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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


LE PERSONE MALATE E I D.R.G.
Comacchio 14 gennaio 1998


 Il tema sul quale verte la nostra riflessione, il rapporto fra la persona dell’ammalato e uno specifico sistema di classificazione quale è appunto il D.R.G., è forse quello in cui meglio si evidenziano i problemi centrali di un’etica pubblica della sanità e le cui relative soluzioni (o tentativi di soluzione) meglio esprimono l’ethos di una società. Mi vedo quindi costretto ad iniziare la mia riflessione chiarendo alcuni concetti fondamentali.
1.  Dicendo etica pubblica intendo riferirmi ad un sistema di regole ordinate alla tutela sociale di un diritto del cittadino. Dò qui a «tutela sociale» un significato assai ampio; comprende tutto ciò che assicura l’esercizio di quel diritto stesso. Orbene , come è a tutti noto, in questi ultimi decenni si è preso coscienza che la persona umana ha diritto alla salute non solamente in quanto tale, ma in quanto cittadino. Cioè, rientra nei doveri dello Stato quello di assicurare, in un qualche modo, la salute ad ogni cittadino. L’etica pubblica della sanità è precisamente quel sistema di regole ordinate alla tutela del diritto di ogni cittadino alla salute.
 Ma oggi questo sistema sembra minato dall’impossibilità per tutti gli Stati di sostenere il peso economico che comporta la tutela di quel diritto. E le ragioni che hanno portato a questa situazione sono almeno quattro: la crisi della concezione dello Stato sociale inteso come welfare state, il cambiamento demografico ed epidemiologico che hanno determinato un notevole incremento della spesa sanitaria, l’intolleranza verso qualsiasi situazione di malessere considerato come un sconfitta, la progressiva tecnologizzazione della pratica medica.
 E così da una parte la tutela di un diritto inerente ad ogni persona e dall’altra l’impossibilità economica di tutelarlo adeguatamente, creano una situazione in cui deve essere ripensata tutta la politica sanitaria. Sebbene alla loro origine negli U.S.A. i D.R.G. siano stato allestiti per misurare il prodotto dell’Ospedale (cioè l’assistenza al paziente), di fatto essi sono usati soprattutto come sistema di finanziamento prospettivo degli ospedali. Così anche in Italia, hanno il compito principale di identificare gruppi di pazienti omogenei per caratteristiche cliniche ed assistenziali. Ma, in questo modo, sono presumibilmente omogenei anche rispetto ai profili di trattamento e alle risorse consumate. Rientro insomma nei sistemi iso-risorse. In questo senso sono una risposta a quella paradossale situazione.
 Non è mio compito col mio intervento valutare neppure dal punto di vista etico questo particolare sistema iso-risorse: altri lo faranno, penso, dopo di me. La mia riflessione tende piuttosto ad individuare alcuni criteri fondamentali o meglio valori fondamentali che devono ispirare ogni soluzione legislativa o amministrativa.
2. Mi sembra che nell’affrontare questa problematica, dobbiamo liberarci dal culto … di almeno “due idoli della piazza” (idola fori): convinzioni che sembrano talmente ovvie da non permettere neppure di essere discusse.
 Il primo idolo. Consiste nell’affermazione del primato dell’economia. Vorrei attirare la vostra attenzione sul fatto che ho parlato di “primato” e non di “importanza”. La cosa è di fondamentale incidenza sulla nostra questione. Idolatrare l’economia significa attribuirle l’ultima e decisiva parola nell’ambito dell’etica pubblica della salute. Quando questo di fatto succede? quando il principio «costi/benefici» diventa il criterio ultimo delle scelte. Esso ha certamente una sua validità, ma non ultimativa in quanto il «costo» non è omologo al «beneficio» e pertanto non esiste fra i due una unità di misura omogenea. Quanto «costa» il «beneficio» di una vita umana? Quando nel 1984 la Columbia University spese 100.000 dollari per salvare un neonato di 450 grammi, agì bene o male? da questa prima riflessione derivano due corollari pratici di grande importanza, mi sembra.
 Il primo: il problema dell’allocazione delle risorse sanitarie è anche, anzi soprattutto un problema di visione gerarchica dei bisogni umani. Il fatto che la spesa sanitaria non sia una spesa di investimento e quindi non produttiva di ricchezza, non giustifica la preferenza al taglio delle spese sanitarie prima che ad altri.
 Il secondo: al criterio economicista «costi/benefici» deve subentrare il criterio economico «costi/efficacia». Esso afferma che deve esserci una proporzionalità fra il costo dei mezzi terapeutici, delle attrezzature tecniche e delle strutture e dei risultati terapeutici effettivamente raggiunti. La dottrina della Chiesa ha da secoli riflettuto su questo punto, distinguendo fra «mezzi ordinari – mezzi straordinari» o meglio «mezzi proporzionati – mezzi sproporzionati».
 Il secondo idolo consiste nell’affermazione che è possibile parlare sensatamente di giustizia senza parlare di verità: la separazione della giustizia dalla verità. “Ingiusto vale lo stesso che falso” (Aristotele, Etica a Nicomaco 1276 a). Non è cioè possibile costruire un’etica pubblica della salute se non sulla base di un paradigma personalista, cioè di una convinzione del valore assoluto di ogni persona umana. Forse qui tocchiamo il nodo centrale di tutta la questione. La politica sanitaria è diventata un test particolarmente significativo dello scontro di due paradigmi: un paradigma economicistico (utilitarista) e un paradigma personalista.
 Che cosa significa elaborare un’etica pubblica della salute sulla base di un paradigma personalista? Cercherò di dare una risposta assai sintetica nel terzo ed ultimo punto del mio breve intervento.

3. Dire persona è più che dire individuo. Dire persona significa infatti dire soggetto costitutivamente relazionato ad altri soggetti. Perché ho iniziato a parlare del paradigma personalista in questi termini? Perché ritengo che il “centro” attorno a cui deve costruirsi tutta la politica sanitaria sia precisamente la relazione medico-paziente, come relazione non contrattuale semplicemente/precisamente ma inter-personale. Una realzione cioè in cui nessuno dei due relati sia negato come persona. L’esercizio della medicina è giusto solo quando è vero, cioè realizzato in una prassi costitutivamente relazionale. Questa costituzione relazione significa almeno due cose.
 La prima: la finalità di tutta la “gestione sanitaria” è la salute della persona. In questo senso i diritti dell’ammalato sono il primum etico di ogni politica sanitaria: diritti dell’ammalato sono le esigenze incondizionate che derivano dal suo essere persona. Dalla verità e dignità del suo essere persona.
 La seconda: esiste un’autonomia strutturale della professione medica. Per autonomia strutturale intendo dire che l’esercizio della professione medica non può essere definito nella sua sostanza dalla politica sanitaria, né può essere modellata sulla nera fattualità tecnica (“se è possibile è lecito, se è lecito è doveroso”).
 Dall’affermazione della centralità della relazione medico-paziente deriva che nel difficile equilibrio fra il primato della persona e la gestione politica della salute, è il miglior interesse del paziente che deve essere la vera autorità in medicina. E ciò è vero sia per il politico, sia per l’amministratore, sia per il medico.

Conclusione

 Probabilmente l’ultimo punto della mia riflessione vi sarà sembrato teorico, cioè incapace di operare nella complessa materia che oggi ci occupa. E’ un’impressione errata ed assai pericolosa. Essa infatti nasce dall’idea che la giustizia nei rapporti fra le persone, ed il rapporto medico-paziente è al riguardo esemplare, possa essere pensata come un problema meramente procedurale. Voler evitare di pensare che esista una giustizia sostanziale, fondata cioè sulla verità della persona, espone tutto il sistema sanitario all’insidia di introdurre in esso al posto della giustizia, la ragione dell’utilità o comunque il criterio «costi-beneficio» come criterio decisivo. All’insidia di negare quindi a qualche persona la dignità di soggetto, cioè la capacità di poter chiedere la protezione del diritto: non è successo così colla legge 194? Troppo difficile riconoscere e scommettere sull’esistenza di una giustizia sostanziale, immanente al rapporto medico-paziente? Forse.
Ma è una scommessa che merita di essere giocata, perché scommette su ciò che ci costituisce persone e quindi meritevoli di essere trattate sempre come fini e mai semplicemente come mezzi: mai come qualcosa ma sempre come qualcuno “suorum operum principium, quasi liberum arbitrium habens et suorum operum potestatem habens”.