home
biografia
video
audio
english
español
français
Deutsch
polski
한 국 어
1976/90
1991/95
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


[Matrimonio e confessione sacramentale]
Riflessione a un gruppo di sacerdoti, 1987
[testo inedito tratto da una registrazione vocale, riveduto e corretto dall’Autore]


Il tema che mi è stato affidato è piuttosto ampio e il tempo a disposizione è breve. Costretto a delimitarlo rigorosamente, tratterò esclusivamente del tema delle difficoltà che i coniugi trovano nella loro vita coniugale in quanto questi problemi devono essere affrontati nel ministero sacramentale della Penitenza. La ragione per cui ho compiuto questa scelta — i problemi in quanto vengono affrontati nel sacramento della Penitenza — è per voi credo abbastanza ovvio. In quelle cliniche dello spirito, come le chiamava Paolo VI, che sono i santuari, il sacramento della Penitenza, grazie a Dio, è ancora amministrato e credo con una certa frequenza. Per poter trattare il tema così delimitato devo presupporre alcune certezze che ci vengono dalla nostra fede. Le enunceremo semplicemente; saranno come dei punti continui di riferimento impliciti nella nostra riflessione. Essi sono fondamentalmente tre:
1) Noi qui presupponiamo tutta la dottrina cattolica sul sacramento della Penitenza: non è questo ciò che è in discussione nella nostra relazione.
2) All’interno di questa dottrina cattolica riguardante il sacramento della Penitenza, in modo particolare dovrà essere tenuto presente ciò che questa dottrina insegna circa il ministro di questo sacramento, circa le sue fondamentali funzioni (in quanto ministro di questo sacramento) nella visione della fede della Chiesa. In particolare modo non si dovrà mai dimenticare che il sacerdote in quel momento non rappresenta minimamente se stesso; agisce in persona Christi come in ogni sacramento, agisce in persona Ecclesiae come in ogni sacramento. Tutto ciò è di estrema importanza per i temi che dovremo trattare. Ci può essere, poniamo, un sacerdote che non è affatto convinto della verità di ciò che insegna l’Humanae vitae, ma deve lasciar fuori dal confessionale queste sue convinzioni, perché in quel momento non rappresenta se stesso, rappresenta la Chiesa.
3) Presuppongo infine la dottrina cattolica riguardante la conversione e la giustificazione del peccatore; questa grande dottrina, così importante nella nostra fede riguardante il processo di giustificazione del peccatore da parte della grazia redentiva di Cristo. Ancora un’ultima premessa: limiterò la mia riflessione a due problemi fondamentali riguardanti il matrimonio, il problema riguardante l’esercizio della sessualità coniugale, più precisamente il problema della contraccezione (crux confessoriorum, dicevano i vecchi moralisti) e il problema della indissolubilità coniugale. Questi due problemi costituiscono le due parti della mia riflessione.

 

1. Il problema della contraccezione

A me sembra che tenendo presente la prospettiva della nostra riflessione, indicata nelle premesse fatte fino ad ora, siano soprattutto quattro i punti da tenere presenti, o quattro le riflessioni fondamentali.

La prima è la seguente. È dottrina della Chiesa, a mio giudizio (ma non solo a mio giudizio) insegnata infallibilmente (ex magisterio ordinario et universali) che l’atto contraccettivo è intrinsecamente illecito. Spieghiamo un  momento questa affermazione. Che cosa vuol dire “intrinsecamente illecito”? Vuol dire che a questo atto inerisce una illiceità tale che nessuna circostanza, nessuna finalità (che eventualmente si propone chi ricorre alla contraccezione) può giustificare, dal punto di vista etico, l’atto contraccettivo. Questo significa illiceità intrinseca.

Questo, ho detto, è la dottrina della Chiesa. Non vuol dire che tutti i teologi insegnino questo. I teologi sapete non sono testi qualificati come tali della fede della Chiesa. Non è questa la loro funzione. La loro funzione è quella di capire la fede della Chiesa sempre di più, ed eventualmente di difenderla da chi non le riconosce una razionalità. Non è perciò corretto il dire eventualmente “siccome ci sono tanti teologi che insegnano il contrario, dunque non è certo che questo sia la dottrina della Chiesa”.

Chiarito allora il senso di questa proposizione, facciamo alcune riflessioni.

Il sacerdote che, soprattutto nei santuari, si trova a dover affrontare questo problema nel ministero della confessione, deve essere profondamente convinto che questa dottrina dice la verità sul bene dei coniugi. Non diamola troppo per scontata in noi questa convinzione, oggi specialmente. Abbiamo sempre la tentazione di ritenere che questa quanto meno non sia la verità intera sul bene dei coniugi, della sessualità coniugale per cui essa in qualche modo deve essere corretta, altrimenti non si fa il bene dei coniugi. Ripeto: è una convinzione questa che non dobbiamo dare per scontata; è dunque una verità sulla quale come sacerdoti dobbiamo riflettere profondamente al fine di coglierne le ragioni profonde e pregare perché il Signore ci dia la luce.

Un’ottima preghiera per questo potrebbe essere il Salmo 118 (adesso distribuito nelle quattro settimane). È tutto una meditazione, una lode, una esaltazione della Legge di Dio dove l’uomo contempla la bellezza di questa legge, è commosso dalla verità di questa legge e prega il Signore di essere sempre più illuminato su di essa e di essere sempre quindi più guidato da essa.

Dicevo “cogliere le ragioni profonde” e qui vorrei fare un’altra riflessione. Ci sono ragioni, chiamiamole così, di carattere consequienziale. È questo un aspetto di ogni tema di etica. Il Signore ha fatto le cose molto bene; la sua legge esprime la verità dell’uomo e la conseguenza è che quando l’uomo non osserva la legge di Dio, non solo non fa il bene, ma finisce anche con lo stare male. Manzoni, con quel suo profondo senso cristiano, dice che tutti noi ci preoccupiamo di stare bene e ci preoccupiamo un po’ meno di fare il bene, mentre se ci preoccupassimo un po’ di più di fare il bene, finiremmo tutti con lo stare meglio. Ci sono ragioni consequenziali che già Paolo VI nella Humanae vitae aveva perfettamente individuato.

Quali sono queste conseguenze? Per esempio, la contraccezione (non dimentichiamolo) è il primo passo verso l’aborto. È statisticamente dimostrato, anche se tutti dicono il contrario, che è falso sostenere che la vera soluzione dell’aborto consista in una politica contraccettiva.

Un’altra conseguenza è che, volere o no, questo metodo della contraccezione progressivamente conduce i coniugi in un certo senso a usarsi reciprocamente e ad essere usati. Ad essere usati dalle potenti organizzazioni finanziarie che stanno dietro alla produzione di contraccettivi.

Ma non è tanto sul “discorso consequenzialista” che voglio fermarmi. È sulla cosa in sé. La ragione profonda di questo insegnamento è che quando la Chiesa insegna questa dottrina, essa semplicemente rende giustizia a Dio e rende giustizia all’uomo; la Chiesa con questa dottrina riconosce Dio come Dio e i diritti di Dio; riconosce la persona umana come persona umana.

Mi spiego. Rende giustizia a Dio. Noi cominciamo la nostra professione di fede dicendo “Credo in Dio Padre creatore del cielo e della terra”. Ci siamo mai chiesti “e quando Dio ha creato me?”. Nel momento in cui mio padre e mia madre hanno deciso di concepirmi, di porre le condizioni perché ci fosse il concepimento di una nuova persona umana (che poi ero io) essi non sapevano che sarei stato io; l’hanno saputo dopo che son nato; Dio sì invece!

Con la contraccezione gli sposi si attribuiscono la decisione ultima su chi deve venire all’esistenza e chi non deve venire all’esistenza; e questa è una decisione che compete solo a Dio. Ecco perché ho detto “La Chiesa rende giustizia a Dio”. La contraccezione non è in primo luogo un peccato contro il sesto comandamento ma contro il primo comandamento: “Non avrai altro Dio all’infuori di me”. Rende giustizia all’uomo poiché in fondo, come ho già accennato prima, la contraccezione è, come insegna la Familiaris consortio, qualcosa che si oppone alla verità intera dell’amore coniugale, qualcosa che va contro l’amore coniugale.

Vorrei fare ora una seconda riflessione su questo problema della contraccezione. Vista allora la dottrina della Chiesa, agli sposi che si confessano è necessario dire questa verità e aggiungo (questo ovviamente è una mia idea) dirla sempre. Sapete che nella tradizione pastorale della Chiesa si ammettevano delle situazioni nelle quali il confessore non doveva dire certe verità sul bene e sul male. In parole più negative: doveva lasciare nelle ignoranza, si diceva “invincibile”, il penitente. Questa è una dottrina classica insegnata anche da sant’Alfonso. A meno che, però si aggiungeva, questo silenzio del confessore non violasse il diritto certo di un innocente, che comunque va difeso. Oppure a meno che il silenzio potesse essere occasione di scandalo. Che cosa significhi la prima limitazione non ci interessa e non fa al caso nostro. Che cosa vuol dire la seconda? La Chiesa ha il dovere di rendere testimonianza al Vangelo; questo è il suo primo dovere. La Chiesa è in primo luogo serva del Vangelo. Se un silenzio venisse interpretato o potesse essere interpretato come un cambiamento nella dottrina della Chiesa, il silenzio in questo caso non avrebbe più nessuna giustificazione poiché con questo silenzio il ministro della Chiesa verrebbe meno al dovere fondamentale della Chiesa che è quello di evangelizzare.

Ora nell’attuale civiltà (e questo non era vero al tempo di sant’Alfonso) domina quella che il Sinodo sulla famiglia ha chiamato l’anti-life mentality (la mentalità anti-vita). C’è non solo una giustificazione, ma una nobilitazione della contraccezione. Il silenzio del sacerdote in questa situazione inevitabilmente verrebbe a essere interpretato quanto meno in questo modo: “ma almeno nel mio caso, almeno quando si danno queste circostanze come sono le mie, la contraccezione non è più illecita”. E così il ministro della Chiesa viene meno al suo dovere fondamentale, quello di rendere testimonianza al Vangelo, quello di evangelizzare. Per questa ragione non mi sembra che oggi si possa normalmente ritenere che esistano ragioni sufficientemente gravi  per dispensarci da quello che era chiamato una volta l’obbligo dell’ammonizione.

È ovvio — sapientibus loquor — che in certe situazioni non se ne deve parlare. Quando è chiaro che non ce n’è bisogno. Se una persona vive la sua vita coniugale con un’intensa vita cristiana non c’è nessuna ragione obiettiva per pensare che abbia questo problema.

Terza riflessione, sempre su questo punto. Uno dei problemi più seri e direi più drammatici lo si ha quando non c’è accordo tra i due coniugi. In primo lugo queste situazioni devono convincere ciascuno di noi, o comunque coloro che hanno la responsabilità di preparazione al matrimonio, a dire ai giovani che si preparano al matrimonio che devono chiarire questo punto prima di sposarsi. Conosco una ragazza che ha lasciato il fidanzato proprio per questo, perché non riusciva a convincere questo ragazzo che la contraccezione non è mai lecita. A questo punto, ha pensato, è più importante la salvezza della mia anima. Questo è il valore assoluto, non il matrimonio, e lo ha lasciato. Ha ventisette anni ed è già professore in una università statunitense in una materia altamente tecnica e scientifica.

In primo luogo direi che è dovere di carità da parte del coniuge che ha capito questo, di convincere l’altro. È scandaloso poi se si dice a questo coniuge “tanto il peccato lo fa l’altro”. Questo è scandaloso: il matrimonio crea una comunione profonda fra i due. Terzo, se dopo tutti i tentativi possibili, se dopo aver messo in atto tutti i mezzi — dico: tutti — e nulla si è ottenuto, questa potrebbe essere una ragione sufficiente per chiedere la separazione: il male non va mai fatto, per nessuna ragione.

Una settimana fa ho dovuto seguire un caso. Una sposa pensava, prima del matrimonio, che il marito la pensasse come lei. Ma così non era, e praticamente voleva il ricorso permanente alla contraccezione. Questa ragazza ha chiesto la separazione e ha già iniziato la pratica non essendo riuscita in nessuna maniera a convincere questa persona. Questa però, capite, è l’extrema ratio. Prima si deve mettere in atto tutto ciò che è possibile. Concretamente: quando un coniuge si impegna a fare questo e vuole vivere secondo la legge di Dio, ciò è sufficiente per ottenere il perdono e l’assoluzione.

Quarta e ultima riflessione sempre su questo punto. Senza volerlo, noi sacerdoti a volte sul piano pratico seguiamo la dottrina di un certo monaco, molto santo dicono le fonti storiche, ma che era caduto in gravissimi errori: si chiamava Pelagio. Siamo un po’ pelagiani, è questa una tentazione permanente nell’uomo. Che cosa vuol dire? Ritenere che sia sufficiente indicare all’uomo ciò che è bene e ciò che è male perché l’uomo possa poi fare il bene ed evitare il male. Questa è la dottrina pelagiana. Noi subiamo e mettiamo in pratica questa dottrina quando, da una parte, non indichiamo i mezzi fondamentali per vivere nella santità il matrimonio cristiano, e quando, dall’altra, non esercitiamo una cura pastorale che guidi e sostenga veramente i coniugi nel loro cammino. L’amore coniugale è redento da Cristo, è sanato ed elevato da Cristo nel sacramento del matrimonio. Tuttavia, come voi sapete, la giustificazione non toglie da noi la concupiscenza. Questa rimane. I Padri parlavano di “fomes peccati”. Fòmite: non che sia peccato; esso può spingere la nostra libertà e questa pecca. I mezzi fondamentali sono la preghiera continua, la frequenza ai sacramenti, l’esercizio della penitenza e l’esercizio della carità cristiana. Se non c’è questo contesto, chiamiamolo così, di strumentazione soprannaturale, chiedere all’uomo di vivere nella santità la propria vocazione è come chiedere a un gobbo di camminare dritto. Può fare tutti gli sforzi che vuole, ma non ci riesce. In questo senso appunto parlavo di una cura pastorale.

 

2. L’indissolubilità del matrimonio

Il secondo tema sul quale vorrei dire alcune cose riguarda l’indissolubilità del matrimonio. Questo  problema può presentarsi nella celebrazione del sacramento della penitenza sotto varie forme: sotto la forma della infedeltà coniugale (sempre più frequente purtroppo), sotto la forma della rottura del vincolo nel divorzio, sotto la forma del divorziato risposato che, di conseguenza, in questo nuovo stato di vita ha contratto doveri anche gravi verso altre persone.

Io vorrei soffermarmi brevemente su questa ultima situazione, che è quella più difficile, cioè la situazione del divorziato risposato che ha contratto obblighi verso terze persone innocenti.

Prima di tutto dobbiamo prendere consapevolezza di che cosa è in questione. In primo luogo è in questione il valore evangelico, il valore messianico della indissolubilità coniugale. Essa è una grazia, un tesoro che l’uomo e la donna hanno riacquistato con la venuta del Regno nella persona di Cristo. Prima di Lui, l’umanità l’aveva perduta. L’aveva alle origini, dice Gesù, ma l’aveva perduta. Con la venuta del Regno nella persona di Cristo l’uomo e la donna hanno riacquistato questa grazia della indissolubilità coniugale, cioè questa capacità di amarsi senza limiti di tempo, per sempre.

Come ho già detto prima, la Chiesa ha il dovere di rendere testimonianza al Vangelo e quindi di rendere testimonianza a questo valore evangelico perché, ripeto, la Chiesa non è padrona del vangelo; è la serva del Vangelo. Non può disporre del Vangelo; è disposta dal Vangelo e per il Vangelo.

Che cosa è in questione ancora? È in questione il concetto o la visione che la Chiesa ha alla luce della fede della sessualità umana, una visione molto alta in forza della quale l’esercizio genitale della sessualità è santo e santificante solo tra gli sposi. Che cosa è in questione? Sono in questione anche diritti di innocenti, per esempio il diritto all’educazione dei bambini nati da questo legame.

Negativamente, nessuna soluzione sarà giusta se i valori suddetti, anche uno solo dei valori suddetti, venisse da questa soluzione negato. Positivamente, sarà giusta quella soluzione che salvaguarda questi valori.

A questo punto ci si chiede: ma esiste questa soluzione? La Chiesa pensa di sì: esiste, anche se è la più difficile. Come capita nella vita, non sempre la soluzione vera è quella più facile. Non a caso già la sapienza etica pagana metteva fra le virtù fondamentali dell’uomo, le virtù cardinali, quella della fortezza. Non a caso. Aveva già visto, anche prima della Rivelazione, che i valori etici generalmente parlando sono beni ardui, cioè beni difficili da realizzare.

E quale è questa soluzione? La soluzione è che i due continuino nella loro convivenza se questo è l’unico modo di assicurare quei diritti degli innocenti di cui ho parlato, astenendosi dagli atti propri dei coniugi. A ben vedere, questa soluzione che la Chiesa da’ in questa situazione, salvaguarda nella sua essenza proprio questi valori anche se non in una forma così luminosa, così splendente. Questa non luminosità non ci deve meravigliare perché questa è una situazione che per se stessa si colloca fuori dall’ordine splendido della verità, dell’ordine con cui Dio ha pensato alle cose.

Questa è l’unica soluzione che il confessore deve presentare.

 

3. Conclusione

Concludo tutta la mia riflessione. Credo che una delle illusioni più gravi in cui possiamo cadere è di pensare che sia possibile raggiungere la santità senza nessuno sforzo. Questo è uno degli imbrogli che il diavolo ci può far cadere; uno degli imbrogli più gravi. Ritenere che in fondo si può arrivare alla mattina della Pasqua senza passare attraverso il Venerdì santo: questo non è possibile.

Da un punto di vista strettamente etico: la difficoltà connessa con il valore etico non è un segno che quel valore etico non è un vero valore etico. Oserei anzi dire il contrario. Quando si parla di difficoltà si vuol dire semplicemente che non è possibile la realizzazione della persona umana nella verità di quel progetto pensato da Dio Creatore e Redentore senza fortezza morale, senza una penitenza e una conversione continua.

Nei santuari mariani questo invito alla conversione ci è sempre stato ricordato dalla Madre di Dio e Madre nostra. E in questa strada si esperimenta la verità della parola divina «Pax multa diligentibus legem tuam» [Molta pace a coloro che amano la tua legge. Sal. CXVIII].