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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


S. Messa esequiale per il Canonico don Filippo Quadri
S. Giovanni in Persiceto, 15 gennaio 2007


1. "Vedendola il Signore ne ebbe compassione e le disse: "non piangere"". Miei cari fratelli, i Vangeli hanno custodito la memoria di tre incontri di Cristo con la morte: la morte di una bambina, la figlia di Giairo; la morte di un suo amico di nome Lazzaro; e l’incontro di cui abbiamo appena ascoltato la narrazione. È il funerale del figlio unico di madre vedova. Quale è stata la reazione di Cristo? Il testo evangelico ci dà una risposta commovente.

"Vedendola, il Signore ne ebbe compassione". Più precisamente: il suo intimo viene scosso. La morte è una realtà che non lascia indifferente il Signore della vita. San Paolo dirà che la considera sua nemica, e il segno dell’instaurarsi definitivo del suo regno sarà precisamente la sconfitta della morte.

Il Signore ha di conseguenza il diritto di dire ad una madre vedova che perde il suo unico figlio parole incredibili: "le disse: non piangere". Solo chi ha potere sulla morte può dire, può dirci questa parola. Solo chi può darci il diritto di sperare che la morte non è la parola definitiva sul nostro destino, può dire questa parola. La sua parola è più forte della morte: "Poi disse: giovinetto, dico a te, alzati". È pronunciata la grande parola: o uomo, risorgi! La parola detta "al principio" diede origine alla creazione; la parola detta ai morti dal Signore risorto dà inizio alla nuova creazione.

Miei cari fratelli, durante le ultime settimane della vita di don Filippo ho avuto modo di incontrarlo varie volte. Nelle nostre conversazioni mi colpì soprattutto una sua parola che mi edificò profondamente. Era la vigilia di Natale: "sono triste" mi disse "non è possibile che un sacerdote muoia triste: mi aiuti a morire nella gioia". Era il supremo atto di fede che il sacerdote, l’angelo della resurrezione, faceva di fronte al mistero della sua morte: "che io non pianga perché Cristo si accosterà al mio sepolcro, toccherà il mio corpo e mi dirà: risorgi".

Miei cari fratelli, ogni sacerdote è il testimone di questa speranza. È questo annunzio che don Filippo vi lascia.

2. "Fratelli, sappiamo che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo da Dio una dimora eterna".

Miei cari fratelli, queste parole dell’Apostolo ci liberano da una grave ipnosi, l’ipnosi della realtà visibile, che rischia di ridurre la nostra vita ad un sogno, impedendoci di svegliarci alla realtà.

L’Apostolo infatti – come avete sentito – paragona la nostra vita attuale all’abitazione dentro ad una tenda: vita provvisoria, instabile, temporanea. Nel momento in cui questa tenda – "questo corpo" – viene smontata, allora "riceveremo da Dio una dimora eterna". È questa la vita terrena.

Ho conosciuto don Filippo sempre e solo con un corpo che si andava disfacendo. Egli amava ripetermi: "i medici non sanno spiegarsi come io continui a vivere". Era il disfacimento che coincideva col dono che il Signore gli andava facendo di una dimora eterna.

E qui riceviamo la lezione più urgente dall’Apostolo: la nostra esistenza terrena deve essere plasmata dal desiderio "di essere a lui graditi". Poiché "tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo".