vita e la morte, ma fra il vivere/morire per se stessi e il vivere/morire per il Signore.

Questa parola di Dio illumina in modo singolare l’esistenza umana e sacerdotale di don Tonino, ed in un certo senso ci aiuta ad avere conoscenza del suo "segreto": ogni esistenza umana custodisce in sé un suo proprio segreto noto al Signore solamente. Ma il sacerdote non appartiene più a se stesso.

Nel piccolo biglietto augurale che don Tonino vi ha inviato per le recenti festività natalizie, egli scriveva: "Forse qualcuno si è accorto che gli ultimi anni, molto affaticati, hanno portato il vostro parroco molto più vicino al mistero della croce. Annullarsi, scomparire, consumarsi, tacere e infine, dagli esercizi ultimi, "spezzato"". È – come potete sentire – il chicco di frumento che caduto in terra, non ha voluto rimanere solo poiché ha voluto morire ogni giorno per il Signore. E scorrendo gli appunti personali ed intimi di don Tonino, dal 1967 in poi, è possibile notare che questa fu la "logica", oserei chiamarla la "grammatica del suo sacerdozio": morire a se stesso per essere in Cristo nutrimento della santa Chiesa e dei fedeli affidati.

Questa "grammatica" si è espressa in una costante esistenziale che costituisce l’impasto di ogni vera esistenza sacerdotale: l’obbedienza intesa e vissuta come rifiuto di progettare il proprio sacerdozio da se stessi, per lasciarlo progettare dalla Chiesa. In ogni passaggio del suo ministero, don Tonino annota nelle sue pagine intime, fu l’obbedienza alla Chiesa a guidarlo, anche se non raramente obbedienza sofferta.

Ma il grano di frumento caduto in terra fu macinato anche dalla sofferenza fisica che accompagnò don Tonino fin dalla giovinezza. Di questa dimensione della sua esistenza sacerdotale, egli nel suo Testamento spirituale ci dona la seguente interpretazione: "Offro… tutte le sofferenze che la mia esistenza mi procurò, quelle morali e interiori, quelle fisiche, sempre compagne dalla giovinezza. So che era il Volto santo di Gesù che si stampava sempre più in me, come mi era stato promesso dall’adolescenza. Era il Volto santo crocifisso, nel cui segno mi toccò vivere sempre, per misteriosa vocazione e per poter purificare ciò che di sbagliato c’era nel mio profondo umano". Vicino alla Croce di Cristo trovò Maria che don Tonino volle venerare nel Santuario dell’Acero di cui egli divenne amoroso custode.

2. "Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo", ci ha appena detto il Signore. E l’Apostolo si è fatto eco di queste parole: "se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore".

Nell’ultimo bollettino che don Tonino vi ha inviato, carissimi fedeli di S. Cristoforo, egli vi proponeva per il corrente anno pastorale la seguente preghiera: "Padre, che nel Mistero pasquale ci rendi viventi in Cristo, donaci l’energia della Spirito finché non sia formato Cristo in noi". Il grano caduto in terra e morto ha dato il suo frutto: il dono, l’energia dello Spirito che ci configura a Cristo verità e bene della nostra persona. Il discepolo del Signore che, a sua imitazione, oggi deponiamo nel sepolcro, produce in Cristo il suo frutto: in voi, carissimi fedeli di S. Cristoforo, perché Cristo sia formato in voi. "In Lui – concludendo il suo Testamento spirituale, scrive don Tonino – ora conosco perfettamente tutti voi e nell’Eucarestia continueremo ad essere Amore senza fine".

Senza fine, carissimi. Sì, poiché, come ci ha detto il profeta: "Le misericordie del Signore non sono finite, non è esaurita la sua compassione: esse sono rinnovate ogni mattina, grande è la sua fedeltà". Amen.