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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Giovedì Santo
S. Messa Crismale
Cattedrale di S. Pietro, 17 aprile 2014


Carissimi fratelli sacerdoti, questa celebrazione è chiamata la "Messa del Crisma", per sottolineare l’importanza che la Liturgia della Chiesa attribuisce alla consacrazione di questo olio. E’ mediante il Crisma che siamo stati "consacrati con l’unzione". Vorrei, in primo luogo, affidare alla vostra attenzione alcune semplici considerazioni al riguardo.

1. Il crisma è il segno dello Spirito che è su di noi, perché mandati ad annunciare il Vangelo. Le ultime parole dette da Gesù prima di ascendere al cielo, secondo S. Luca, sono state le seguenti: "avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e fino agli estremi confini della terra" [At 1, 8]. "E chi è mai all’altezza di questi compiti?" si chiede S. Paolo. E risponde: "la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito" [2Cor 2.16.3, 5-6].

Carissimi fratelli sacerdoti, non pensatevi mai soli di fronte al compito così immane di ricondurre il nostro popolo all’obbedienza della fede. Se perdiamo la consapevolezza di essere stati consacrati con l’unzione dello Spirito, è inevitabile, nelle circostanze attuali, cadere nel pessimismo, nel fatalismo, nella sfiducia. Il Vangelo ci dice che quando i primi discepoli partirono per predicare il Regno, "il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola" [Mc 16, 20]. Così accade anche oggi. Non confondiamo mai l’efficacia del nostro servizio al Vangelo colla possibilità di verificarne i risultati. E’ questo il dogma dello scientismo: è reale ciò che è misurabile, dal quale dobbiamo guardarci.

2. Un secondo ordine di considerazioni, sempre desunto dalla liturgia del Crisma.

L’Apostolo ci insegna che "se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo non gli appartiene" [Rm 8, 9]. Veritas per contrarium, dicevano gli antichi. E’ chi ha lo Spirito di Cristo che gli appartiene.

Cari fratelli sacerdoti, essere sacerdoti significa vivere un’appartenenza speciale a Gesù; significa diventare intimi amici di Gesù: ogni giorno crescere in questa amicizia. Come? Esercitandoci perché il nostro modo di pensare, di sentire, di valutare coincida sempre più col modo di pensare, di sentire, di valutare di Gesù. "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù", scrive l’apostolo ai cristiani di Filippi [2,5].

Voi sapete quale via conduce ad avere in noi gli stessi sentimenti di Gesù: la fedeltà alla lectio divina quotidiana; il fermarci in adorazione e dolce intimità con Lui davanti al SS. Sacramento; un profondo affidamento a Maria perché Ella più di ogni altro ci può far sapere "quali sentimenti erano in Gesù". Una delle mie preghiere preferite è la preghiera di Ignazio: "donami il tuo amore colla tua grazia, e sono ricco abbastanza: non chiedo altro di più".

Concludo con un mirabile testo di Origene, a commento di Lev 10, 7. "Mosè era incessantemente nel tabernacolo del Signore. Quale era il suo lavoro? O imparare qualcosa da Dio o istruire egli stesso il popolo. Sono queste le sue attività del pontefice: o imparare da Dio leggendo le Scritture divine e meditandole più volte, o istruire il popolo. Però insegni le cose che egli stesso ha imparato da Dio, non dal proprio cuore o dall’umano sentire, ma quello che insegna lo Spirito" [Omelie sul Levitico VI, 6; CN ed, Roma 1985, pag. 144].