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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Esequie di don Giovanni Sandri
San Benedetto (BO), 19 agosto 2014


Cari fratelli e sorelle, l’enigma della morte – di ogni morte – è rischiarato solo dalla Parola di Dio. Per la nostra ragione è un sasso di inciampo che ne mostra la debolezza. Poniamoci dunque in ascolto docile.

 

1. S. Paolo, nella prima lettura, ci insegna che due sono i modi possibili di pensare e vivere la propria vita: per se stessi – per Cristo, nella fede. L’alternativa dunque non è fra la vita e la morte. È fra "vivere – morire per se stessi" e "vivere – morire per Cristo". Ma che cosa in realtà significa tutto questo?

"Per se stessi" significa vivere ripiegati su se stessi; vivere in vista di se stessi; rimanere imprigionati dentro all’orizzonte della vita terrena.

"Per Cristo" significa credere che in Cristo è apparsa la grazia di Dio nostro Padre; credere che ogni cosa, in primo luogo la propria vita, trova il suo significato ultimo in Cristo; riempire la propria giornata terrena della presenza di Cristo.

Fratelli e sorelle, possiamo già interpretare la vicenda terrena di don Giovanni alla luce di queste parole dell’Apostolo.

La sua scelta sacerdotale è stata maturata a lungo. Egli ricevette la Sacra Ordinazione Sacerdotale a 41 anni. Vivere per Cristo ha sempre significato per lui vivere nella Chiesa, in una profonda diponibilità a compiere i servizi apostolici chiesti a lui di volta in volta. Di questa profonda, serena disponibilità sono stato testimone per dieci anni ormai. Anche quando gli affidai responsabilità assai delicate da vari punti di vista, don Giovanni non si rifiutava. Vivere per Cristo ha significato vivere per la Chiesa, per il bene dei fedeli.

Ma la parola dell’Apostolo ci aiuta a comprendere un’altra dimensione del sacerdozio di don Giovanni.

Chi vive per Cristo pensa ogni realtà per mezzo di Cristo, e pensa Cristo per mezzo di ogni realtà. Don Giovanni aveva una vera passione apostolica per il mondo dello sport.

Ha ricoperto in esso posti di responsabilità civili ed ecclesiali. Egli aveva una certezza in questo suo impegno. Il mondo dello sport poteva, doveva essere una vera scuola di educazione umana e cristiana. Metteva sempre al primo posto questa esigenza educativa, non il risultato agonistico. La Chiesa di Dio in Bologna ha perduto il testimone di Cristo nel mondo dello sport. Ed in questo è stato di esempio e monito per noi sacerdoti di non chiuderci nelle sagrestie; di non aver odore di incenso, ma "odore delle pecore".

 

2. L’Apostolo ci insegna poi una seconda grande verità colle seguenti parole: "ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio".

Facciamo bene attenzione! "di se stesso". Quale responsabilità implica questo fatto e quale stima Dio dimostra della nostra libertà. Ma le parole dell’Apostolo ci dicono anche che noi non siamo proprietà di noi stessi. "Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore". Ubriacati come siamo della "cultura dei diritti" in cui viviamo, siamo insidiati dal pensiero che ciascuno di noi non dovrà rendere conto di se stesso a nessuno.

E Gesù, nel Santo Vangelo, ci insegna che la richiesta di rendicontazione di se stessi può essere improvvisa. "Tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo".

Almeno per noi la morte di don Giovanni è stata improvvisa. È stato l’ultimo insegnamento che questo degno sacerdote ci ha lascito: "tenetevi pronti".

Il Signore ci conceda di dire con verità – col cuore e non solo colle labbra – le parole del Salmo: "l’anima mia è rivolta al Signore più che la sentinella all’aurora". Così sia.