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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Documento base per la scelta educativa nella Chiesa di Bologna
28 gennaio 2008



Per la versione in formato .pdf cliccare qui

 

Diventare discepoli di Cristo è… un cammino di educazione
verso il nostro vero essere, verso il giusto essere uomini.
[Benedetto XVI – 21-12-2007]

 

Dopo la riflessione condotta dal presbiterio diocesano nel corso della Tre giorni annuale del settembre scorso; avendo sentito ed accolto la riflessione condotta dal Consiglio Pastorale diocesano, ho ritenuto necessario dare forma ordinata a tutto quanto abbiamo detto in questi mesi sul grande tema dell’educazione dell’uomo in Cristo.

INTRODUZIONE

Ciò che vi metto nelle mani non è propriamente una Nota pastorale né un Direttorio, ed ancor meno un libro sia pure di modeste dimensioni. Esso è un Documento-base.

Che cosa è un Documento-base e a che cosa serve? È la traccia delle grandi linee di un "quadro" entro cui collocare la missione della Chiesa di Dio in Bologna nei prossimi anni. Non si troveranno in esso proposte programmatiche propriamente dette e precise; ancor meno norme, regole da attuare ed applicare nella propria azione pastorale.

Non perché non si ritiene legittima la richiesta di indicazioni pratiche anche precise. Ho ritenuto tuttavia più ragionevole farle precedere da questo Documento-base, che di successive e sicuramente necessarie indicazioni più puntuali fosse come la premessa, la base, l’ispirazione. Dovremo poi nei tempi e modi opportuni affrontare per esempio il tema della pastorale vocazionale-giovanile; del riconoscimento pratico, non solo teorico, della missione educativa della famiglia, di una organica pastorale scolastica.

Ho ritenuto che la necessaria e precisa programmazione pastorale – bene intesa! (1) – sarà meglio affrontata e risolta in una prospettiva più profonda: quella di un vero ripensamento della missione della nostra Chiesa in chiave educativa. È ben noto che … non si può comporre, leggere, eseguire nessun rigo musicale se non si premette la chiave di lettura.

Ma nello stesso tempo, non è una teoria che viene presentata. È un’organica esposizione di principi teologico-pastorali, fatta a tutta la Chiesa di Bologna e ad ogni comunità cristiana: per guidare e stimolarne l’azione missionaria; per verificarne la sua capacità di rispondere ai grandi interrogativi che il mondo rivolge alla Chiesa; per offrire le fondamentali direttive di ogni futura programmazione pastorale.

Possiamo anche dire che questo è un Documento-base di metodo. Il metodo è l’indicazione di una via da percorrere. Il presente Documento-base intende indicare la strada che le nostre comunità cristiane devono percorrere perché l’uomo sia rigenerato in Cristo (2).

Non si cerchino in queste pagine, quindi, particolari dottrine o tecniche pedagogiche e/o psicologiche. Esse non appartengono al mondo della fede. È Gesù la via. La Chiesa ha appreso ed apprende da Lui, non da altri, come – il metodo appunto – l’uomo sia rigenerato e come si edifichi la comunità cristiana.

Nessuno pensi quindi che si parta da zero. La Chiesa bolognese ha una grande tradizione, dentro la quale e dalla quale questo Documento-base nasce.

Enuncio subito la sua ispirazione originaria: la missione della Chiesa di Dio in Bologna deve assumere il volto di una missione educativa; qualificarsi nella sua più profonda intenzione come missione educativa. Tutte le pagine che seguiranno chiariranno il contenuto di questa affermazione. Ma sono necessarie prima alcune premesse.

01. Non abbiamo appreso l’esigenza di configurare nel modo predetto la missione della Chiesa da fonti esterne all’universo della fede. La prassi apostolica come è documentata negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere apostoliche di Paolo soprattutto, mostrano come la cura che la Chiesa si prende dell’uomo è di far entrare l’uomo con tutto se stesso nel mistero di Cristo, di guidarlo all’appropriazione ed assimilazione "delle insondabili ricchezze di Cristo" (3).

Nel mondo antico era una novità assoluta: la rivelazione divina diventa sorgente dell’educazione dell’uomo (4) Fatto impensabile per un greco, per il quale l’educazione dell’uomo inizia dall’uomo e termina nell’uomo. Secondo la proposta cristiana, l’educazione ha origine nella "Epifania" redentrice del Signore e terminerà nella "Epifania" gloriosa del Signore.

Nelle due Note pastorali precedenti ho cercato già di orientare le nostre comunità secondo questa direzione, così come nel Piccolo Direttorio per una pastorale intergrata, ho indicato il quadro operativo ecclesiale entro cui agire.

02. È uno degli insegnamenti più importanti del Concilio Vaticano II che la missione della Chiesa e attraverso di essa, la rigenerazione dell’uomo in Cristo, esige un discernimento perspicace di ciò che sta accadendo nella storia. "È dovere permanente della Chiesa scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in un modo adatto ad ogni generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini" [Cost. past. Gaudium et spes 4,1; EV1/1324].

Molti dei "segni dei tempi" ci inducono a pensare che solo una forte caratterizzazione educativa della missione della Chiesa risponda ai bisogni dell’uomo di oggi.

La persona umana vive oggi in Occidente una condizione di incertezza quanto alle radici stesse della sua esistenza. I presupposti spirituali di cui si nutriva, e i fondamentali punti cardinali in base a cui si orientava, si sono oscurati e sono stati gradualmente erosi. Non pochi osservatori usano non a torto la cifra della liquidità per denotare questa condizione.

È la ricostruzione delle rovine dell’humanum che oggi più che mai interpella la Chiesa nella sua missione. Le rovine di una ragione che si è automutilata, limitando il proprio esercizio alla ricerca scientifica. Le rovine di una libertà che si è autocondannata, rifiutandosi di esercitarsi nella condivisione. Le rovine della socialità che si è ridotta a coesistenza regolata di egoismi opposti, proibendosi l’esperienza di un bene comune.

Questa condizione può causare nella persona credente una grande debolezza di giudizio. Può trovarsi non raramente in grave difficoltà nel giudicare secondo la mente di Cristo ciò che sta accadendo; può diventare difficile coniugare assieme il credere col pensare, ciò che il credente celebra alla domenica con ciò che vive al lunedì.

Non vedo via di uscita da questa condizione dell’uomo e del credente che un forte impegno educativo.

03. Questo Documento-base non si pone solo dentro al grande alveo della tradizione della nostra Chiesa bolognese, dalla quale è del tutto aliena un’esperienza cristiana che diluisca la fede nella storia entrandovi senza darle forma, senza appunto rigenerarla.

Si pone anche in continuità piena con il IV Convegno Ecclesiale tenutosi a Verona e con i due interventi di Benedetto XVI fatti in quel contesto, che amo ritenere come una Lettera Enciclica inviata alla Chiesa che è in Italia.

Come è già stato autorevolmente notato, sia il Convegno sia i due interventi del S. Padre hanno dato una nuova prospettiva alla prassi pastorale. Negli ambiti in cui si dispiega l’esistenza umana è stata messa al centro l’unità del soggetto persona e del soggetto comunità, come criterio per ricondurre all’unità l’azione della Chiesa, necessariamente multiforme. Benedetto XVI riconduce i suddetti ambiti ad un unico tema di fondo, nel quale vengano concentrate le sfide più gravi del tempo presente e della stessa post-modernità: il tema antropologico. Questo cambiamento di prospettiva deve farci riflettere molto seriamente. Essa, in fondo, è la radice di questo Documento-base.

La Chiesa, in essa ogni comunità cristiana, si radica e si fonda nel mistero della fede. All’interno del mistero della fede, la Chiesa va incontro all’uomo, proponendogli di entrarvi con tutto se stesso: coi suoi affetti, col suo lavoro, colle sue infermità, colla sua città [= gli ambiti].

La Chiesa, in essa ogni comunità cristiana, può muoversi a questo incontro nel modo giusto non presentando all’uomo dei "programmi da realizzare", ma testimoniando un fatto che sta ora accadendo: Dio che redime l’uomo.

04. Questo Documento-base è stato generato, nasce anche dal Congresso Eucaristico Diocesano. La sua celebrazione, non solo liturgica, è stata ispirata e governata dall’assioma paolino: "se uno è in Cristo è una nuova creatura". Abbiamo verificato questa novità che l’essere in Cristo induce nel vivere umano in alcuni grandi ambiti: la libertà dentro alla comunità civile, il lavoro e l’ambiente, l’educazione ed il rapporto intergenerazionale. Abbiamo così trovato conferma del nostro lavoro nell’itinerario che la Chiesa in Italia stava percorrendo verso Verona, e anche da esso abbiamo tratto ispirazione.

Ogni Congresso Eucaristico segna una tappa nella vita della nostra Chiesa. Ora si tratta di far fruttificare il seme piantato da esso nelle nostre comunità. Aiutarle a divenire nuove creature in Cristo, e ad essere missionarie al mondo della novità che Cristo offre ad ognuno come possibilità reale. Questo Documento-base nasce da questa prospettiva post-congressuale.

Ma con questo siamo già entrati nel primo grande tema di questo Documento-base.

L’accordo, il consenso sulla definizione stessa di educazione cristiana non può essere semplicemente presupposto, ma esige di essere verificato e come registrato. È per questo che inizio questo Documento-base offrendo alla vostra riflessione la definizione di educazione cristiana, per la necessaria verifica e registrazione.

 

Capitolo Primo

L’EDUCAZIONE CRISTIANA

 

La funzione di questo paragrafo è di "dare la nota" sulla quale ciascuno deve accordarsi.

Nei mesi scorsi è stata pubblicata in Francia l’opera di un grande storico dell’antichità, Paul Veyne, che si intitola: "Quand nôtre monde est dévenu chrétien". L’autore è ateo professo.

Egli parla del "capolavoro del cristianesimo primitivo", spiegando il successo della fede cristiana dalla intensità di vita che riceveva dall’incontro con Gesù chi credeva in Lui, perché "ogni suo moto interiore, ogni gesto, ogni azione poteva prendere un senso e una direzione verso il bene e verso il male, un senso che l’uomo, a differenza dei filosofi, non sceglieva da solo, ma seguiva orientandosi verso un essere assoluto, che non era un principio, ma un grande essere vivente".

Lo storico verifica un fatto che trova la sua più profonda spiegazione nella proposta cristiana (5).

Dal punto di vista cristiano infatti quale è il problema centrale dell’uomo, la questione dalla cui soluzione dipende interamente il destino della persona? Che il rapporto oggettivo fra ogni uomo e Cristo, istituito dall’eterna predestinazione del Padre, diventi soggettivo. Se questa "soggettivazione" avviene e nella misura in cui avviene, la persona è riuscita; se non avviene e nella misura in cui non avviene, la persona è fallita: il resto è alla fine secondario. Mi spiego.

L’uomo, ogni persona umana, ciascuno di noi in carne ed ossa non è entrato privo di senso nell’universo dell’essere, affidato alla mera progettazione della sua libertà, collocato in una originaria neutralità nei confronti di qualsiasi realizzazione di se stesso. La vita non è un teatro nel quale ciascuno sceglie, prima di entrare in scena, di recitare qualsiasi parte. Noi siamo stati pensati dal Padre dentro un rapporto. La S. Scrittura usa un termine fortissimo: "pro-orizo" (= pre-destinare) (6). Siamo stati "confinati dentro una relazione, un rapporto": il rapporto con Cristo. È questo il nostro territorio, la nostra casa, la nostra dimora. L’uomo, nessun uomo, è stato gettato in un deserto, senza nessuna indicazione di strade. Per quanto la barca della nostra vita sia sbattuta da venti in direzione contraria, nella nostra persona è posta una bussola che indica sempre il polo nord: l’atto predestinante del Padre ha posto in ogni uomo la chiamata ad "essere in Cristo". Ho detto che si tratta di un rapporto oggettivo. In due sensi.

Non dipende da me il porlo; io mi trovo già relazionato a Cristo. Dipende da me se rimanervi oppure uscirne, decidendo che altra è la verità e quindi il bene della mia persona. Esso è posto in essere da Dio stesso ed è la ragione per cui Egli mi ha creato. Possiamo esprimere la stessa cosa dicendo: la verità della persona umana è nella sua relazione con Cristo.

Ma questo non è tutto. La persona umana non è collocata in Cristo così come una pianta è collocata e un edificio è fondato in un terreno. Essa è un soggetto libero: la libertà è la dimensione costituiva fondamentale dell’esistenza della persona. In che senso? Il rapporto oggettivo, nel senso ora spiegato, diventa soggettivo mediante la libertà. È la libertà che realizza concretamente o concretamente non realizza la verità della persona. Genera la persona in Cristo oppure in un altro modo. Il rapporto oggettivamente istituito dalla decisione divina diventa soggettivo mediante la libertà della persona. Questa "soggettivazione" costituisce il processo formativo della personalità umana.

Il processo in cui l’oggettivo diventa soggettivo investe l’intera persona: è una completa trasformazione della persona secondo la forma di Cristo. Investe il modo di pensare, di esercitare la propria libertà, di costruire il rapporto cogli altri; investe il cuore della persona. Quello che nella paideia greca era stata la formazione o mórphosis della personalità umana, secondo i Padri greci soprattutto, diventa la meta-morphosis dell’uomo in Cristo (7). È una vera e propria generazione della propria umanità secondo un "modello" conformemente al quale ciascuno di noi è stato pensato: "è l’uomo vero che la sua vita ha conformato all’impronta impressa nella sua natura fin dall’origine" (8).

La missione della Chiesa consiste precisamente nell’offrire ad ogni uomo la possibilità di rigenerare la sua umanità in Cristo; e se l’offerta è accettata, la Chiesa ha i mezzi di realizzare questa rigenerazione; di introdurre ogni uomo in Cristo, perché in Lui realizzi pienamente se stesso.

È necessario a questo punto che ci fermiamo un momento a riflettere sul senso e la realtà di questa auto-realizzazione, anche per immunizzarci da quell’atmosfera di diffuso individualismo in cui viviamo.

La realizzazione della persona non può essere senza comunione con le altre persone. La rigenerazione dell’uomo in Cristo e la Chiesa sono due realtà necessariamente connesse. La salvezza è certamente nell’uomo in quanto persona nell’esercizio della sua libertà: è questa il destinatario della proposta salvifico-educativa. "Ciò detto, è, però, decisivo aggiungere anche che quest’opera individuale di salvezza (e di aspirazione ad essa) è sempre trasmessa attraverso la Chiesa". … E che "il compimento e la pienezza dell’aspirazione individuale-personale alla salvezza e alla vita salvifica accade nella dimensione comunitaria ed ecclesiale" (9).

Non per caso o per estrinseca disposizione divina, l’ordinamento esteriore della realizzazione della rigenerazione dell’uomo in Cristo nella Chiesa è costituito dai sacramenti.

La dimensione individuale personale – comunionale della salvezza è particolarmente evidente e suggestiva nel sacramento della Confessione.

La prima, fondamentale modalità attraverso cui la Chiesa manifesta all’uomo il mistero della volontà divina, e quindi la verità circa l’uomo medesimo, è la predicazione viva della parola di Dio (10), e niente può sostituire nella Chiesa questo servizio: "è piaciuto a Dio di salvare i credenti colla stoltezza della predicazione" [1Cor 1,21]. La via che porta all’incontro con Cristo resta sempre in via ordinaria quella indicata da Paolo: "la fede dipende dunque dall’udire la predicazione, ma questa, a sua volta, dalla parola di Cristo" [Rom 10,7].

Del "servizio alla Parola" è responsabile, per la sua parte, ogni credente ed ognuno riceve lo Spirito per annunciarla. Ciascuno, il pastore in primo luogo, deve essere consapevole che quando assolve questo compito, in qualsiasi modo e forma, nell’azione che compie, è presente la forza della Parola, la potenza di Dio per la salvezza di chi crede (11).

Questo è il vero potere di cui il Signore ha dotato la sua Chiesa.

Non si tratta dunque di comunicare semplicemente una dottrina o di spiegare un testo sacro. Si testimonia e viene narrato l’evento della salvezza, Cristo Risorto presente nella Chiesa. La regola, la forza e la fonte di ogni servizio della Parola che la Chiesa svolge è nella S. Scrittura e nella Sacra Tradizione.

La manifestazione del mistero di Cristo riguarda l’intera vita umana in tutti i suoi ambiti, e mira ad introdurre ogni uomo e tutto l’uomo in un muovo modo di essere e di vivere (12).

Una consistente tradizione occidentale definiva il processo educativo precisamente come progressiva conduzione della persona verso la piena realizzazione di se stessa. La Chiesa ha potuto farla propria senza difficoltà, ma dandovi un contenuto assolutamente nuovo.

All’interno di questa appropriazione si comprende come la missione della Chiesa possa essere pensata correttamente in categorie pedagogiche. Può essere correttamente pensata come una missione educativa: "figliolini miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi" [Gal 4,19], dice la Chiesa per bocca di Paolo. Abbiamo al riguardo anche una conferma storica.

"Il cristianesimo si pose il problema educativo dalla prima propaganda evangelica. Non per una tesi preconcetta a voler ridurre le cose al proprio angolo visuale, ma per una necessità insita nella stessa terminologia della sua dottrina, la posizione educativa resta preminente … Il metodo educativo cristiano è presente ed operante nel catecumenato, nella comunità e nella vita di ogni giorno" (13).

Questa connessione fra la proposta cristiana e l’esperienza educativa ha avuto come prima e necessaria conseguenza anche l’elaborazione di una dottrina pedagogica.

È necessario tener presente che il processo non è stato dall’elaborazione di una dottrina all’applicazione alla vita: dalla dottrina alla vita. Al contrario. L’esperienza della fede ha coinvolto anche la ragione del credente. Egli ha percepito la logica interna alla sua vita di fede, e ne ha colto la dimensione e-ducativa della sua umanità. Non dalla dottrina alla vita, ma dalla vita alla dottrina.

È sufficiente per un Documento-base esporre le linee fondamentali del logos intrinseco alla proposta educativa della Chiesa, alla introduzione della persona nel mistero di Cristo.

Il primo principio è che l’uomo non è autodipendenza pura, non ha cioè il potere di determinare la verità di se stesso, di inventare la sua propria essenza, la sua natura. Esiste una misura della propria umanità, che la fede individua nella persona di Cristo.

Se già una ragione rettamente esercitata giunge a negare all’uomo quell’autonomia, la fede ne dà la spiegazione più radicale. La rigenerazione dell’uomo in Cristo è un puro dono assolutamente gratuito. Tutte le narrazioni evangeliche degli incontri con Gesù mettono in risalto la risonanza soggettiva di questo dato obiettivo: la sorpresa, la meraviglia di chi è chiamato da Cristo.

Giustamente quindi il beato A. Rosmini afferma: "il Cristianesimo adunque diede l’unità all’educazione primieramente perché pose in mano all’uomo il regolo onde misurare le cose tutte, o sia il fine ultimo a cui indirizzarle" (14).

Il secondo principio è la conseguenza immediata del principio precedente, il suo risvolto soggettivo. Mi piace desumerne la formulazione ancora da A. Rosmini: "Si conduca l’uomo ad assimigliare il suo spirito all’ordine delle cose fuori di lui, e non si vogliano conformare le cose fuori di lui alle casuali affezioni dello spirito suo" (15). Più semplicemente: educare significa introdurre l’uomo nella realtà.

Si tratta di un punto di importanza decisiva. Nell’esperienza di fede, non si dice: "questo è vero perché corrisponde al mio desiderio", ma al contrario: "questo corrisponde al mio desiderio, perché è vero". Non si dà appartenenza parziale a Cristo nella Chiesa, misurata dai propri gusti. La fede è essenzialmente un atto di obbedienza, non un rapporto inter pares; e la vita cristiana è sequela di un Altro.

Il virus mortale del soggettivismo e del relativismo può essere vinto solo da questo atto di obbedienza consustanziale all’atto di fede.

Il terzo principio è l’ulteriore specificazione di quello precedente, e lo potremmo enunciare nel modo seguente: introdurre la persona nella realtà significa porla in Cristo come unica posizione nella quale è possibile vedere ogni realtà nella sua intera verità ed amarla secondo il suo valore, e vedere l’intero nella sua intima bellezza.

Il quarto principio è nella concreta e quotidiana vita e missione della comunità cristiana il più importante di tutti.

Ciò che ho detto nel principio precedente non deve essere pensato come un compito affidato al singolo, una sorta di marcia solitaria verso quel "punto di osservazione" da cui si può contemplare il paesaggio in tutta la sua bellezza.

La visione strutturata della realtà intera è già stata offerta all’uomo. È la visione cattolica che apre gli occhi del cuore e ci introduce nel mondo. L’assimilazione profonda di questa visione è possibile solo mediante l’appartenenza personale ed affezionata alla Chiesa cattolica (16).

Vorrei ora cercare di stringere in sintesi quanto detto. La nostra Chiesa vuole essere in primo luogo una Chiesa educante. Ed educare significa: introdurre la persona ad una sequela di Gesù, appassionata, incondizionata e definitiva, che rende il discepolo capace di vivere la vita intera in Cristo Gesù.

 

Capitolo Secondo

LO STILE EDUCATIVO

 

In questo secondo capitolo vorrei individuare gli elementi che danno forma alla missione della Chiesa quando essa si realizza come missione educativa, nel senso appena detto.

Ogni autore ha il suo stile che ovviamente non è separabile dal suo scritto, dall’edificio che ha costruito, dalla statua che ha scolpito. Vorrei ora indicare lo stile che è proprio di una Chiesa che intende dare alla sua missione la connotazione educativa.

Per maggiore chiarezza descriverò questo stile indicandone progressivamente i caratteri fondamentali.

Primo carattere. L’enunciazione del primo carattere devo farla precedere dalla riflessione su alcune pagine agostiniane (17) riguardanti la sua conversione.

Agostino era già arrivato prima della conversine ad una buona conoscenza della dottrina cristiana. Ma questa conoscenza non significava per lui "senso della vita". Agostino descrive questa condizione spirituale con due stupende formulazioni: "totum hominem in Cristo cognoscebam, non persona veritatis [VII, 19,25]": la conoscenza di tutta la vicenda umana di Cristo (fatti e parole) non mancava; ma non era avvenuto l’incontro, la scoperta che la verità è quella Persona. Ed ancora più profondamente aggiunge: "Certus quidam eram in istis, nimis tamen infirmus ad fruendum te [VII, 20,26]": la conoscenza del cristianesimo non basta perché la persona umana goda della persona di Cristo.

Queste ultime parole sono centrali. Colgono il nucleo della proposta cristiana: il cristiano non è tale per la conoscenza di una dottrina e di una storia o per la "dedizione ad una causa" ma per l’ "affezione a una persona".

L’organo dell’affezione, dell’attaccamento ad una persona è il cuore, termine centrale nel linguaggio biblico e quindi del linguaggio cristiano.

Ora sono in grado di formulare il primo elemento dello stile educativo: l’educazione cristiana è l’educazione del cuore dell’uomo.

Il "cuore" è il luogo dove si incrociano ragione, volontà, desideri e passioni. È intelligenza della realtà [gli "occhi del cuore"; "le ragioni del cuore" (Pascal)]; è volontà che nasce prima di ogni scelta e sta alle spalle di ogni scelta, perché è costituita dal desiderio di beatitudine. In questo senso il cuore denota il centro della soggettività della persona; è il costitutivo dell’humanum come tale.

Non è facile per noi oggi ricuperare questa visione unitaria della persona, presente nella S. Scrittura e nella Tradizione cristiana. Siamo ormai naufragati dentro ad una visione esclusivamente analitica della persona, che separa ragione e affettività, passione e libertà (18).

L’educazione cristiana è condurre la persona ad una scelta della persona di Cristo così come è stato potentemente ed insuperabilmente descritta da Paolo in Fil 3,4-17: dalla "dedizione ad una causa" [= la difesa della Torah] alla "affezione ad una persona". La nostra missione educativa è costitutivamente orientata a questo.

Poiché questo è il nostro stile, la proposta di Cristo deve fuggire da ogni riduzione. Essa non è solo l’insegnamento di una dottrina. Non é solo invito o persuasione ad assumersi impegni pratici. Non è solo proposta di "cammini spirituali". Essa è una proposta integrata di vari momenti, unificata da una forza intrinseca, che mette insieme le parti e le vivifica. Questa forza è la presenza di Cristo che mediante la [predicazione della] Chiesa si propone alla persona concreta come la Verità, la Vita, il Bene, la Beatitudine. Questo significa rivolgersi al cuore.

Secondo elemento. Prima di esporre il secondo elemento devo fare alcune considerazioni generali.

L’atto educativo – l’ho appena detto – è la composizione, la sintesi vissuta di molteplici attenzioni e cure. Ma nella congiuntura attuale l’attenzione prioritaria deve essere data all’intelligenza e alla sua cura.

La situazione attuale non raramente non è più quella di Agostino; in lui c’era la conoscenza della verità cristiana e la conversione consistette nel sentire che la verità era la Persona di Gesù vivente nella Chiesa. Oggi spesso non c’è più conoscenza della verità cristiana.

La catechesi intesa come comunicazione della verità di fede deve quindi oggi caratterizzare l’azione educativa della nostra Chiesa.

L’apostolo Paolo ci insegna: "Con il cuore … si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza" [Rom 10,10]. Se – come ho già detto – la divina Rivelazione viene proposta al cuore dell’uomo ed accolta nel cuore, essa esige anche di articolarsi nella bocca dell’uomo mediante proposizioni sensate. L’uomo non si radica nella realtà se non esercita la sua ragione. Non si radica colla fede nella realtà divina se non risponde anche colla sua ragione. Una fede che non diventa dottrina della fede non è in grado di condurre l’uomo alla salvezza, insidiata come è dai venti sempre mutevoli delle emozioni soggettive e elle mode del tempo. Non c’è fede senza dogma. S. Tommaso d’Aquino scrive: "uno non può credere se non gli viene proposta la verità a cui credere" [2,2. 1,9].

In un’epoca come la nostra caratterizzata da un profondo disconoscimento della dottrina e del dogma, questo elemento deve essere particolarmente evidente nel nostro stile educativo (19).

Ora sono in grado di formulare il secondo elemento dello stile educativo: l’educazione cristiana in cui la nostra Chiesa vuole impegnarsi esige una trasmissione continua ed integra della dottrina della fede da credere e da vivere, fatta attraverso una catechesi organica e sistematica.

Terzo elemento. La sinteticità dell’atto educativo, la sua struttura complessa ed interiormente ordinata, è sempre stata affermata e vissuta nella grande Tradizione educativa della Chiesa.

Questa consapevolezza ha dato origine all’itinerario educativo della Iniziazione Cristiana. L’Iniziazione Cristiana è l’espressione perfetta del genio educativo della Chiesa. In essa sono compresenti ed intimamente armonizzati e l’insegnamento della dottrina della fede e la progressiva introduzione nell’esperienza del Mistero e gli orientamenti esistenziali che coerentemente ne derivano. L’iniziazione cristiana è una sintesi mirabile di dottrina, sacramento, disciplina. L’Iniziazione Cristiana nella grande tradizione educativa della Chiesa è didascalia, mistagogia, etica. E tutte e tre le attività si propongono come risposta ad una "scelta del cuore" da parte dell’iniziato: l’incontro nel kerygma salvifico colla persona di Cristo.

Credo sia di una certa utilità richiamare, sia pure brevemente, gli aspetti fondamentali di questo itinerario educativo, paradigma di tutta la missione educativa della Chiesa.

L’itinerario ha una guida autorevole, ha un mistagogo nella persona del sacerdote [Vescovo e/o presbitero]. Questo fatto rende evidente due dimensioni essenziali dell’evento salvifico. Da un lato viene visibilmente salvaguardato il primato di Cristo unica sorgente della salvezza, dall’altro la persona è immunizzata dalle insidie della sua soggettività.

L’itinerario mette in risalto la struttura sacramentale della rigenerazione dell’uomo in Cristo. "Ciò che di Cristo poteva essere percepito, è trasmesso nei sacramenti", scrive S. Leone [Tract LXXIV,2; CCh 88/A, 457]. La funzione che nella vita del Dio-uomo aveva la sua umanità è ora svolta dai sacramenti.

L’itinerario mette in risalto infine il realismo della salvezza offerta dalla missione educativa della Chiesa. La rigenerazione dell’uomo è un fatto che trascende l’uomo, ma nello stesso tempo entra nella concreta vita dell’uomo.

Il terzo elemento dunque del nostro stile educativo è il seguente: l’Iniziazione Cristiana degli adulti è il paradigma fondamentale della missione educativa della Chiesa.

Quarto elemento. Anche la formulazione di questo elemento esige alcune considerazioni preliminari.

La forza dell’atto educativo, la sua "capacità di tenuta" è collaudata dall’incontro che la persona vive colla realtà. Detto in altri termini: è l’esperienza il test decisivo della nostra proposta educativa.

Se, per esempio, l’adolescente si rende conto che la vita non è dentro la proposta che gli è stata fatta nella preparazione alla cresima, ma altrove, possiamo stare certi: fatta la Cresima, non lo vedremo più!

Ho usato tre termini - "realtà", "esperienza", "vita" - che connotano la stessa cosa, che però esige di essere accuratamente definita.

L’incontro dell’uomo con l’universo dell’essere non è di carattere meramente psico-fisico, ma spirituale. Esso avviene nel modo propriamente umano quando l’uomo scopre il senso di ciò che esiste e di ciò che sente, di ciò a cui è naturalmente inclinato e di ciò che gli è richiesto di fare. Più brevemente: l’esperienza della realtà è l’intelligenza del suo senso.

L’intelligenza del senso da parte dell’uomo è sempre frammentaria, ma essa implicitamente o esplicitamente rimanda al senso del tutto. Nella polifonia ogni singola voce ha il suo senso musicale, ma lo rivela interamente nell’insieme colle altre voci. La proposizione trascende le parole che la compongono; tuttavia sono le parole a dirci il significato della proposizione.

Il quarto elemento del nostro stile educativo dunque è il seguente: educare significa proporre un senso unitario dell’essere e del vivere.

Se questo non accade, la persona inevitabilmente [soprattutto dell’adolescente e del giovane] confonde l’esperienza della realtà con il "provare" e "riprovare" tutto, e la libertà diventa alla fine una croce da cui si desidera, senza dirlo, scaricarsi. Oppure la persona [soprattutto dell’adulto] vive in maniera schizofrenica la propria esistenza: credere non è vivere.

Il quinto elemento è di importanza enorme: da un certo punto di vista è il più importante. Noi abbiamo la narrazione della marcia, dell’itinerario di un popolo verso Cristo: una narrazione divina. È la storia di Israele, divinamente narrata nei libri del Vecchio Testamento.

Secondo 1Pt 1,10-12, è lo stesso Spirito, lo Spirito di Gesù, che ha guidato il cammino della salvezza dalle prime tappe fino a Gesù, facendo gravitare verso lui la Legge, i Profeti e i Salmi (20). È in Gesù Cristo ed alla luce del suo ministero pasquale che tutto quel cammino deve essere compreso.

"Chi accetta Gesù, deve accettare l’unità dell’Antica e della Nuova Alleanza. Egli deve sapere di Abramo e della promessa della fede. Deve cogliere l’essenza della legge, e non solo per sapere ciò che deve conservare, ma anche da che cosa lo ha liberato Gesù" (21).

La Chiesa perciò legge le Scritture del Vecchio Testamento con uguale venerazione che le Scritture del Nuovo. E le Scritture dell’Antica Alleanza sono il testo base di ogni educatore cristiano. La capacità di leggere le Scritture dell’Antico Testamento è la prima qualità dell’educatore cristiano, poiché esse configurano quell’esperienza spirituale che è a tutti necessaria per vivere e crescere verso Cristo. L’esegesi dei Padri nasceva da questa profonda convinzione (22).

Possiamo enunciare il quinto elemento del nostro stile educativo nel modo seguente: le Scritture dell’Antico Testamento lette nella luce di Cristo sono il testo base dell’educatore cristiano.

Il sesto elemento afferma l’identità fra contenuto e metodo nella proposta cristiana. È anche questo un elemento di importanza somma.

Partiamo da una narrazione evangelica: l’incontro di Gesù con Andrea e Giovanni (23). Come avviene? Andando a vedere dove abitava Gesù, e rimanendo con Lui.

Se uno ci chiedesse: ma che cosa infine propone all’uomo il cristianesimo? Si dovrebbe rispondere: vivere in, come, con Cristo! Cioè: fra (il contenuto della) proposta e la via o il metodo per accoglierla c’è perfetta identità.

Possiamo dire la stessa cosa nel modo seguente. La via, il metodo per incontrare Gesù è la Chiesa; la proposta che il cristianesimo fa è l’incontro con Gesù, che si esperimenta nella Chiesa. La Chiesa è al contempo metodo e contenuto. E la Chiesa la si incontra e vive nelle sue concrete espressioni.

Più concretamente. Quando la missione della Chiesa ha un impasto veramente educativo, essa dice all’uomo che incontra le stesse parole dette da Gesù ad Andrea e Giovanni: "Venite e vedete". È l’invito ad entrare nella comunità cristiana, la dimora di Gesù Risorto.

Non interpretiamo questi pensieri subito in chiave moralistica; del tipo: "ma le nostre comunità non sono … non fanno …". La presenza del Signore non è condizionata dalla buona condotta dei cristiani.

Lo stile non è più educativo quando "l’invito a vedere" coincide semplicemente colla richiesta di impegnarsi a fare/non fare qualcosa, in parrocchia o nell’associazione o nel movimento.

Sono sicuro, posso dire che nelle nostre comunità è possibile incontrare Gesù, essere rigenerati da Lui nella nostra umanità. Non dico questo perché non vedo limiti e fragilità, ma perché constato in esse la consistenza della Traditio del Mistero salvifico.

Scrivo questo Documento-base perché esse acquistino sempre più quello "stile educativo" che faccia gustare a chi vi entra, quel centuplo che Gesù ha promesso fin da subito a chi lo segue.

La separazione del metodo dal contenuto rende inesorabilmente la proposta cristiana una proposta esclusivamente morale: una dottrina della vita buona. Cioè un fatto umano. È stato l’errore pelagiano; il veleno del cristianesimo, lo chiamò Agostino. E il veleno fa morire.

Possiamo ora enunciare il sesto elemento: la scuola dove l’uomo è educato a vivere in Cristo è la Chiesa.

 

Capitolo TERZO

L’ITINERARIO EDUCATIVO

 

La riflessione sullo stile educativo che deve assumere la missione della nostra Chiesa, appena conclusa, ci ha già introdotto nella riflessione circa l’itinerario educativo. Già molti elementi che caratterizzano il nostro stile educativo indicano che la rigenerazione dell’uomo in Cristo è un cammino, un itinerario.

Paolo ha avuto l’esperienza di un incontro con Cristo di carattere sconvolgente: una violenta spaccatura nella sua vita. Ma egli è consapevole di non essere ancora un "arrivato", ma che gli resta da percorrere un lungo cammino (18). Di questo parlerò nel presente capitolo, dell’itinerario educativo.

Prima però è di qualche utilità che dica che cosa intenda per "itinerario educativo".

L’educazione della persona accade all’interno di una continuata relazione inter-personale. Essa accade fra persona e persona. Non si educa in generale; l’istruzione può essere data in generale, non l’educazione.

Ne deriva che non esiste, non può esistere un itinerario educativo nel senso di un "manuale di istruzione" applicando il quale la persona è educata.

Tuttavia esistono delle costanti presenti in ogni rapporto educativo che sia veramente tale, mancando le quali l’atto educativo diventa impossibile.

L’insieme di queste costanti costituisce la carta topografica nella quale poi sono indicati i vari itinerari educativi, che non sono uguali per tutti, ma che devono muoversi tutti all’interno dello stesso spazio o territorio spirituale. Dunque, per "itinerario educativo" intendo l’insieme delle costanti che devono essere presenti in ogni rapporto educativo.

Per chiunque abbia responsabilità educative è importante, necessario anzi, conoscere queste costanti. È in base ad esse che ogni educatore può verificare se l’itinerario che sta percorrendo con la persona e la comunità che sta educando, è veramente educativo.

Prima costante. L’incontro colla persona vivente di Gesù avviene mediante la fede, radice e fondamento di tutta l’esistenza cristiana. La fede nasce dalla predicazione della fede: se la Chiesa non predica, l’uomo non può credere e quindi non si salva.

Se vogliamo che la missione della nostra Chiesa si concepisca e si realizzi come missione educativa, dobbiamo mettere alla cima delle nostre preoccupazioni la predicazione della fede. Il mistero di Gesù Signore e della sua presenza nelle nostre comunità deve essere rivelato cioè predicato. Non ci sono altre vie.

Come è noto, la predicazione della dottrina della fede assume varie forme, avviene in luoghi e circostanze diverse. Non è questo il luogo ove sviluppare ulteriormente questa costante di ogni itinerario educativo. Mi basta averne sottolineato la priorità assoluta.

Seconda costante. Il testo di 1Pt 3, 15 "pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" è di grande importanza nella riflessione che stiamo conducendo.

La fede deve essere in grado di "rendere ragione" della speranza che essa genera nel cuore dell’uomo.

Ogni itinerario pedagogico non può non educare chi crede, la persona di chi crede, a pensare la fede. Cioè: a rendere il credente consapevole che la fede è risposta vera ai grandi interrogativi della vita. Da ciò deriva che la condizione umana deve entrare prepotentemente dentro alla trasmissione della fede.

Sono utili, penso, alcune osservazioni a riguardo di questo "ingresso", la cui mancanza è causa non secondaria dell’abbandono della Chiesa da parte di molte persone.

È necessario che non confondiamo "condizione umana" e "mentalità dominante". La prima denota le esigenze che il cuore umano sente, gli interrogativi eterni dell’uomo; la seconda denota pensieri, preferenze, tendenze di fatto più condivise, e non raramente prodotte dai grandi mezzi della comunicazione. Tenendo presente questo, aiuta molto di più l’educatore un solo verso di Leopardi o una pagina di Kafka che un libro di sociologia.

Ogni ambito umano deve essere ascoltato ed interrogato dalla predicazione della fede, poiché ogni ambito umano ha una sua intrinseca ragionevolezza che non è mai nemica della fede. Al contrario, la invoca come sua centuplicata pienezza. È questo il punto centrale. Faccio un esempio. Amare [nel matrimonio, nel fidanzamento, nella famiglia …] in Cristo [= la predicazione della fede che diventa catechesi spiega ciò che vuol dire "amare in Cristo"] è "cento volte" più conveniente [l’amicizia fra la fede e la ragione] che amare non in Cristo. La debolezza della fede di tanti cristiani sta nel fatto che di questo non sono convinti, è quindi vivere il matrimonio cristianamente è sentito speso come un comandamento, soprattutto.

Terza costante. Non esiste nessun itinerario educativo vero che non salvaguardi il principio di autorità. Voglio soffermarmi un poco su questo punto che non pochi fra coloro che riflettono seriamente sull’attuale crisi educativa, ritengono la questione centrale.

L’esperienza fondamentale, la colonna portante di ogni rapporto educativo è l’autorevolezza dell’educatore. Essa consiste nel fatto che l’educatore ha una propria interpretazione della realtà e della vita nei confronti della quale egli può assicurare in base alla propria esperienza, che i "conti tornano". L’autorevolezza quindi si basa e si sostiene su due pilastri: a) possesso da parte dell’educatore di un’interpretazione della realtà e della vita, che ritiene vera; b) testimonianza circa il fatto che vivendo secondo quell’interpretazione, i conti alla fine tornano. L’educatore è autorevole quando può dire: "vedi, la vita è … ha questo senso … [= interpretazione della realtà e della vita]. Io ti posso assicurare che vivo secondo questa interpretazione perché verifico ogni giorno che i conti tornano". Che cosa significa "i conti tornano"? vivendo secondo quell’interpretazione, testimonio che esiste e che possiamo raggiungere ciò che il cuore dell’uomo desidera più ardentemente: la vera beatitudine.

Da tutto questo appare chiaro che l’autorevolezza è più che l’amicizia, ed è completamene diversa dall’autoritarismo.

Stando così le cose, la perdita di autorevolezza nell’educatore può avvenire per due ragioni: a) l’educatore non ha, o non ha più nessuna interpretazione della realtà e della vita della cui verità sia intimamente convinto; b) non ha la possibilità di testimoniare la verità in base alla sua personale esperienza. Non è sufficiente trasmettere una "dottrina di vita" della cui verità si è certi, per educare. L’autorevolezza è più che la competenza.

Quale è la situazione in cui noi ci troviamo oggi dal punto di vista dell’autorevolezza? È venuto a mancare il suo primo pilastro nella coscienza di molti educatori. Egli, non raramente, non ha più una coerente e convinta interpretazione della realtà; oppure quella che possiede la ritiene dello stesso valore veritativo della sua contraria. In altre parole: se il dogma del relativismo insidia la coscienza dell’educatore, questi perde ogni autorevolezza.

Da queste riflessioni possiamo dedurre la formulazione della terza costante: il rapporto educativo esige una comunione di vita, uno "stare con" chi è educato. Era questa una delle radici della grande esperienza dell’oratorio. Non si educa solo se ci si vede per un’ora o due alla settimana. L’esperienza della "prossimità" è decisiva.

Non posso non incoraggiare tutte le esperienze, quotidiane o non, dell’oratorio che si fanno nella nostra Chiesa, ed esortare a porle in essere dove non esistono. Un’altra possibilità molto efficace è il dopo-scuola fatto con elevata dignità culturale e professionale. Voglio approfittare di questo Documento-base per esprimere pubblicamente la mia profonda gratitudine alle parrocchie, alle Fondazioni ecclesiastiche, alle Congregazioni religiose, ai Movimenti ecclesiali che gestiscono scuole vere e proprie. Sappiano che fanno un’opera profondamente conforme alla grande Tradizione della Chiesa, ed oggi particolarmente urgente e necessaria.

Quarta costante. È la sintesi delle tre precedenti o, meglio, il momento sorgivo delle stesse. La enuncerei nel modo seguente: educare è testimoniare. La via dell’educazione è la via della testimonianza. E l’alternativa alla testimonianza è o l’egemonia [autoritarismo] o il disinteresse per il destino dell’altro [permissivismo]. La testimonianza è il vero ed il bene che risplende in una persona, ed attrae.

Vorrei ora registrare la figura dell’itinerario educativo e delle costanti sopra individuate su alcune relazioni educative oggi particolarmente difficili. Mi riferisco al rapporto che le nostre comunità istituiscono con gli adolescenti, i giovani e gli adulti.

Non intendo dare un "manuale per l’uso", che non può esistere. Intendo semplicemente mostrare che cosa comportano e significano quelle costanti di cui ho parlato finora, quando sono messe in azione nei confronti degli adolescenti (A), dei giovani (B), degli adulti (C).

(A): l’adolescenza. Inizio indicando alcuni fatti, facendo alcune constatazioni.

L’età che stiamo considerando, l’adolescenza, è l’età durante la quale il battezzato riceve il sacramento della Cresima. È constatazione di molti pastori d’anime, e non solo italiani, che la celebrazione della Cresima coincide con l’abbandono generalizzato della Chiesa da parte dei ragazzi. Il fatto deve farci riflettere molto seriamente. È una situazione alla quale non possiamo rassegnarci.

La nostra Chiesa di Bologna pratica da anni un’esperienza assai importante: l’itinerario della fede che accompagna gli adolescenti fino alla maturità anagrafica. Esso intende precisamente condurli ad una fede più consapevole e libera. È questa un’esperienza che non deve essere abbandonata, ma al contrario riproposta con forza e ripensata.

Gli adolescenti attuali sono nati già dentro a quell’interruzione della "narrazione della vita" che aveva sempre costituito il tessuto connettivo primordiale fra le generazioni umane: sono nati e cresciuti dentro ad una spaventosa afasia narrativa. È questa una costatazione che merita di essere attentamente esaminata.

"Una generazione narra all’altra le sue meraviglie, o Signore", dice il Salmo. La generazione dei padri "narra la vicenda umana" alla generazione dei figli: la introduce nella vita, nella realtà. Se questa narrazione cessa, i padri sono senza figli e i figli senza padri. L’afasia narrativa spegne la paternità e rende impossibile l’esperienza della filiazione. Il risultato è il diffuso narcisismo: la progressiva perdita del senso della realtà [decisioni mai definitive; abbandono alle emozioni; dittatura dello spontaneismo] (25).

La perdita del senso della realtà è esemplificata dall’universo virtuale creato dai videogiochi e da internet.

Penso che queste semplici constatazioni siano sufficienti a farci concludere: l’adolescenza è una delle sfide educative più consistenti per la Chiesa, oggi.

A me preme ora richiamare l’attenzione su alcune direzioni fondamentali che gli itinerari educativi adolescenziali devono seguire.

La prima. Nessun percorso di fede è possibile per un adolescente oggi, se non lo si libera da quella dittatura del soggettivismo e dello spontaneismo che gli impedisce di entrare nella realtà, anche nella realtà dell’universo della fede.

Tenendo presente una delle grandi verità dell’antropologia biblica – l’uomo è ad immagine di Dio e quindi è inscritta nella natura della persona l’inclinazione al vero e al bene – la prima preoccupazione educativa deve essere quella di sviluppare nell’adolescente la capacità di ascolto della voce di Dio quale risuona nella e dalla realtà stessa.

Il S. Padre, nell’incontro coi sacerdoti ad Auronzo di Cadore il 24 luglio u.s., ha indicato un itinerario pedagogico: "Io, vedendo la situazione nella quale ci troviamo, proporrei una combinazione tra una via laica e una via religiosa, la via della fede. Tutti vediamo oggi che l’uomo potrebbe distruggere il fondamento della sua esistenza, la sua terra, e quindi che non possiamo più semplicemente fare con questa nostra terra, con la realtà affidataci quanto vogliamo e quanto appare nel momento utile e promettente, ma dobbiamo rispettare le leggi interiori della creazione, di questa terra, imparare queste leggi e obbedire anche a queste leggi, se vogliamo sopravvivere. Quindi, questa obbedienza alla voce della terra, dell’essere, è più importante per la nostra felicità futura che le voci del momento, i desideri del momento. Insomma, questo è un primo criterio da imparare: che l’essere stesso, la nostra terra, parla con noi e noi dobbiamo ascoltare se vogliamo sopravvivere e decifrare questo messaggio della terra. E se dobbiamo essere obbedienti alla voce della terra, questo vale ancora di più per la voce della vita umana. Non solo dobbiamo curare la terra, ma dobbiamo rispettare l’altro, gli altri".

La necessità di risvegliare l’adolescente al primato dell’oggettivo è oggi di un’urgenza improrogabile.

La seconda. È uno sviluppo della precedente. Sono sempre più convinto che l’urto più forte colla realtà l’adolescente lo vive quando si incontra-scontra colla sofferenza. La visita agli ammalati, a persone abbandonate, la vicinanza ai più poveri, seguita dall’educatore e riflettuta assieme è l’esperienza da un certo punto di vista più educativa. È la porta attraverso cui l’adolescente entra nel reale.

Occorre fare attenzione che questa non sia pensata e vissuta come "volontariato" nel senso moralistico: ciò diseduca, non educa.

La terza. Mentre le prime due direzioni vanno nel senso di far uscire l’adolescente dal suo narcisismo, questa terza direzione va nel senso del suo incontro con Cristo.

È indubbio che non esiste una risposta più insignificante che quella data ad una persona che non ha chiesto nulla.

Tutta la questione quindi di ogni proposta educativa si riduce a questo semplice domanda: Cristo è testimoniato come risposta vera alle domande dell’adolescente? Se così non fosse è inevitabile l’abbandono.

Il cammino dunque va fatto su … due gambe: si ricordi sempre che l’Iniziazione cristiana è paradigmatica. Da una parte deve essere dato un insegnamento della dottrina della fede: non esiste il cristianesimo "fai da te". La completezza e la sistematicità della presentazione della dottrina è necessaria. Ma dall’altra parte è necessario stimolare continuamente l’adolescente all’ascolto del cuore, alle domande in esso inscritte.

Si potrebbe, per esempio, aiutarli attraverso percorsi artistici; attraverso la lettura di grandi autori; soprattutto attraverso l’incontro con i grandi testimoni, di cui anche la nostra Chiesa bolognese non manca.

La quarta. È assai importante che l’adolescente acquisti la consapevolezza di appartenere ad un popolo, il popolo cristiano, ad una storia che lo precede e lo supporta.

La storia della Chiesa, visitata attraverso la visita ai luoghi più significativi, è altamente educativa.

La quinta. Il "punto" dell’itinerario che siamo delineando, è l’incontro con Cristo nella preghiera.

Il problema dell’educazione alla preghiera non è risolto solo colla preghiera fatta in comune. Bisogna indicare a ciascuno percorsi molto semplici di preghiera, aiutando ciascuno a pregare coi Salmi. Essi sono una grande liberazione dalla tirannia dello spontaneismo.

La sesta. Persone competenti hanno dimostrato che in certe età la coeducazione è più indicata rispetto ad altre. Ma durante l’adolescenza essa può diventare di fatto un coercizione ed inibisce lo sviluppo pieno e sereno dell’affettività, e della sessualità.

Nell’itinerario educativo proposto agli adolescenti è necessario che ci siano momenti – almeno momenti – in cui non ci sia coeducazione.

(B): I giovani. Anche in questo tema vorrei entrare partendo da alcune constatazioni che reputo importanti per ogni itinerario educativo proposto ai giovani.

Sono ogni giorno più convinto che l’universo giovanile contemporaneo è, dal punto di vista che ci interessa, profondamente ambivalente.

Penso di non esagerare nel dire che esso è nella grande maggioranza estraneo [non contrario] alla visione cristiana della vita: la ignora, oppure ne ha una conoscenza gravemente distorta. Tuttavia, la religione in genere e la Chiesa esercitano sul mondo giovanile un interesse non raramente profondo.

L’atmosfera culturale fortemente impregnata di relativismo, di amoralismo, e di individualismo ha generato nei giovani una vera paura di scommettere sul futuro e la conseguente incapacità di prendere decisioni definitive. È come se l’esperienza del tempo si fosse decurtata fino ad assumere solo la misura dell’istante presente.

Ma nello stesso tempo, oso dire che di questa situazione e condizione l’universo giovanile è ormai così stanco da non sopportare più di rimanervi. Le vie di uscita non raramente sono purtroppo l’alcol e la droga.

Vorrei ora indicare alcune direzioni che, qualunque sia l’itinerario concretamente proposto ai giovani, devono orientare il percorso del giovane.

La prima. Per ragioni varie, il giovane oggi non è capace di intendere la proposta cristiana nella sua interezza. Trattasi non di malizia o di consapevole rifiuto. È una "debolezza percettiva". È come far gustare J.S. Bach a chi non ha senso musicale.

La via di uscita da questa situazione tanto grave mi sembra una sola: introdurre il giovane in un rapporto di profonda affezione colla Chiesa. Solo all’interno di un tale rapporto il giovane potrà gradualmente essere coinvolto nella proposta cristiana.

La Chiesa prende il volto preciso di un sacerdote. È necessario dunque che noi pastori non risparmiamo forze e tempo per i giovani, amandoli profondamente. È un amore fatto di vicinanza, di grande e paziente ascolto che gradualmente si trasforma in direzione spirituale.

O l’incontro con Cristo è mediato concretamente dalla Chiesa o diventa l’incontro con qualcosa d’altro, per esempio la proposta morale fatta da Cristo. E la mediazione ecclesiale è concretamente una persona in carne ed ossa.

La seconda. Comincio dalla formulazione negativa. Uno dei più gravi rischi in cui possiamo incorrere è la destoricizzazione della proposta cristiana fatta ai giovani.

Occorre che l’educatore sia molto vigilante perché questa destoricizzazione può transitare anche attraverso la lettura non adeguata della S. Scrittura.

Nella proclamazione e nella trasmissione della fede cristiana, è l’avvenimento che occupa il posto centrale. Per gli Apostoli, la luce suprema era il Cristo rivelato nel dono di Se stesso sulla Croce (26). Essi non hanno predicato commentando il Vecchio Testamento, ma narrando l’avvenimento di Cristo Signore crocifisso e risorto, mostrando che il Vecchio Testamento gli rende testimonianza (27).

La Chiesa è rimasta fedele a questo "metodo apostolico", e lo mette in atto in modo esemplare e normativo quando legge la Scrittura all’interno della Liturgia. In questo senso la parola detta dal Signore a Teresa d’Avila: "Sono Io la tua Bibbia" non deve mai essere dimenticata. Non per sottovalutare la "lectio divina" della Scrittura, che non sarà mai raccomandata e praticata abbastanza. Ma perché essa sia collocata nel posto giusto all’interno della proposta cristiana.

I rischi di una destoricizzazione della proposta cristiana sono per la fede di un giovane gravissimi. Accenno a tre. La proposta cristiana può divenire solo precetto etico. Può ridursi a momento spirituale che per qualche momento lo stacca dagli ambiti della sua vita quotidiana. Può divenire ritorno nostalgico ad un "principio" che agisce solo come critica al presente.

È per questo che il giovane ha bisogno, per essere rigenerato in Cristo, di essere inserito dentro alla vita della comunità cristiana, più di quanto sul piano fisico il suo corpo ha bisogno dell’ossigeno. Da una parte è necessaria un’esperienza di appartenenza ad una comunità precisa e ben visibile, ma dall’altro è ugualmente necessario che il giovane viva un’esperienza più grande dei confini della propria parrocchia o movimento od associazione: l’appartenenza alla Diocesi, alla Chiesa universale.

Ciò premesso, la seconda direzione fondamentale di ogni itinerario educativo proposto ai giovani è molto semplice: educare il giovane significa portarlo ad incontrare una persona viva, Gesù il Cristo Signore. Non dobbiamo dare per scontato questa direzione, specialmente oggi.

È facile quindi vedere la centralità della celebrazione dell’Eucarestia e della sua adorazione. Tutti i grandi educatori hanno sempre educato i giovani ad una profonda "devozione eucaristica".

È elementare sapienza pedagogica tenere sempre conto del fatto che non tutti i giovani partono dallo stesso punto di partenza: da chi ignora completamente a chi ha serenamente compiuto il suo cammino di fede ed ora deve prendere le sue decisioni fondamentali sul suo futuro.

La terza. È necessario custodire rigorosamente la "gerarchia delle verità" di cui parla il Concilio Vaticano II. Il cristianesimo è il Dio che si fa uomo per salvare l’uomo; è la rivelazione dell’amore che Dio ha per l’uomo. Questo centro deve sempre apparire come tale.

Ma ciò che è decisivo per l’educazione del giovane è che questo annuncio della fede sia mostrato nella sua intrinseca ragionevolezza. È necessario cioè far percepire almeno confusamente quel "centuplo" che Gesù assicura a chi lo segue.

I "punti" in cui questa feconda coniugazione fra fede e ragione deve essere mostrata ai giovani mi sembrano soprattutto i seguenti.

Il tema della libertà. Non dimentichiamo mai che l’io non è generato dal pensiero o dalle emozioni, ma dall’esercizio della libertà. La tirannia dello spontaneismo, di cui tanti giovani sono sudditi devoti, genera un io inconsistente e fragile. Senza una forte presentazione del legame che unisce fede cristiana e libertà e al contempo dell’intrinseca connessione della libertà col vero e col bene, il cristianesimo resta inevitabilmente fuori dai momenti costruttivi del proprio io.

Il tema della vocazione. È lo stesso tema precedente, ma registrato nella sua costitutiva dimensione religiosa. È la presa di coscienza di una verità del proprio io, che è affidata alla libertà, ma non è costituita dalla libertà. L’uno e l’altro – libertà/vocazione – vanno riflettuti sinotticamente, altrimenti non si offre al giovane una vera uscita dalla sua attuale condizione di sfinimento spirituale.

Il tema della costruzione dei legami sociali. Abbiamo imparato a costruire tutto, ma non forti legami sociali. E l’uomo fuori di essi non è felice.

La quarta. Quanto ho detto già per gli adolescenti vale anche per i giovani. E difficile pensare una vera proposta educativa che non preveda anche un incontro – confronto con l’uomo nel suo limite, così come ci viene proposto dal malato. L’ammalato è una grande proposta educativa, una vera "scuola di umanità". Ogni itinerario educativo deve comprendere momenti e spazi di vicinanza vera, non formale, con l’ammalato. Esistono già esperienze in questo senso, con esiti molto positivi.

Potrei sintetizzare il tutto dicendo: il giovane diventa consapevole che l’incontro con Cristo vivente nella Chiesa centuplica il patrimonio della sua umanità.

Senza questa esperienza, senza la pregustazione di un centuplo, di una vita eterna, è impossibile un’adesione a Cristo del cuore: impossibile una vera decisione vocazionale. L’io non nasce neppure. Il cristianesimo non è la dedizione ad una causa, ma l’affezione ad una Persona.

(C): Gli adulti. Quando la Chiesa si prende cura di un adulto, la sua finalità è di generare un cristiano maturo (28).

La maturità consiste nel vivere secondo la Verità nella carità, e (negativamente) nel non essere guidati dalle mode culturali.

La maturità è quella di una persona che ben fondata e radicata nella verità di Cristo, è in grado di condurre la propria esistenza secondo i criteri di giudizio che non provengono dalla moda imperante, ma dal proprio essere in Cristo. È quella di una persona coerente nei giudizi: che vive nella coerenza fra il credere e il giudicare.

La finalità della cura educativa dell’adulto è precisamente questa. Partiamo ancora una volta da alcune constatazioni.

La vera debolezza del soggetto cristiano anagraficamente adulto è oggi una debolezza di giudizio: ha una capacità molto limitata di far diventare la propria fede giudizio circa l’humanum. Ne deriva una vera e propria schizofrenia fra il credere ed il giudicare, che normalmente porta l’adulto a rifugiarsi nel dogma dell’individualismo permissivista: "io non faccio… perché devo impedire ad un altro?".

La conseguenza è che si finisce inevitabilmente col vivere la propria fede come qualcosa che riguarda … la domenica, non il lunedì. Non sto parlando affatto della incoerenza a livello pratico. Questa è ineliminabile ["rimetti a noi i nostri debiti"].

Altra conseguenza grave è che si accetta pacificamente la progressiva delegittimazione della presenza cristiana nella costruzione dell’humanum.

Ed ora vorrei indicare alcune direzioni che devono orientare chi si prende cura dell’adulto, qualunque sia l’itinerario di maturazione che proponiamo.

La prima. È assolutamente necessario che l’essere in Cristo diventi anche un pensare in Cristo. Una trasmissione completa e ordinata della dottrina della fede, avendo cura di mostrarne l’intima coerenza e l’intrinseca bellezza, è un compito pastorale che non possiamo più eludere.

Molto concretamente. La catechesi agli adulti, avendo come testo base il Catechismo della Chiesa Cattolica, è una delle più gravi urgenze pastorali. È illusorio pensare che possa bastare l’omelia festiva, che per altro ha diverso significato.

La seconda. Ma per la maturità cristiana non basta. L’educazione nella fede deve anche "raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità" [Paolo VI, Es. ap. Evangeli nuntiandi 19]. La riflessione sistematica su tale esigenza sconvolgente della fede è la Dottrina sociale della Chiesa.

L’assimilazione quindi da parte del fedele, nella misura e nei modi propri alla responsabilità di ciascuno, della Dottrina sociale non è un optional.

Molto concretamente. La Catechesi agli adulti deve avere come testo base anche il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa.

La terza. Come ci è ricordato nella Nota pastorale dell’episcopato italiano dopo il 4° Convegno ecclesiale nazionale di Verona, "Rigenerati per una speranza viva (1Pt 1,3): testimoni del grande sì di Dio all’uomo" "non è possibile dire la novità che proclamiamo in Gesù risorto, se non dentro le forme culturali dell’esperienza umana" [4,3].

Nell’itinerario per condurre gli adulti ad una fede matura, dovranno essere tenuti presenti alcuni "nodi" che sono oggi centrali nella forma culturale che l’Occidente sta dando alla propria esperienza umana.

Il nodo antropologico. È in atto una pervasiva ridefinizione dell’humanum che ignora o nega il proprium della persona umana.

Il nodo della questione della verità. La riduzione della Rivelazione cristiana ad una delle tante produzioni simboliche dell’uomo, prive di qualsiasi carattere veritativo, evacua completamente il senso del nostro annuncio.

Il nodo della tradizione come base di un rapporto educativo serio. L’idea, che va sempre più affermandosi, di una riduzione della tradizione che ci ha generati e nutriti ad una "tabula rasa" dove tutti si ritroverebbero, è un progetto stolto e tirannico.

Il nodo della cittadinanza: quali sono le ragioni che tengono unite un popolo e ne fanno una vera comunità, una civitas nel senso più alto del termine? È il tema che ha ispirato tutte le mie omelie di S. Petronio, a cui rimando.

Ho descritto il paradigma dell’itinerario educativo per offrire una vera e propria criteriologia educativa. Ho cercato di mostrare la direzione di marcia che deve prendere il cammino quando si fa la proposta cristiana agli adolescenti, ai giovani, agli adulti.

 

 

Capitolo Quarto

L’ISTITUTO VERITATIS SPLENDOR.

 

Per realizzare quanto è detto nel presente Documento-base, la Chiesa nostra possiede lo strumento dell’Istituto Veritatis Splendor. Esso è, deve essere il punto di riferimento obbligato, nel senso che spiegherò subito.

Dare alla missione della nostra Chiesa una connotazione educativa secondo la forma e lo stile delineati in questo Documento-base, esige un immane – non è retorico il dirlo – sforzo culturale. In un significato molto preciso che chiarisco subito.

Inizio questa precisazione da un testo mirabile di S. Leone Magno tratto da un’omelia natalizia: "non abbiamo alcun dubbio che la potenza della bontà divina abbia talmente illuminato il vostro cuore da far capire anche alla vostra intelligenza ciò che dentro di voi la fede aveva piantato" [Sermo 10,1.1]. Il grande pontefice mette in evidenza una verità assai importante: l’esperienza della fede contiene già in sé le sue ragioni, il suo logos. Si noti: Leone parlava non in … conferenza universitaria, ma durante una celebrazione liturgica partecipata da ogni classe di fedeli.

La fede quindi genera nella mente del credente una visione integrale della vita e del mondo; la vita ed il mondo della fede sono germinate dalla fede stessa. È un errore fatale pensare che la elaborazione della visione cristiana della vita e del mondo sia un complesso di idee, un sistema di pensiero elaborato dalla mente indipendentemente dall’esperienza della vita.

La prima conseguenza di un tale errore è pensare che si possano elaborare progetti o perfino programmi, magari da parte di cristiani più competenti di altri, chiedendosi poi come applicarli. La domanda "Che fare?" posta in questo modo è sbagliata: dice che si è già posto una spaccatura fra pensiero e vita.

Ritorniamo al testo leoniano. È necessario che le ragioni intrinseche a ciò che il credente vive quando celebra il Mistero e si incontra col Signore risorto, siano sistematicamente assunte e criticamente pensate. Non è un optional per il credente chiedersi per esempio: ma che cosa significa che siamo stati salvati nella speranza? Che quando celebriamo l’Eucarestia partecipiamo realmente al sacrificio di Cristo? Che quando soffro compio in me ciò che manca alle sofferenze di Cristo per il suo corpo che è la Chiesa? Che io risponda in un modo o nell’altro a queste domande non è indifferente per la qualità della mia vita.

Questa assunzione consapevole delle ragioni della fede avviene già nell’organicità della catechesi, la quale pertanto deve avere una sua totalità sistematica: tutti e singoli gli articoli del Simbolo, e nei loro intimi nessi. Ripeto quindi ancora una volta quanto ho già detto varie volte nelle pagine precedenti: in ogni parrocchia, in ogni movimento, in ogni associazione dare uno stile educativo alla missione della Chiesa significa assicurare in primo luogo ad ogni battezzato – non solo fino alla Cresima, non solo in vista di un sacramento da ricevere – una proposta sistematica di catechesi.

Basta assicurare ad ogni battezzato una buona catechesi? certamente.

Tuttavia questa "assicurazione" è solida solo se esiste un luogo in cui l’esplicitazione delle ragioni della fede raggiunge un livello ancora più alto che nella catechesi. Mi spiego.

La condizione in cui vive il credente oggi è di una gravità che non esisto a giudicare senza precedenti. Il popolo cristiano è sottoposto quotidianamente al tentativo, compiuto coi potenti mezzi di produzione del consenso di cui oggi l’uomo dispone, di convincerlo che è migliore la vita di chi vive senza Dio. Si noti bene: non al tentativo di dimostrare che Dio non esiste; che la questione di Dio sia una questione insignificante ["che Dio ci sia o non ci sia, non mi interessa: Lui non c’entra, in ogni caso], ma al tentativo di mostrare che la qualità della vita peggiora se credi in Dio. Il percorso del secolarismo è giunto così al capolinea.

Sul pianto individuale ciò significa e comporta la proposta di uno stile di vita in cui il riferimento alla Sapienza divina sta progressivamente scomparendo.

Sul piano sociale, la progressiva delegittimazione di qualsiasi presenza di qualsiasi fede religiosa nella vita pubblica. La separazione fra la vita e la fede cristiana è ormai un postulato della costruzione della nostra civiltà.

Purtroppo la proposta cristiana fatta oggi è precisamente debole a riguardo del nesso fra i misteri della fede e la vita quotidiana dell’uomo: debole proprio nel "nodo" in cui dovrebbe essere più forte. Non elenco i segni di questa debolezza.

Due vie per uscire da questa "impasse" sono senza sbocchi, e da non percorrere.

La prima è la liquidazione della fede dentro la storia, di cui ho già parlato: una fede che è vissuta o come nostalgico ritorno temporaneo ad un "principio" puro o come attesa di un evento escatologico pensato come orizzonte mai raggiungibile. In ogni caso, una fede non amica della vita quotidiana dell’uomo.

La seconda è il primato della morale. È il mettere il cristiano di fronte, in primo luogo, al "devi-non devi". L’esito scontato è prima o poi il compromesso. In ogni caso, una fede non amica della libertà dell’uomo.

Coloro che hanno responsabilità ecclesiali si trovano oggi nella necessità di trovare un luogo dove si mostri l’amicizia fra il Mistero di Cristo e la vita quotidiana dell’uomo; in cui si mostrino tutte le implicazioni del Mistero di Cristo nell’esercizio della libertà dell’uomo: in cui la fede diventi amica della ragione e della libertà dell’uomo. E che questo sia fatto con quell’impegno, quella dignità culturale che la radicalità della sfida esige. È a questa esigenza che intende rispondere l’istituto Veritatis Splendor.

Sarà cura dell’Istituto, nei tempi e modi dovuti, presentare alla comunità diocesana il programma annuale, elaborato sulla base di questo Documento e sostenuto dall’attività di ricerca propriamente detta, che nell’Istituto affianca la proposta formativa.

 

CONCLUSIONE

 

Mi piace concludere con una pagina stupenda di S. Gregorio di Nissa.

"Sappi quanto tu sei stata onorata [= o creatura umana] dal Creatore al di sopra del resto della creazione. Non il cielo è stato fatto immagine di Dio, non la luna, non il sole, non la bellezza delle stelle, nessun’altra delle cose che appaiono nella creazione. Solo tu sei stata fatta immagine della natura che sovrasta ogni intelletto, somiglianza della bellezza incorruttibile, impronta della vera divinità, ricettacolo della vita beata, immagine della vera luce, guardando la quale tu diventi quello che egli è, perché tu imiti Colui che brilla in te per mezzo del raggio riflesso proveniente dalla tua purezza. Nessuna cosa che esiste è così grande da essere commisurata alla tua grandezza" (29).

 

È una pagina da cui traspare la stima che la fede cristiana ha per la persona umana.

Per questa stima che Dio ha per la sua creatura prediletta, Egli ha pensato tutta l’economia della salvezza.

La scelta educativa esprime questa stima, perché nulla di ciò che è veramente umano vada perduto, resti privo di cura.

La sintesi di tutto questo Documento-base la trovo in una stupenda Colletta del tempo natalizio: "Omnipotens sempiterne Deus, qui per Unigenitum tuum novam creaturam nos tibi esse fecisti, presta, quaesumus, ut per gratiam tuam in illius inveniamur forma, in quo tecum est nostra substantia" (30).

"Chi è in Cristo è una nuova creatura", ci ha insegnato l’Apostolo durante il nostro Congresso Eucaristico. La nuova creazione della nostra persona è opera di Dio ["nos tibi esse fecisti"] mediante la Chiesa. Questa novità trasforma la nostra forma in quella di Cristo, poiché la nostra umanità è stata assunta dalla sua divina Persona ["in illius inveniamur forma in quo tecum est nostra substantia"].

La "scelta educativa" consiste nell’orientare tutta la vita e la missione della Chiesa bolognese verso questa trasformazione.

28 gennaio 2008
Memoria di S. Tommaso d’Aquino

 

Note

(1) Su come si debba intendere una programmazione pastorale vedi la Nota pastorale "… finché non sia formato Cristo in voi" [n°1, pag. 6-7].
(2) Sottolineo la profonda unità, verificabile ad una lettura attenta fra il presente, Documento-base e le due Note pastorali, "Se uno non rinasce dall’altro" e "…finche non sia formato Cristo in voi".
(3) Cfr. per es. At 18,23; 1Tes 3,2; Rom 1,11-12.
(4) Cfr. Tit 2,11-12.
(5) Si legga Benedetto XVI, Lett. Enc. Spe salvi 6: Cristo "filosofo" e "pastore".
(6) Cfr. Rom 8,29; Ef 1,5.
(7) Cfr.Rom 12,2 e 2Cor 3,18.
(8) S. Gregorio di Nissa, Sui titoli dei Salmi, SCh 466, 505.
(9) L. Scheffczyk, Il mondo della fede cattolica. Verità e forma, V&P, Milano 2007, 297-298.
(10) Cfr. Ef 1,9; Mt 28,20.
(11) Cfr. Rom 1,16; Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium 35,1: EV 1/374.
(12) Cfr. At 22,8-10.
(13) Le fonti della paideia antenicena (a cura di A. Quacquarelli), La Scuola, Brescia 1967, XC.
(14) Dell’educazione cristiana, in Opere di A. Rosmini 31, Città Nuova ed., Roma 1994, 226.
(15) Ibid. 236.
(16) A chi volesse approfondire questo quarto principio consiglio vivamente la lettura dell’opera cit. nella nota 9.
(17) Cfr. Conf. VII, 19, 25-20,26.
(18) Mi piace far riflettere su un testo di Leopardi molto vicino alle pagine agostiniane. "C’è un senso della verità … Chi la intende, ma non la sente, intende ciò che significa quella verità, ma non intende che sia verità, perché non ne prova il senso cioè la persuasione" [Zibaldone, in Tutte le opere 2, Sansoni, 1983, 133].
(19) Ho presentato una riflessione prolungata su questa dimensione dello stile educativo della Chiesa in Missione catechista. Educare. Testimoniare. Insegnare, Elledici, Leumann 2007, 33-43.
(20) Cfr. Adv. Haereses I, 10, 1-2; SC 263.
(21) H.U. von Balthasar, Nella pienezza della fede, Città Nuova, Roma 1992, 209.
(22) Cfr. F. Rossi de Gasperis, Sentieri di vita 2,1, Paoline, Milano 2006, pagg. 176-188, soprattutto pagg. 183-188.
(23) Cfr. Gv 1,25-42.
(24) Cfr. Fil3,12-14.
(25) Ho riflettuto lungamente su questo tema della narrazione inter-generazionale nella catechesi tenuta a Castel S. Pietro il 06-11-2007: Emergenza educativa: impegno, bellezza, fatica di educare.
(26) Cfr. 1Cor 1,23.
(27) Cfr. 2Cor 3,14-15.
(28) Cfr. Ef 4,14-15.
(29) Omelie del cantico dei cantici II, Città Nuova, Roma 1988, 79.
(30) Ferie del tempo natalizio, Sabato dopo l’Epifania.