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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Corso di Introduzione alla Bioetica:
La dignità della procreazione umana
Ferrara, 24 marzo 1999



0.1.
Per "procreazione" intendo l’attività che pone le condizioni necessarie e sufficienti del concepimento umano. Per "dignità (della procreazione)" intendo la proprietà che deve avere l’attività che pone le condizioni necessarie e sufficienti del concepimento perché sia buona.
La nostra dunque è domanda etica, non domanda tecnica. La domanda tecnica riguarda l’efficacia dell’attività: la sua effettiva capacità di raggiungere il risultato previsto. La domanda etica riguarda la bontà dell’attività: la sua intrinseca ordinabilità al bene della persona come tale, conosciuto dalla retta ragione.

0.2.
Fino al luglio 1978, l’ambito della ricerca era ristretto ad un’attività umana sola: la congiunzione etero-sessuale, dal momento che questa era l’unica modalità di porre le condizioni del concepimento di una persona umana. La domanda pertanto era la seguente: quando il rapporto etero-sessuale è eticamente degno di porre le condizioni del concepimento di una persona umana?
Attraverso una riflessione rigorosamente razionale, non sempre facile, si giunse alla risposta seguente: quando è un rapporto etero-sessuale fra un uomo e una donna uniti in legittimo matrimonio. Questa risposta implica due affermazioni che è necessario formulare esplicitamente:
— la procreazione è compito essenziale, esclusivo dei coniugi;
— solo l’attività sessuale-coniugale è eticamente degna di porre le condizioni del concepimento.
Questo "guadagno etico" da tutti condiviso ricevette un ulteriore approfondimento a partire soprattutto dagli anni Trenta. Un approfondimento che potremmo sintetizzare nel modo seguente.
L’attività sessuale-coniugale è eticamente degna di porre le condizioni del concepimento quando essa è compiuta tenendo debitamente conto del bene dei due coniugi, del bene dei figli eventualmente già esistenti, del bene del figlio possibile, delle condizioni della comunità umana. In una parola: l’attività sessuale-coniugale è eticamente degna di porre le condizioni del concepimento di una persona umana quando è responsabile [nel senso preciso appena detto]. È il concetto di procreazione responsabile.
L’argomento principale (non unico) che aveva fondato quei princìpi etici era il rispetto e la promozione del bene della persona del "concipiendus", che è la più esposta, in quanto più debole ed indifesa, all’ingiustizia.

0.3.
Nel luglio 1978, l’umanità dimostra di essere venuta in possesso della possibilità di porre le condizioni del concepimento umano prescindendo dalla congiunzione etero-sessuale, cioè artificialmente.
Si faccia bene attenzione: trattasi della possibilità di porre le condizioni perché accada un concepimento in vitro (extra-corpus). Non semplicemente della inseminazione artificiale, dove il concepimento è in corpore.
Questo fatto ha riproposto in termini radicalmente nuovi la domanda. Novità che potrebbe essere colta molto semplicemente nella seguente formulazione: solamente l’attività sessuale-coniugale è eticamente degna di porre le condizioni del concepimento umano?
È questa la domanda precisa alla quale cercheremo di dare una risposta.

1.
Nel costruire la risposta alla domanda dobbiamo subito evitare due sofismi che spesso sono alla base della risposta medesima.
Primo sofisma (usato da chi da’ una risposta negativa): il desiderio di avere un figlio è un desiderio "legittimo" di chi è unito in matrimonio. Non potendo realizzarlo "naturalmente", lo si realizza "artificialmente".
L’argomentazione sarebbe ragionevolmente incontrovertibile solo se fosse vera la seguente proposizione: la legittimità del desiderio è l’unica condizione necessaria e sufficiente della legittimità del modo con cui lo si realizza. Alla legittimità del desiderio consegue sempre e necessariamente la legittimità della (la modalità della) sua realizzazione. Non sarebbe difficile mostrare la falsità di queste tesi con argomenti ad hominem (es. la legittimità del desiderio di aiutare un povero giustifica il furto per farlo?). Ma voglio attirare la vostra attenzione su quello che è l’errore sostanziale di questa posizione: la riduzione della ragione al ruolo di "strumento del desiderio". Questa riduzione nega ogni capacità autonoma della ragione di conoscere la verità su un bene che non sia riducibile all’oggetto del desiderio e quindi nega ogni funzione "egemonica" della ragione nei confronti del desiderio. Una delle conseguenze più importanti è che non esiste identità fra "diritto soggettivo" e "desiderio legittimo".
Del resto la posizione che sto indicando è abitata da una intima contraddizione: in base a che cosa si distingue "desiderio legittimo" da "desiderio illegittimo"? Non può essere che in base al richiamo ad una ragionevolezza del desiderio stesso, che non può coincidere semplicemente con esso. La controprova la si ha nel fatto che ormai si va verso una visione secondo la quale ogni desiderio come tale merita di essere realizzato.
Secondo sofisma (usato da chi da’ una risposta affermativa): ogni altra attività è "artificiale, tecnica" e quindi è eticamente indegna.
In sostanza, nonostante le apparenze, è lo stesso errore del sofisma precedente: il compito della ragione nella conduzione della vita umana non è riconosciuto nella sua intera misura. L’opera della ragione per condurre la persona alla pienezza del suo essere è esigenza della natura stessa della persona medesima: arte et ratione vivit humanum genus, scrive S. Tommaso.

2.
Cominciamo dunque a costruire la nostra risposta, definendo rigorosamente il concetto di "eticamente degno".
La dignità etica connota la proprietà dell’atto umano, della scelta umana in forza della quale questa è "adeguata" all’essere della realtà con cui la scelta mi pone in relazione. Eticamente degna significa adeguata alla misura propria della realtà con cui l’azione mi rapporta.
Orbene, nel processo procreativo sono coinvolte tre persone almeno: l’uomo, la donna e il "possibile concepito".
Quindi sarà eticamente degna quella procreazione che è adeguata alla realtà che è propria della persona: di ciascuna delle tre persone coinvolte.

2.1.
Iniziamo da un’analisi rigorosa dell’attività che pone le condizioni del concepimento: l’attività compiuta dal tecnico.
Già Aristotile distingueva due forme fondamentali di attività umana: l’agire e il fare. Esse sono profondamente diverse. L’agire è un’attività umana che non necessariamente comporta un cambiamento del mondo in cui viviamo, ma solo del soggetto che agisce; il fare è un’attività umana che comporta necessariamente un cambiamento nelle condizioni del mondo. L’agire non esige nessuna "materia" da trasformare in ordine al raggiungimento di uno scopo prefissato; il fare esige una materia che, debitamente manipolata, consente all’uomo dir aggiungere un determinato scopo. L’effetto dell’agire è migliorare - peggiorare il soggetto; l’effetto del fare è un "prodotto" a disposizione del produttore. La "logica" delle due attività è profondamente diversa. La logica del fare è governata dal principio dell’efficacia e dalla legge del "massimo rendimento col minimo di costo"; la logica dell’agire è governata dal principio della verità e della bontà.
Se ora ci domandiamo a quale delle due forme di attività umana appartiene l’attività del tecnico che pone le condizioni del concepimento in vitro, credo che non ci sia dubbio nel dire che appartiene al "fare". Ed è proprio a questo punto che si pone la domanda etica centrale: è un’attività adeguata alla dignità personale del "concipiendus"? Cioè: è lecito "fare una persona umana"?
Che l’attività procreativa sia una produzione risulta evidente da molti fattori. Si ha una materia manipolabile: le due cellule germinali. Si opera in ordine al raggiungimento di uno scopo. Il "prodotto" è a disposizione del produttore.
L’intrinseca illiceità o ingiustizia [indegnità etica] consiste nel fatto che il rapporto che si istituisce fra tecnico e concepito non è un rapporto fra persona e persona, ma fra persona e prodotto (cosa). È una reificazione della persona.
Una puntuale conferma. Il progetto di legge in discussione alla camera dei Deputati, all’art. 16.3 parla di "tecniche di produzione degli embrioni".
Notate bene: non sto dicendo che i due coniugi considerino il concepito in vitro un "prodotto" e non una persona. Sto dicendo che l’attività mediante la quale "il terzo" (il tecnico) pone le condizioni del concepimento è un’attività indegna della persona umana che va per essere concepita.
C’è una conferma. A causa della sua dignità, non ogni luogo è degno della persona: gli animali hanno le tane, ma l’uomo ha una casa. Possiamo allora chiederci: quale è il luogo degno del concepimento di una persona? Non può che essere un’altra persona. È questa una constatazione che meriterebbe di essere ulteriormente approfondita.
Le statistiche dimostrano che il tasso di abortività è assai elevato, trasferendo in utero normalmente più di un embrione, ottenuti in vitro. Obiettivamente si pongono individui umani in condizioni di altissimo rischio di vita.

2.2.
Ora vediamo il coinvolgimento delle altre due persone nel processo della fecondazione in vitro: i due sposi. La domanda che ci facciamo è sempre la stessa: questo coinvolgimento è tale da rispettare la dignità della loro persona?
Sgombriamo subito la mente da un sofisma oggi assai frequente. Poiché — si pensa e si dice — essi si sottopongono liberamente alla procedura, non ha senso farsi una domanda del genere. Rispondo: non avrebbe senso se ciascuno fosse semplicemente a disposizione di se stesso. Semplicemente, cioè senza esigenze etiche da realizzare. Ma un tale modo di pensare lo "essere a disposizione di se stessi", è insostenibile: la dignità della propria persona non è meno esigente nei confronti della propria libertà di quanto non lo sia nei confronti della libertà altrui.
Ritorniamo dunque alla domanda che ci siamo fatti. I due sposi sono coinvolti nel procedimento in quanto capaci di offrire "materiale germinale", non in quanto persone nella loro irrepetibile singolarità. In essi cioè viene operata una separazione fra la loro persona e il loro corpo, considerato nella sua capacità di produrre cellule germinali. Tanto è vero che chi ammette la liceità della fecondazione in vitro, ammette logicamente la possibilità di ricorrere a donatori di sperma o a donatrici di ovuli, qualora fosse necessario.
È vero — e qui tocchiamo un punto fondamentale in tutta la questione — che si potrebbe obiettare: fra i due coniugi e il "concipiendus" esiste un rapporto di affezione veramente umana, e pertanto si tratta solo di un fatto biologico. La vera questione è precisamente questa: la genealogia della persona può essere eticamente separata dalla biologia del suo concepimento? Ci troviamo ad un nodo del dibattito antropologico contemporaneo: la separazione del corpo dalla persona, la scorporalizzazione della persona e la spersonalizzazione del corpo. Una separazione che è falsa dal punto di vista di una metafisica della persona umana ed è causa di ogni violazione della dignità della persona, poiché ogni relazione inter-personale è mediata dal corpo.
Nel caso che la fecondazione in vitro sia eterologa, troviamo un’ulteriore ragione di illiceità etica: la separazione della paternità / maternità biologica dalla paternità / maternità spirituale.
L’unità sostanziale della persona umana come soggetto corporeo-spirituale fa sì che l’origine biologica non sia solamente una "premessa" alla vita vera della persona. Questa è generata, quando è generata biologicamente.
Inoltre si affida la definizione di una delle fondamentali strutture relazionali della persona, la figliazione, ad una convenzione umana, generando un’incertezza circa il fatto fondamentale nella vita.
Inoltre si riduce la capacità procreativa ad una "prestazione" di materiale germinale, togliendo all’esercizio della sessualità umana un’essenziale dimensione di serietà.

3.
Dalla riflessione precedente risultano due conclusioni assai importanti.
La prima: l’attività che pone le condizioni di un concepimento in vitro è da giudicarsi ingiusta sia verso la persona che può essere concepita sia verso le persone dei coniugi.
La seconda: l’unica attività degna di porre le condizioni del concepimento umano è un’attività nella quale la persona dell’uomo e della donna è affermata - riconosciuta in se stessa e per se stessa, cioè amata; è un’attività in forza della quale non si istituisce nessun rapporto colla persona concepita che non sia da persona a persona, che non sia cioè persona amata e quindi attesa come un dono. E ci ritroviamo nella precisa definizione di unione sessuale coniugale. E pertanto: solo l’atto dell’amore coniugale, in forza del quale i due sposi diventano una sola carne, è degno di porre le condizioni del concepimento di una nuova persona umana.
Da queste due conclusioni derivano due corollari che sono criteri di giudizio nei confronti delle varie tecniche oggi in atto.
Il primo corollario è che ogni procedura tesa ad avere un concepimento umano in vitro è da considerarsi eticamente ingiusta in ragione del rapporto che si istituisce obiettivamente col concepito ed in ragione delle condizioni di altissimo rischio di vita in cui viene concepito: a prescindere da chi chiede il concepimento in vitro.
Il secondo corollario è che non ogni intervento teso ad assicurare il concepimento in corpore è illecito, ma solo l’intervento che sostituisce l’atto coniugale. Detto in altri termini: ogni intervento che aiuta l’atto coniugale in ordine al concepimento in corpore è lecito; ogni intervento che sostituisce l’atto coniugale è illecito. È necessario che ci fermiamo un momento su questo secondo corollario.
Si tratta di procedure tese ad ottenere il concepimento in corpore, non in vitro¨; si tratta cioè di inseminazione artificiale. La distinzione eticamente essenziale è quella tra "sostituzione" e "aiuto". La sostituzione è illecita poiché, come si è visto, solo l’atto coniugale è degno di porre le condizioni del concepimento umano. L’aiuto è lecito in quanto si ha un intervento riguardante i processi biologici conseguenti all’atto coniugale.

Conclusione
È incontestabile che la FIV-ET, realizzata per risolvere un problema di sterilità tubarica si è andata imponendo come metodologia "normale" per chiunque voglia un figlio, ad ogni costo.
È stata solamente una questione di cattiva volontà da parte di persone senza scrupoli morali? Lo escludo. Se si vedono le ragioni addotte, si può constatare che esse si possono ridurre tutte ad una sola: dare un figlio a chi lo desidera non è male! Quest’affermazione è la traduzione semplice di un concetto di razionalità secondo il quale la ragionevolezza pratica consiste esclusivamente nel cambiare le condizioni obiettive del mondo (umano o non); che pertanto l’unica questione è: è praticamente possibile mutare queste condizioni e questo cambiamento è da desiderarsi o non? Cioè: esiste una sola ragionevolezza pratica, quella di carattere tecnico.
Ma questa riduzione è indebita poiché comporta l’estinzione nello spirito di una domanda sensata. Agendo non cambio solo il mondo: cambio me stesso. E quindi è sensato chiedersi: ma ciò che sto facendo è bene o male, prescindendo dalle conseguenze nel mondo? Non c’è solo una ragionevolezza pratica di carattere tecnico, ma anche di carattere morale. Ed è precisamente questa che custodisce la dignità della persona. Una cultura costruita solo sulla razionalità tecnica è anti-umana.