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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


«La coniugalità cristiana»
Incontro con i sacerdoti
Salerno, settembre 1994

 

Il compito di questa nostra riflessione è di avere un’intelligenza profonda della coniugalità umana e cristiana, così che a noi sacerdoti sia dato di essere aiuto vero agli sposi e ai coniugi di crescere sempre più nella stima della loro vocazione.

Devo, prima di cominciare, fare alcune premesse. La prima. Prendiamo il termine “coniugalità” nel suo senso più preciso: ciò che pone due battezzati nello stato coniugale; ciò che li costituisce nel matrimonio. Che cosa sia dovremmo precisamente individuarlo nel corso della nostra riflessione. La seconda. Noi abbiamo capito qualcosa, abbiamo raggiunto l’intelligenza di una realtà, quando siamo in grado di rispondere a due domande: “che cosa è?” (domanda sulla verità) e “quale è il suo valore?” (domanda sul bene). Dunque, per capire la coniugalità, dobbiamo sapere la sua verità (che cosa è) e il suo valore (quale è il suo bene). La terza. L’uomo che si interroga sulla verità e sul valore della coniugalità non vive fuori della storia: vive in una cultura ben precisa. Ora la cultura in cui viviamo non ci aiuta a capire la verità e il valore della coniugalità. In un certo senso dobbiamo liberare la nostra mente da una serie di “pregiudizi” che impediscono all’uomo di capire.

Ora possiamo finalmente tracciare tutto il cammino che percorreremo colla nostra riflessione. Dapprima vedremo quali sono i pregiudizi che impediscono oggi all’uomo di capire la coniugalità e in quali presupposti si radicano, e questo sarà il primo punto. Poi cercheremo di rispondere alla prima domanda, sulla verità della coniugalità, e questo sarà il secondo punto. Poi cercheremo di rispondere alla seconda domanda, sul valore della coniugalità, e questo sarà il terzo punto.

 

1. Pregiudizi e presupposti

 

1, 1. Il primo pregiudizio, il più tremendo, da cui dobbiamo liberarci se vogliamo penetrare nel grande mistero dell’amore coniugale, è quello di pensare che la libertà consista nel non prendere mai impegni definitivi. È di pensare che essere liberi significa non essere legati a nessuno. È di pensare che la forza più grande della nostra libertà consista nel dire “no”, piuttosto che nel dire “sì”. Ho detto che questo pregiudizio è tremendo. Non è una esagerazione. Chi, infatti, si lascia dominare da questo pregiudizio, può veramente giungere fino alla distruzione spirituale di se stesso e dell’altra persona. Mi spiego con un esempio.

Quando noi comperiamo una cosa, normalmente ci viene data con un certo periodo di garanzia. Che cosa significa “periodo di garanzia”? Significa che tu da subito entri in possesso della cosa, tuttavia non intendi dare un consenso a tenerla per sempre, se non a condizione che tutto funzioni bene. Se l’esperimento non ha un buon risultato, ciascuno si riprende ciò che è suo.

Proviamo ora a trasferire questo “contratto con garanzia” al rapporto uomo-donna nel matrimonio. I due non si uniscono se non “a condizione che” tutto funzioni bene; se il risultato non è soddisfacente, ciascuno si riprende il suo. Ecco, vedete: si ha qui una sorta di contratto di uso reciproco, nel quale ciascuno non intende impegnarsi per sempre. Ciascuno prova a usare l’altro. C’è qualcosa di tremendo in tutto questo, perché si riduce la persona propria e dell’altro a una cosa di cui fare uso. “Usa e getta”, dice chi si lascia dominare dal pregiudizio che essere liberi significhi non assumersi mai impegni definitivi.

Chi si lascia prendere da questo pregiudizio, solitamente apre il suo cuore a un secondo pregiudizio, ugualmente molto pericoloso. Vorrei spiegarvelo partendo da alcuni esempi molto semplici.

Se noi in una giornata molto calda passiamo davanti ad un banco di gelati e abbiamo molta sete, subito sentiamo un grande desiderio di comperarne uno e mangiarlo. Se, al contrario, non abbiamo sete, il gelato non esercita su di noi nessuna attrattiva. Proviamo a riflettere un poco su questa esperienza. Notiamo subito che l’oggetto che attira la nostra attenzione, non ha in se stesso un suo proprio valore: interessa in quanto è capace di spegnere la nostra sete. Se non ho sete, esso non esercita più nessun interesse. È la mia sete che rende così interessante il gelato. Vale, insomma, perché ne ho bisogno.

Ecco, tenete ben presente nella mente questo esempio. Il secondo pregiudizio sull’amore coniugale consiste nel confondere l’amore coll’attrazione, col bisogno che sento di un’altra persona per la mia felicità. L’altra persona vale perché mi soddisfa, perché ne ho bisogno. Perché si tratta di una tremenda confusione?

Facciamo un altro esempio. Sulle case deve essere costruito un tetto: ovviamente perché non vi piova dentro. Lo stesso problema valeva anche per la basilica di San Pietro: quando fu costruita doveva essere completata col tetto. Era necessario, a questo scopo, perché non piovesse dentro la basilica, costruire la cupola? Non solo non era necessario ma era molto più difficile e molto più costoso. Allora perché Michelangelo volle e costruì la cupola e non un semplice tetto? Perché la cupola è bella. Essa cioè meritava di essere voluta (=costruita) a causa della sua intrinseca bellezza. Ecco, vedete: si può volere una cosa, e anche una persona, in due modi profondamente diversi. Puoi volere qualcuno o qualcosa perché ne senti il bisogno; puoi volere... perché semplicemente merita di essere voluto, amato. Nel primo caso, è il tuo desiderio che conferisce valore all’oggetto voluto; nel secondo caso, è l’oggetto che, a causa del suo valore, suscita in te il desiderio.

Finalmente, possiamo ora dire brevemente in che cosa consiste il secondo pregiudizio sull’amore coniugale: confondere l’amore coniugale coll’attrazione, col bisogno che sento di possedere l’altra persona per la mia felicità.

Potete anche vedere facilmente come questi due pregiudizi sono legati fra loro. Se vuoi una persona per il bisogno che ne senti, la vuoi solo se e solo fino a quando ella è in grado di soddisfare il tuo desiderio di essa. L’amore coniugale diventa un contratto a rischio.

Esiste poi un terzo pregiudizio sul quale vorrei attirare la vostra attenzione. È il pregiudizio che sia possibile un amore vero senza una profonda unità spirituale, che cioè l’amore si possa ridurre a un’unione fisica-sessuale. Come vedremo, l’amore coniugale è anche profonda intimità sessuale. Il pregiudizio oggi molto diffuso e che sia possibile separare la sessualità dall’amore; che “amare” significhi semplicemente “avere rapporti sessuali”. In una parola: ridurre il rapporto uomo-donna alla sessualità, separandola dall’unione spirituale e chiamare questo “amore”.

Esiste un quarto pregiudizio. È il pregiudizio secondo il quale tutto quanto viene detto dalla Chiesa sulla coniugalità, sulla sua verità, bellezza e valore è molto suggestivo, molto bello, ma non è praticabile. Una bella favola: bella, ma è una favola. La vita concreta è molto più prosaica e non può essere diversamente.

Si tratta di un pregiudizio molto pericoloso. Perché? una volta un contadino che aveva sempre vissuto in estrema povertà, ereditò un patrimonio ingente. Avendo sempre vestito come uno straccione, andò in città e per prima cosa si comperò un vestito e un paio di scarpe stupende. Giunta sera, era talmente stanco che si addormentò sulla strada. Passa un’automobile. Si fermò e l’autista scese, gridando: “almeno tira indietro le gambe se non vuoi che te le schiaccino”. Il contadino si svegliò, guardò le sue gambe e i suoi piedi e disse: “Signore, passate pure; queste non sono le mie gambe: sono vestite troppo bene”. Molti coniugi sono come questo contadino. Essi sentono parlare della grandezza, della bellezza del matrimonio. Ma essi pensano: “non stanno parlando di noi: è troppo bello”. Quando, invece, parlano del matrimonio in modo limitante, dicono: “questo sì che è un discorso vero e concreto!” e permettono che si… passi sulle loro gambe.

Sono quattro pregiudizi. Di essi dobbiamo completamente liberarci, se vogliamo comprendere il mistero dell’amore coniugale. Essi infatti, riducono e impoveriscono la nostra libertà, e l’amore coniugale è la suprema manifestazione della libertà. Riducono e impoveriscono la nostra capacità di desiderare, e l’amore coniugale è la suprema manifestazione della capacità del dono. Riducono ed impoveriscono la sessualità umana, e l’amore coniugale è la rivelazione della ricchezza integrale della sessualità umana.

 

1, 2. Ma dobbiamo andare più in profondità e cercare di vedere in quale “cultura” questi pregiudizi si radicano.

 

1, 2, 1. La cultura della separazione.

Sembra che l’attuale visione sia la conseguenza di un “sistema” di separazioni dapprima pensate e poi vissute. In questo senso ho parlato di “cultura della separazione”. Si è cominciato da una separazione, all’interno della persona, del corpo dalla persona umana ricondotta esaustivamente alla sua libertà. Cioè: alla domanda “chi è la persona umana”, si è costruita progressivamente la risposta: è la sua libertà. Il corpo non entra nella costituzione della persona. Esso è “materia” di cui la libertà può disporre secondo i suoi progetti. In altre parole. L’espulsione dalla costituzione della persona del suo corpo (=il corpo non è la persona) ha avuto come effetto immediato la sua spersonalizzazione, la sua “reificazione” come dicono i sociologi. Spersonalizzato, il corpo umano non ha più una diversità qualitativa dagli altri corpi, che l’uomo utilizza quale materiale per la sua attività finalizzata alla produzione di beni di consumo. Il corpo umano può essere usato. Anche il corpo dell’altro. L’unica condizione è che ti conceda liberamente di farlo.

Questa prima separazione ne ha generato, per logica necessità, altre due: la separazione della sessualità dall’amore e la separazione della procreazione dalla sessualità.

La prima. In una visione dualistica della persona, non è più possibile capire la sessualità come linguaggio della persona, perché precisamente non è più possibile vedere il corpo-persona né la persona-corpo. La sessualità è semplicemente una realtà a disposizione della libertà che decide quale significato attribuirvi. Essa non è un linguaggio originario, dotato cioè di un significato suo proprio: non è uno spartito musicale. È una pagina bianca su cui la libertà scrive ciò che vuole. Essa puo essere gioco; può essere funzione biologica da prestare (o vendere o affittare); può essere fonte di realizzazione dei propri desideri. Nulla di più.

La seconda. Restava tuttavia un fatto bruto: la sessualità è capacità procreativa. È questo fatto, testardo come tutti i fatti, poteva opporsi al libero progettarsi della persona, al libero uso della propria sessualità. L’ideale sarebbe poter decidere liberamente quando possedere una sessualità procreativa o non. Si capisce perché la scoperta della contraccezione chimica è stata ed è vista come la definitiva liberazione della sessualità umana.

Ed ora compiamo un passo ulteriore. Separando la sessualità dall’amore, separando la procreazione dall’amore e quindi l’amore dalla procreazione, si è posta la base per l’evacuazione completa dell’istituto matrimoniale e familiare. Riflettiamo attentamente. Se si accetta quel sistema di separazione è ancora possibile dare una definizione, che non sia puramente formale, di matrimonio e famiglia? Comunione fra uomo e donna? E perché non fra due donne/due uomini? In vista della procreazione ed educazione di nuove persone umane, e perché non per vivere un’amicizia-relazione omosessuale? E perché non si ha diritto ad avere il figlio anche se soli? In una parola: non esiste una verità del matrimonio e della famiglia. Ciascuno la inventa. Ed è ciò che è accaduto in questi mesi.

 

1, 2, 2. La crisi della verità.

L’ultima affermazione ci introduce in un altro momento della lettura critica che stiamo facendo della situazione attuale. Nella Lettera alle Famiglie del Santo Padre Giovanni Paolo II, al n. 20, si afferma che questa cultura è ammalata. Quale è la sua malattia? La “crisi della verità” (ibid. n. 13). Che cosa significa “crisi della verità”? Significa, in primo luogo, crisi di concetti: i termini “amore”, “libertà”, “dono sincero”… non significano più niente. Sono recipienti vuoti che ciascuno riempie dei contenuti che vuole. Siamo così caduti in una totale babele: non si è chiamata “libertà e responsabilità” anche l’uccisione dell’innocente nell’aborto? Ma “crisi della verità” significa qualcosa di ancora più profondo.

È la negazione che esista una verità sull’uomo che non sia una semplice creazione della libertà dell’uomo: è il grande tema di Veritatis splendor. È il puro relativismo la vera malattia mortale della nostra cultura. Perché? Perché se elevo la mia libertà a norma suprema di ciò che è vero o falso, se nego che prima della mia libertà non possa esistere nulla che la giudichi, l’uomo si rinchiude nella prigione della sua soggettività, entro la quale non può trovare che la morte spirituale. È come se uno cucisse, ma senza aver fatto il nodo al filo: continua a girare senza mai concludere nulla. Kierkegaard dice che l’essenza della disperazione e questa.

 

1, 2, 3. Il rifiuto del mistero.

L’ultima osservazione ci introduce in un terzo momento della lettura critica della situazione attuale. “Il razionalismo moderno non sopporta il mistero. Non accetta il mistero dell’uomo, maschio e femmina, né vuole riconoscere che la piena verità sull’uomo è stata rivelata in Gesù Cristo” (Lettera alle famiglie n. 19).

La Chiesa, e anche la retta ragione, hanno sempre percepito nella sessualità umana, nell’amore, nel matrimonio una presenza di una realtà che non era semplicemente umana. Una realtà che chiedeva di essere rispettata, venerata. Don Giussani ha scritto pagine di rara profondità su questa “decapitazione” della nostra ragione, su questa riduzione del concetto di ragione, dovuta all’espulsione del Mistero (cfr. Il senso di Dio e l’uomo moderno, ed. Rizzoli, Milano 1994, pagg. 97-98). Il risultato è l’impossibilità dell’imprevisto, del nuovo. Cioè: la noia. E allora si comprende come mai la cultura odierna abbia bisogno di tutto un sistema di stimoli sempre più forti per vivere la sessualità: questo è un bene di consumo che, usato, genera solo noia.

 

2. La verità della coniugalità

 

Consentitemi di iniziare la mia riflessione su questo tema assai profondo con un esempio molto semplice. Immaginiamo che una persona regali a un amico un oggetto qualsiasi, poniamo un orologio.

Se noi chiediamo, vedendo l’orologio: “Che cosa è questo oggetto?” una persona estranea risponderebbe, precisamente: “Non vedi? È un orologio”. Se noi facciamo la stessa domanda all’amico che ha ricevuto in dono l’orologio, risponderebbe: “È un dono che ho ricevuto”. Continuando il dialogo immaginario coi due interlocutori, se faccio la domanda: “Quanto vale questo orologio?” il primo, la persona estranea, cercherebbe di rispondere con una cifra più o meno precisa; il secondo, risponderebbe: “Non mi interessa quanto vale; per me ha un valore enorme perché è un dono di chi mi ama”. Riflettiamo ora su questo semplice esempio. La stessa realtà, l’orologio, può essere vista in sé e per sé oppure può essere vista in quanto significa un’altra realtà, l’affetto di chi dona. Ora, in questo secondo caso, il valore della realtà non dipende principalmente da ciò che è in sé e per sé (l’orologio non potrebbe avere alcun valore), ma dall’altra realtà di chi è significato. È per questo che chi ha ricevuto il dono, ne vede il valore perché conosce l’amore che l’ha causato.

L’esempio fatto ci introduce, sia pure imperfettamente perché i paragoni non camminano mai con quattro gambe, nel “grande mistero” della coniugalità cristiana. La grande rivelazione che il cristianesimo fa sull’amore coniugale è precisamente la seguente: l’amore coniugale significa un’altra realtà: ciò che è accaduto sulla croce. Per capire, quindi, la verità della coniugalità cristiana, dobbiamo sapere: (a) che cosa è accaduto sulla croce; (b) in che senso quanto accaduto sulla Croce è significato nell’amore e dall’amore coniugale; (c) in che modo questo significato plasma la coniugalità umana nella sua concreta quotidianità.

 

2, 1. L’Evento della Croce.

Possiamo solo balbettare qualcosa al riguardo poiché esso, in quanto suprema rivelazione di Dio, rende stolta ogni sapienza umana. È l’Ora del Figlio unigenito, il momento in cui compie il suo destino. È l’atto di amore che consiste in una totale espropriazione di Se stesso. È da questo amore che nasce la Chiesa, poiché dal suo costato aperto esce l’acqua dello Spirito che fa essere la Chiesa e le dona la vita, così come dona continuamente la vita al corpo glorioso dello Sposo.

“La chiesa-sposa, tratta dalla carne e dalle ossa dello sposo, non fa che una sola carne con Lui. Continuamente stretta fra le sue braccia, essa non può che avere il suo stesso destino. Come il corpo di Cristo non cessa di essere morto alla vita del vecchio Adamo, ma questo è in continuo stato di risurrezione nel cuore stesso di questo mistero di morte, grazie alla potenza dello Spirito del Padre, così la Sposa uscita dal suo corpo e che non fa una cosa sola con il Suo Sposo” (G. Leblond, L’Agnello della Pasqua eterna, ed. Dehoniane, Bologna 1990, pag. 81).

Nel mistero della morte e risurrezione del Signore si ricostituisce, nello Spirito, l’alleanza dello Sposo divino e della sposa, già prefigurata e adombrata dall’unione di Adamo ed Eva.

Tutto questo è il “centro” stesso di tutta la Rivelazione cristiana: è il suo “buon annuncio”.

 

2, 2. Il grande mistero della coniugalità.

Dobbiamo ora vedere in che senso l’Evento mirabile della morte-risurrezione è significato dalla coniugalità cristiana. Dobbiamo fare prima due premesse assai importanti.

La prima. L’Evento salvifico rimane assolutamente unico. I sacramenti non lo ripetono o moltiplicano: esso è sovrabbondantemente sufficiente per tutti i tempi e per tutti i luoghi. I sacramenti non rinnovano né attualizzano l’evento della nostra salvezza: esso è sempre sovranamente attuale ad ogni tempo. I sacramenti non sono solo memoria o rappresentazione di un Evento passato: non sono vuota rappresentazione avente valore solo psicologico. Che cosa allora sono?

La seconda. Il sacramento è lo strumento di grazia istituito da Cristo perché ciascuno di noi potesse inserirsi in quell’unico evento di salvezza che è la morte e risurrezione di Cristo. Il sacramento non moltiplica l’Evento, ma lo ridona all’uomo continuamente, rendendolo attingibile per ogni uomo.

Quanto abbiamo detto vale in modo eminente per l’Eucaristia e in forma derivata ma reale per ognuno degli altri sei sacramenti. Anche dell’amore coniugale. In che senso? Ora tocchiamo il nucleo essenziale della verità della coniugalità cristiana.

Per rispondere, devo prima chiarire un concetto piuttosto difficile: quello di partecipazione. Partiamo ancora una volta da un’esempio. Vi è mai capitato di dire: “questa persona è più bella di quella?” Avete fatto un’affermazione… filosoficamente assai profonda. In primo luogo avete intravisto una “gradualità” (un più/un meno) all’interno della stessa perfezione, la bellezza. Come è possibile percepire questo? Solo perché, in qualche modo, avete la percezione della bellezza come tale, diciamo del “modello ideale di bellezza” sul quale voi misurate il più o il meno, a seconda che un volto si avvicini o meno al modello ideale. Ma che cosa vuol dire “si avvicina”? Vuol dire che quel modello ideale è presente (in-est) nel volto contemplato, “in una parte più e meno altrove”. Ora finalmente diciamo la parola: il modello ideale “si partecipa” al volto e il volto “partecipa” al modello ideale. Che cosa, allora, significa “partecipazione”? il termine connota una relazione fra due (o più) realtà, che consiste nel comunicare da parte di una alla perfezione che l’altra possiede in pienezza.

Notate bene: partecipazione non significa imitazione. È qualcosa di più profondo. Infatti, l’imitazione non comporta necessariamente il comunicare realmente nella stessa perfezione.

Fra chi imita e l’imitato può anche non esserci nessuna relazione intrinseca.

Ritorniamo ora a riflettere sul “grande mistero” della coniugalità cristiana. Diciamo subito: l’amore coniugale è una “partecipazione” all’Amore di Cristo per la Chiesa, svelato nel dono di Sé sulla Croce. L’Amore di Cristo è la perfetta realizzazione dell’amore.

Consummatum est”: è la perfezione assoluta dell’amare. Non si può comprendere o pensare un amore più grande di questo. Questo amore si rende presente (in-est) nell’amore coniugale: appunto si partecipa all’amore coniugale. È lo stesso amore che è presente nel cuore trafitto di Cristo e nel cuore degli sposi che si amano. La diversità è nel grado: esiste nella sua forma perfetta, in grado compiuto nel cuore di Cristo; in forma limitata, in grado imperfetto nel cuore degli sposi. Questa è la verità più profonda della coniugalità cristiana.

Per capire meglio tutto questo, dobbiamo studiare per un momento il rapporto matrimonio-Eucaristia. L’Eucaristia, infatti, come dicevo, è il sacramento per eccellenza. È la celebrazione dell’Eucaristia che consente al credente di partecipare all’auto-donazione di Cristo e così reinserirsi nella Nuova ed Eterna Alleanza. I coniugi cristiani, in forza del sacramento del matrimonio, partecipano in una forma loro propria all’auto-donazione di Cristo sempre eucaristicamente presente nella Chiesa. Da una parte, quindi, il sacramento del matrimonio deriva dal Sacramento dell’Eucaristia.

Nel senso che il sacramento coniugale è una forma fondamentale di partecipare all’Evento che l’Eucaristia pone nell’essere e nell’esistenza della Chiesa. Dall’altra parte, il sacramento del matrimonio porta all’Eucaristia, chiede di compiersi nell’Eucaristia, in quanto spinge i coniugi ad una partecipazione sempre più intima all’auto-donazione di Cristo. Ora non è dato all’uomo un modo più alto di inserirsi nell’amore di Cristo dell’Eucaristia, se non il martirio.

 

2, 3. Coniugalità umana e coniugalità cristiana.

Ci resta ora da approfondire l’ultima dimensione della verità della coniugalità cristiana.

Ascoltando il discorso precedente, uno potrebbe chiedersi: e il matrimonio dei non battezzati? E l’amore degli sposi non cristiani? La domanda è seria dal punto di vista teologico (e pastorale).

Cerchiamo di liberare subito la nostra mente da un errore oggi molto diffuso. La sacramentalità del matrimonio non è qualcosa di estrinseco che si aggiunge al matrimonio che in sé e per sé già è compiuto. Una sorta di francobollo aggiunto ad una busta. Il capitolo quinto della Lettera agli Efesini esclude questa visione delle cose. L’autore ispirato vede già il matrimonio Adamo-Eva orientato all’evento della Croce. Ora nella concezione biblica, quel matrimonio è semplicemente il matrimonio come tale. Dunque, che cosa si deve concludere al riguardo?

L’amore coniugale è stato pensato dal Creatore per essere sacramento dell’Evento della Croce: questo Evento è la verità, l’arche-tipo dell’amore coniugale. L’amore coniugale è plasmato, è configurato come è plasmato, come è configurato, proprio perché esso è pre-destinato ad essere “sacramento” dell’auto-donazione di Cristo sulla Croce. Certamente per conoscere in parte l’amore coniugale non è necessaria la fede. Posso conoscere colla sola mia ragione che, per esempio, l’amore coniugale è fedele fino alla morte. Tuttavia, solo nella luce dell’Evento della Croce posso conoscere l’intera verità dell’amore coniugale. Solo la fede mi fa capire che cosa significa “fedele fino alla morte”.

La conseguenza (molto pratica) di questa riflessione, allora è la seguente: non c’è un altro modo per gli sposi di essere sacramento dell’auto-donazione di Cristo sulla Croce che quello di essere semplicemente, interamente sposi. Devono solo ascoltare il loro cuore, scoprire le esigenze del loro amore coniugale, giorno per giorno e viverle. Questo, non un altro, è il loro modo di essere “sacramento dell’Amore di Cristo”.

Posso concludere questa seconda parte della mia riflessione. La domanda era: che cosa è la coniugalità cristiana? La risposta è: la coniugalità cristiana è il “sacramento” dell’Evento salvifico centrale, la morte-risurrezione del Signore.

 

3. La bontà della coniugalità

 

Dobbiamo ora farci un’altra domanda, quella riguardante il valore, la preziosità propria della coniugalità, la bontà insita in essa. Non vi sembri una questione inutile. Anzi, è di importanza decisiva come quella precedente. Per due ragioni. La prima è, diciamo, di carattere congiunturale. Sempre nella Tradizione cristiana, la Chiesa — cominciando da san Paolo stesso — ha dovuto affermare questa bontà contro i suoi negatori. Anche oggi c’è una sottile negazione dell’esistenza di una particolare bontà o preziosità insita nella coniugalità. È una negazione nel senso che rifiuta di vedere nella sessualità umana, come abbiamo già spiegato, un valore, un significato proprio che non sia quello autonomamente attribuitole dalla libertà del singolo. C’è anche una seconda ragione. La riflessione sulla bontà propria della coniugalità è la riflessione fondante l’etica del matrimonio: se si sbaglia fondamento, tutto l’edificio è pericolante.

Spesse volte il Magistero, durante questi anni, ha affermato che il matrimonio e la famiglia sono uno dei beni più preziosi dell’umanità e della Chiesa. Vorrei ora cercare di indicare le ragioni per cui matrimonio e famiglia sono beni preziosi.

Possiamo dire che esse sono di due ordini: un complesso di ragioni che si radicano nella considerazione del matrimonio e della famiglia in quanto realtà della creazione; un complesso di ragioni che si radicano nella considerazione del matrimonio e della famiglia in quanto realtà della grazia.

 

3, 1. Volendo semplificare al massimo il primo complesso di ragioni, potremmo farlo attraverso il seguente schema logico.

La Chiesa deve insegnare la verità sul bene della persona umana; ora uno dei “beni” fondamentali della persona umana è il matrimonio e la famiglia; quindi, la Chiesa deve dire la verità del matrimonio e della famiglia.

Prima di proseguire è importante cogliere bene la logica intima di questa impostazione magisteriale, se si vuole avere una comprensione profonda di larga parte del Magistero. È la connessione istituita fra “bene della persona umana” e “bontà del matrimonio e della famiglia” al centro di questa visione. Cioè: la questione del matrimonio e della famiglia e la questione della persona umana, più precisamente della realizzazione della persona umana. Se la Chiesa si interessa al matrimonio e alla famiglia è perché si interessa dell’uomo; è perché la via della Chiesa è la persona umana. Da un punto di vista teologico, si tratta, mi sembra, della ripresa della prospettiva agostiniana dei “bona matrimonii”, reintrodotta dalla Enciclica Casti Connubii e richiamata nella Lettera alle famiglie. Ma riprendiamo il nostro discorso.

Esiste, dunque, una connessione fra (bene della) persona umana e (bene che è il) matrimonio: è a causa di questa connessione che la Chiesa deve dire la verità sul matrimonio e la famiglia.

Di conseguenza, tutto il Magistero della Chiesa è impegnato a mostrare questa connessione. Vediamo come.

 

3, 2. Il matrimonio è una delle fondamentali espressioni della vocazione della persona alla comunione interpersonale. Il matrimonio è visto nella prospettiva di una precisa vocazione della persona: la vocazione al dono di sé. E, dunque, la vocazione a costituire una vera comunione con le altre persone. Si noti bene, per capire profondamente questo insegnamento del Magistero: dono di sé. La persona può donare sia il proprio avere sia il proprio essere. Il “proprio” dell’amore coniugale è di consistere nel dono di sé. Certamente, la Rivelazione cristiana conosce non solo la forma coniugale del dono di sé. Esiste il carisma della verginità; esiste il ministero pastorale.

Ciò che il Magistero intende, comunque, insegnare è che il matrimonio si radica nell’essere stesso della persona umana come soggetto chiamato alla comunione. Interessarsi al benessere del matrimonio è interessarsi al benessere della persona umana.

 

3, 3. Connessa con la ragione precedente troviamo un’altra ragione per cui il Magistero della Chiesa si è interessato così fortemente al matrimonio e alla famiglia. Non è solo in questione il bene-essere della persona umana singolarmente presa, ma anche il bene-essere della società umana. Certamente, si è sempre saputo e affermato che matrimonio e famiglia sono la base naturale di ogni società. Ma questa intuizione della sapienza umana riceve un singolare approfondimento nel Magistero contemporaneo.

L’uomo e la donna, la persona umana vivono nel matrimonio e nella famiglia una singolare esperienza di socialità: l’esperienza della gratuità, del riconoscimento della persona come persona. È nella società coniugale e familiare che la persona umana vive un’esperienza di socialità nella quale non domina la regola dell’utile. In questo modo, l’uomo è capace di vivere le altre esperienze della socialità umana con una profonda consapevolezza critica che impedisce il predominio della norma utilitarista nell’organizzazione dei rapporti sociali.

L’antico effato “prima societas in coniugio” riceve un significato molto profondo. Prima, non in senso cronologico né semplicemente genetico. In senso assiologico: è prima, perché arche-tipo (nel senso suddetto) di ogni realizzazione della socialità umana. Il Magistero non insegna che il criterio dell’utilità sia in sé e per sé immorale. L’economia, per esempio, è dominata da questo criterio. Ciò che il Magistero insegna sono due cose. Primo: il criterio di utilità, anche legittimamente applicato, non deve mai negare il dominante criterio personalista. Secondo: l’uomo vive, allo stato puro per così dire, la verità del criterio personalista nella comunità coniugale e familiare. Distruggere la comunità coniugale e familiare in quanto comunità dominata dal criterio personalista significa vulnerare nella sua intima essenza la socialità umana come tale.

È chiara dunque la seconda ragione per cui il Magistero della Chiesa si interessa del matrimonio e della famiglia. Interessarsi al bene-essere del matrimonio e della famiglia è interessarsi al bene-essere della società umana come tale, e quindi, della persona umana come tale che non può non realizzarsi che nella comunione colle altre persone.

In questo contesto si inserisce la terza ed ultima ragione che ora esporremo.

 

3, 4. La “genealogia” della persona umana è/deve essere una genealogia familiare. Nella visione della Chiesa, la “genealogia” della persona non è un fatto prevalentemente biologico: è un evento spirituale. Da vari punti di vista. Evento spirituale in senso profondissimo, perché nella biologia della generazione abita l’atto creativo di Dio; evento spirituale, perché ciò che viene generato non è un individuo al servizio del perpetuarsi di una specie, ma una persona voluta per se stessa; evento spirituale perché in esso giunge a perfezionare la comunione coniugale.

Sono chiare, dunque, le ragioni per cui la “genealogia” della persona diventa motivo di un intervento del Magistero. È la preoccupazione educativa inscritta, per cosi dire, nella maternità della Chiesa la radice più profonda. Interessarsi al benessere del matrimonio e della famiglia è interessarsi al benessere della persona umana, perché questa necessita di essere educata. E il luogo originario della sua educazione è la famiglia.

Ma c’è anche la preoccupazione della Chiesa di salvaguardare l’intera verità dell’amore coniugale. Esso è intrinsecamente orientato al dono della vita.

 

Posso dire di avere concluso l’esposizione del primo ordine di ragioni per cui il Magistero si interessa del matrimonio e della famiglia: È — come dicevo — la connessione inscindibile fra bene della persona umana e bene del matrimonio e della famiglia. Vorrei ora passare all’esposizione del secondo ordine di ragioni, quelle di carattere più propriamente teologico. Il matrimonio e la famiglia non sono realtà che appartengono non solo all’ordine della creazione, ma all’ordine della grazia. Il matrimonio è uno dei sette sacramenti della Nuova Alleanza. Nel terreno di questa visione di fede si radica un interesse ancora più profondo per il Magistero della Chiesa a insegnare il Vangelo del matrimonio e della famiglia.

 

3, 5. È in questione l’evento centrale dell’economia della salvezza. Secondo la dottrina teologica, come vedremo più avanti, nell’amore coniugale dei due battezzati si realizza una vera e propria partecipazione dell’amore “sponsale” di Cristo per la sua Chiesa. L’amore coniugale ne è un simbolo reale: appunto ne è un sacramento. È chiaro, quindi, l’interesse della Chiesa per il matrimonio. Tuttavia, vorrei notare che non si tratta solo di un interesse, diciamo, generico. Cioè: poiché è chiaro che la Chiesa deve interessarsi dei sacramenti, essendo il matrimonio un sacramento, la Chiesa deve interessarsi anche del matrimonio. La cosa è profonda. Poiché il matrimonio, come abbiamo visto nella riflessione precedente, riguarda molto profondamente l’uomo, poiché esso è sacramento della salvezza, ci troviamo in un luogo “privilegiato” dell’incontro salvifico fra Cristo e l’uomo. Mi spiego meglio.

I sacramenti, dunque il sacramento del matrimonio, sono il “luogo” in cui la grazia che salva incontra l’uomo, lo guarisce e lo inserisce nel Cristo. Ma quale uomo incontra il sacramento del matrimonio, precisamente? L’uomo chiamato, in quanto uomo e donna, a realizzarsi nell’amore che dona la vita.

Dunque, l’uomo considerato nella sua dimensione più profonda; la dimensione del suo destino alla comunione interpersonale. Il sacramento del matrimonio libera l’uomo e la donna dalla loro costituzionale incapacità di amare e di donarsi, in quanto fa alitare nel loro cuore la carità stessa di Cristo che si dona alla Chiesa. Ne deriva che il matrimonio è una via privilegiata che la Chiesa deve percorrere per essere testimone della salvezza di Cristo.

Più semplicemente. La Chiesa nel suo Magistero annuncia la Verità сhe salva. Perché deve annunciare con tanta cura e insistenza la Verità del matrimonio? Perché nel matrimonio l’uomo e la donna trovano uno dei luoghi originari della loro salvezza o perdizione. Nella visione della fede, il bene-essere della persona acquista una profondità di contenuti del tutto imprevedibile per la ragione umana.

 

3, 6. La generazione umana e la generazione divina. C’é anche una seconda ragione da cui nasce l’interesse del Magistero per la famiglia. Partiamo da alcuni fatti. Secondo la tradizione della Chiesa, non si può amministrare il Battesimo ad un bambino contro la volontà dei genitori. Dall’altra parte, però, la Chiesa non battezza un bambino se non ha la prudente presunzione che verrà poi educato cristianamente. Al che sotto di questa disciplina sacramentale sta un significato profondo: l’incontro della generazione umana colla generazione divina della persona.

La persona umana, appena generata, non puo entrare nel Regno senza la mediazione della Chiesa: essa deve essere inserita nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa, attraverso il Battesimo. In questo modo, si dà come un movimento dell’uomo verso la Chiesa: l’umanità si integra generazione dopo generazione, nella Chiesa. Tuttavia, la persona, appena generata e battezzata, chiede di essere educata nella fede della Chiesa. Questa educazione è di competenza originaria e insopprimibile dei genitori. Anche poi il bambino battezzato, poiché, come scrive san Tommaso, “il diritto della fede non sopprime il diritto di natura”. In questo modo, si dà come un movimento della Chiesa verso l’uomo: la Chiesa si integra, generazione dopo generazione, nell’umanità. Ora, se riflettiamo, vediamo che questi due movimenti si incontrano nella persona dei genitori. Essi chiedono alla Chiesa il Battesimo; la Chiesa chiede ai genitori di educare nella fede.

Troviamo qui la ragione più profonda dell’interesse del Magistero per il matrimonio e la famiglia. La famiglia è un luogo di importanza decisiva per l’esistenza di una comunità cristiana. Scrive san Tommaso: “Alcuni propagano e conservano la vita spirituale con un ministero unicamente spirituale e questo spetta al sacramento dell’ordine. Altri lo fanno quanto alla vita ad un tempo corporale e Spirituale e ciò avviene col sacramento del matrimonio, nel quale l’uomo e la donna si uniscono per generare la prole ed educarla al culto di Dio” (Summa contra gentes, IV 58). La Chiesa si edifica nell’educazione mediante la quale la nuova persona umana assimila sempre più profondamente il Mistero di Cristo. Abbiamo una conferma storica nella cura che la Chiesa ha sempre avuto per assicurare una vera educazione: invenzione dell’Università, scuole, catechesi...

Possiamo ora concludere questa terza e ultima parte della mia riflessione. La domanda era: quale è la bontà propria della coniugalità? La risposta è: la bontà della coniugalità è triplice. In primo luogo essa è una realizzazione possibile della originaria vocazione della persona umana alla comunione interpersonale (= bonum fidei); in secondo luogo essa è il luogo in cui viene generata-creata la persona umana (= bonum prolis); in terzo luogo essa è la visibile manifestazione dell’auto-donazione di Cristo sulla Croce (=bonum sacramenti).

 

Conclusioni finali

 

Abbiamo compiuto una lunga riflessione. Vorrei che ora semplicemente tornassimo dal livello della teoria che è necessaria e che non può non essere astrazione (il che non significa falsa), alla concreta persona che siamo ciascuno di noi, che è ogni persona che conosciamo.

In ogni persona, nel cuore di ogni persona si realizza il dramma dello scontro fra l’Evento della salvezza che intende rigenerarci, perché ci rende capaci di amare e le tenebre di un errore e di un male che ci toglie la libertà perché ci toglie la capacità di amare.

A noi è chiesto di dare a ogni uomo il “buon annuncio”: “parlate al cuore di Gerusalemme e dite che la sua schiavitù è finita!”. La persona nel mondo della coniugalità cristiana ne è un segno.