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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Celebrazione commemorativa del Liber Paradisus
Basilica di S. Petronio, 3 giugno 2007


Abbiamo sentito l’inizio del Liber Paradisus, nel quale è espressa la verità fondamentale circa la persona umana: la libertà è una realtà che Dio stesso ha posto nell’uomo creandolo a sua propria immagine e somiglianza. La libertà è il segno più chiaro della somiglianza dell’uomo con Dio. I nostri padri hanno capito tutto questo e hanno deciso che a Bologna non ci fossero più schiavi.

Ci siamo raccolti in questo tempio, il simbolo della nostra città, per chiederci che ne è oggi di quel patrimonio spirituale lasciatoci in eredità dal Liber Paradisus. Vorrei offrirvi alcuni spunti di riflessione per aiutarvi a rispondere a questa domanda.

1. I nostri padri hanno connesso l’affermazione della libertà all’uomo colla sua relazione a Dio creatore. Questa connessione pone a noi oggi una grave domanda: è possibile assicurare la libertà dell’uomo proseguendo nel tentativo intrapreso da larga parte dell’Occidente di edificare la città "come se Dio non ci fosse"? oppure è prevedibile che al capolinea di questo percorso ci sia la schiavitù dell’uomo?

Se noi guardiamo con un poco di attenzione alla testimonianza della nostra coscienza, a che cosa accade veramente dentro di noi quando sentiamo che la nostra libertà è a rischio, vediamo che libertà significa intangibilità della persona, inviolabilità della sua appartenenza a se stessa, indisponibilità di ogni uomo da parte dell’uomo.

Come è possibile custodire questo intimo sacrario della propria persona se esso non ha nessun valore assoluto? Nella coscienza morale di ciascuno di noi risuona una voce la cui forza incondizionata rivela che è Parola di Dio stesso. La voce della coscienza ha sempre testimoniato senza ambiguità che ci sono verità e valori che non accettano di essere discussi, ed ancor meno negoziati, ma solo riconosciuti e venerati. Già la sapienza pagana aveva avvertito: "considera il più grande dei crimini preferire la sopravvivenza all’onore e per amore della vita fisica, tradire le ragioni del vivere" [Giovenale, Satire VIII, 83-84]. Fino a quando una città atea [non ho detto: una città non cristiana] sarà in grado di essere abitata da uomini liberi nel senso forte del termine?

2. La custodia del nostro patrimonio spirituale è affidata interamente all’atto educativo. Non possiamo più nella nostra città dissimulare l’esistenza di una grave emergenza educativa, sulla quale da alcuni anni persone pensose del destino dei nostri giovani richiamano l’attenzione.

La ragione per cui questa sera ci troviamo in questa basilica ci richiama al fatto che senza educazione non c’è custodia della libertà. L’educazione della persona è la liberazione della sua libertà.

Non è questo il tempo di sviluppare questo tema come meriterebbe. Mi limito ad un paio di schematiche riflessioni.

La prima. Esiste un problema di atmosfera educativa. Con ciò denoto tutti quei fattori [molti neppure avvertiti coscientemente] che fanno sì che il rapporto educativo possa accadere nella sua pienezza e bellezza. Quando viviamo in una città deturpata nella bellezza dei suoi monumenti; quando i rapporti sociali fra i suoi cittadini sono quotidianamente insidiati dal sospetto e dalla paura; quando in una parola la città diventa sempre meno accogliente e sempre più squallida, può crescere in essa un sano, gioioso rapporto educativo fra le generazioni? Educare significa amare ed incoraggiare la vita, e farla crescere.

La seconda. Esiste un problema di presupposti pedagogici. Dalla loro presenza dipende l’efficacia dell’opera educativa e quindi il futuro della nostra città: parlo di noi adulti, di noi che abbiamo responsabilità educative.

È possibile educare se non si ama la vita; se non ci si appassiona al destino dei nostri giovani; se non si ha una visione ed una stima alta della libertà? Amore alla vita che si sta formando, passione per la sua sorte, stima della libertà non possono convivere in un educatore che ha smarrito il senso delle fondamentali ed originarie distinzioni: vero e falso, bene e male, giusto ed ingiusto. Si finisce col buttare sulle spalle dei nostri giovani la croce di una libertà che diventa un peso di cui scaricarsi quanto prima a favore del migliore offerente.

3. Vorrei ora per terminare dire una parola a voi giovani. Abbiamo ricordato un grande avvenimento che continua ad essere per noi un grave avvertimento: la libertà è un compito. È un compito che può essere anche disatteso; la libertà potete anche perderla. Non pensate a prigioni fatte di mura. Esistono prigioni ben più gravi, ed esistono carcerieri ben più inflessibili.

I nostri padri ci hanno detto questa sera, quale è la più grande difesa da queste prigioni, e quale è la via di fuga da esse se già vi foste rinchiusi: la vostra consapevolezza morale. La sorte della vostra libertà dipende dallo stato delle vostre coscienze. È il rapporto che voi avete con la verità di voi stessi: con il bene ed il male morale. È la relazione che voi avete con la verità a decidere della vostra umanità e a costituire la vostra dignità. E chi vi insegna che non esiste alcuna verità certa circa l’uomo; che la distinzione fra il bene ed il male è stabilita solo dal consenso sociale, questi vi sta rendendo schiavi: schiavi del vostro spontaneismo, schiavi del tiranno di turno. In fondo la tirannia è la forza di chi non riconosce la verità.

Cari giovani: amate la verità, cercate il bene. Poiché la verità vi farà liberi.