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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Esequie del Canonico don Alfredo Pizzi
Casumaro, 6 giugno 2013


1. "L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato".

Cari fratelli e sorelle, queste parole narrano il fatto che pone al sicuro dalla distruzione questo mondo che ormai si è alleato colla morte, e ci dona una "speranza che non delude". Quale fatto?

Dio non ha tenuto nascosto nel suo insondabile mistero l’amore che ha per l’uomo; non solo ce lo ha rivelato. Lo ha "riversato nei nostri cuori". Cioè: ce ne dona l’esperienza viva. La coscienza che ciascuno ha di se stesso, non è più abitata dalla paura di essere solo qualcosa, disperso in un universo ostile e privo di senso. L’io credente è abitato dallo Spirito Santo, e quindi da tutta la potenza dell’amore salvifico di Dio.

Non solo. La persona umana è resa capace di amare Dio stesso; di vivere un’esperienza di amore reciproco con Dio: una vera amicizia.

Alcuni anni orsono, nell’agosto del 2010, don Alfredo scrisse un piccolo libro autobiografico, come una serie di "fioretti". Alla fine del suo libro egli scrive un pensiero, che sembra essere un bellissimo commento al testo paolino appena letto. "Ho un Dio da amare. Ho un Dio da far amare. Devo rendermi amabile per fare amare Dio".

Cari fratelli e sorelle: è il messaggio più forte che questo sacerdote ci lascia.

"Ho un Dio da amare". Oh, cari amici, quale sorte beata è questa per ciascuno di noi! Abbiamo un Dio che semplicemente ci chiede di amarlo.

"Ho un Dio da far amare". Cari sacerdoti, questa è la definizione più semplice e più profonda del nostro ministero sacerdotale. Esso semplicemente esiste per dire ad ogni persona umana che Dio l’ama, poiché questo è il Vangelo, cioè la bella notizia.

Cari fratelli e sorelle, don Alfredo ve lo disse anche e soprattutto colla sua vita. Egli diede tutta la sua vita sacerdotale alla vostra comunità, cari fedeli di Casumaro, percorrendo con voi tutto il tribolato cammino della storia di queste popolazioni dal 1958 fino alla sera di lunedì scorso 3 giugno 2013. Quale testimonianza di fedeltà in un mondo ubriacato dall’esaltazione del provvisorio!

Due sono state soprattutto le testimonianze di carità. Ed hanno ambedue il carattere della vicinanza alla persona umana più debole, più affidata alla cura e alla custodia degli altri.

Don Alfredo è stato uno dei fondatori del Servizio di Accoglienza alla Vita. Ho potuto constatare la passione con cui seguiva questo servizio, assieme agli altri operatori. Sono sicuro che i buoni sacerdoti del Vicariato di Cento continueranno questa attenzione.

Nel 2005 don Alfredo venne nominato Cappellano dell’Ospedale di Cento: un ministero esercitato con fedeltà, condivisione, e delicata carità esemplari.

Ha potuto scrivere: "ho vissuto e praticato una sacerdozio sereno, positivo, e sempre aperto al dono di me stesso agli altri, specie verso i miei casumaresi".

2. Cari fratelli e sorelle, la pagina evangelica appena proclamata ci offre un insegnamento assai importante.

Essa narra, ci presenta, i due possibili modi di morire. La morte, cari amici, non è un fatto puramente biologico per la persona umana, e dunque eticamente irrilevante. Esiste una buona morte ed una cattiva morte. Non è questione di molte o poche sofferenze come potremmo pensare: i due ladroni soffrivano moltissimo ambedue.

Ciò che discrimina la buona morte dalla cattiva morte, è se moriamo o non moriamo in Gesù e con Gesù, direbbe S. Paolo. Uno dei due ladri fa una buona morte, perché muore in Cristo e con Cristo: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno".

C’è una pagina autobiografica di don Alfredo, che mi ha profondamente colpito. Ascoltate; è una scena che avviene all’ospedale di Cento.

"La…volontaria chiede alla signora Clementina, forse per aiutarla a parlare: chi è il prete che sta davanti a noi? La signora si raccoglie un attimo e dice con voce chiara: è Gesù". Commento di don Alfredo: "Tu, don Alfredo, per loro sei Gesù! Quindi cerca di parlare e di muoverti come se fossi Gesù!". [I Fioretti del Don, Baraldini ed., Finale Emilia 2010, 111].

Fratello carissimo, siamo qui per pregare il Signore dei vivi e dei morti, perché tu possa orami vivere, senza più alcun impedimento, questa "identificazione" con Gesù, che ti fu luminosamente mostrata da una povera inferma.