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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Presentazione del libro Come parlare della sessualità ai vostri figli
Università Cattolica, Milano, 20 gennaio 1995


Scorrendo il libro della Dr.ssa Galardi e del Dr.Dedé, ho dovuto constatare subito che esso è stato un grande atto di coraggio. Coraggio di che cosa? Il coraggio di pensare che l’educazione sia possibile. Anzi: che sia pensabile.

Parlare della difficoltà di educare è comune oggi, come era comune ieri. Ma la difficoltà di oggi è solo la difficoltà della prassi educativa? A me sembra che non sia così. Educare è non difficile, ma impossibile: l’educazione è impraticabile, perché è divenuta impensabile. In questo senso ho parlato di coraggio. Gli autori del libro sono convinti che l’educazione è possibile: canit extra chorum.

Vorrei allora, fare una diagnosi molto schematica di questa situazione che ha reso non difficile (lo è sempre stato) ma impensabile l’educazione. Ed entro subito nel tema specifico del libro: non sto parlando dell’educazione in genere, ma dell’educazione sessuale.

 

1. Perché oggi è impensabile l’educazione sessuale? Perché, rispondo subito, l’intelligenza che si ha oggi nella sessualità rende semplicemente inutile l’educazione alla sessualità. Devo ovviamente procedere per cenni. Ogni volta che tentiamo di capire una dimensione della persona umana, si deve sempre evitare un duplice rischio: il rischio del riduzionismo e il rischio del dualismo. Per “rischio del riduzionismo” intendo l’atteggiamento del “...non è niente altro che”. Esempio: la conoscenza non è niente altro che sensazione. È un’attitudine letteralmente “tremenda” che deve essere temuta. Chi se ne lascia prendere, riduce, deforma, degrada l’humanum: l’essere qualcuno a essere qualcosa. Ma non meno grave è il rischio del dualismo. Per “rischio del dualismo” intendo l’atteggiamento del “o è questo o è quello”. Esempio: l’uomo o è corpo o è spirito, ma non può essere e l’uno e l’altro. È necessario collocarci da un punto di vista né riduttivo né dualistico. Quale è questo “punto di vista”? Lascio per il momento inevasa la risposta a questa domanda. Voglio ritornare subito al nostro tema.

La sessualità, come ogni dimensione della persona umana, è una realtà biologica, psicologica, spirituale. Essa indica la configurazione biologica della persona umana: essa è biologicamente maschio o femmina. La sessualità connota anche la configurazione psichica della persona umana: anche psicologicamente essa è maschio o femmina. La sessualità connota anche la configurazione spirituale della persona umana: non esiste la persona umana, esiste la persona-uomo e la persona-donna.

I due rischi di cui parlavo sono sempre in agguato di chiunque voglia capire la verità e la bontà della sessualità umana. Se uno si lascia prendere dal riduzionismo o dal dualismo non può più pensare un atto come l’educazione: ed è ciò che è accaduto oggi. Ma ora il discorso si è fatto assai complesso e devo quindi procedere per gradi.

 

• Primo: che cosa significa avere una visione riduzionista della sessualità e perché all’interno di questa visione l’educazione è semplicemente impensabile?

La sessualità umana — dice il riduzionista — non è niente altro che processi, funzioni biologiche (come, per esempio, la nutrizione). Ora ogni processo o funzione biologica ha un suo fine proprio e nessun altro all’infuori di questo.

La visione riduzionista della sessualità produce una visione riduzionista dell’educazione (si fa per dire). Ridotta a fenomeno biologico, che cosa significa “educare”? dare istruzioni per l’uso. Quando si parla oggi di educazione sessuale, che cosa in concreto si presenta? Insegnare come esercitare la propria sessualità senza prendersi malattie sessualmente trasmissibili e senza avere bambini. E questa è l’educazione! Esattamente come si insegna a nutrirsi in modo tale che la salute non ne abbia nocumento.

Più subdola, ma non meno grave e l’altra forma di riduzionismo, quella che riduce la sessualità alla sua dimensione psichica: la sessualità non è niente altro che quel complesso di azione-reazione psicologica che si instaura nell’incontro della mascolinità colla femminilità e della femminilità colla mascolinità. In che senso e perché questa visione della sessualità deforma l’atto educativo, anzi lo svuota completamente di contenuto?

Nella visione psicologistica il problema centrale dell’esercizio della propria sessualità è il proprio benessere psichico e il fine proprio della sessualità: vivi la tua sessualità in modo da sentirti bene. Si confonde, è questo l’errore radicale di questa riduzione, il bene della persona col benessere psichico della persona. E chi può giudicare se il vissuto sessuale è fonte di benessere o malessere? Chi è in grado di sapere se ti senti o non ti senti bene?

È chiaro: solo il singolo nella sua pura soggettività. La verità della felicità è ricondotta esaustivamente al sentirsi felici: non ha senso una distinzione fra vera e falsa felicità, dal momento che essere (sessualmente) felici significa puramente e semplicemente sentirsi felici.

Non è difficile vedere che questa impostazione rende semplicemente impensabile l’atto educativo. Che cosa può dire un educatore a chi vuole educare? Niente altro se non: “non ingannare te stesso; sii sincero con te stesso”; non può dire: “sii vero”. Cioè: pensa ciò che vuoi, poiché non esiste una verità sulla sessualità umana; fai ciò che ti piace, poiché devi solo sentirti bene. Seriamente: puoi ancora dire di essere impegnato a educare se dici alla persona che può pensare ciò che vuole e fare ciò che gli piace? Non c’è un’abdicazione più radicale all’atto educativo di quella che accade dentro al riduzionismo psicologistico.

 

• Secondo. Sempre per mostrare come sia divenuto impensabile oggi educare, vorrei ora richiamare la vostra attenzione su un altro fatto, che accade sempre nella visione riduzionista della sessualità: l’espulsione del concetto di definitività. È un punto assai importante, poiché ci porta nel cuore di tutta la problematica: il concetto di libertà. C’è un destino comune ai due concetti, anzi alle due esperienze spirituali della definitività (fedeltà) e della libertà, poiché, alla fine, la nostra esperienza di libertà dipende principalmente non dall’essere “svincolati da…”, ma “impegnati per…”.

Essere liberi non significa principalmente “essere liberi da…”, ma “essere liberi per…”. Ora la nostra esperienza più intima ce lo dice, se l’ascoltiamo con attenzione, e la storia del pensiero moderno lo ha documentato ampiamente: solo uno sguardo privo di pregiudizi sul reale può farci vivere la “libertà per…”. Se non esiste un bene che tale sia assolutamente, non è possibile un’altra libertà se non come affermazione di “liberazione da…”, poiché “niente vale la pena”. Il martire, in fondo, è un ingenuo; chi resta sempre comunque fedele, uno stupido. La bontà del reale: ecco ciò che ci consente di essere liberi. E infatti l’idea di libertà è nata dal terreno della verità biblica della creazione.

E è in questo contesto che si inserisce quella visione dualista di cui parlavo. L’uomo è la sua pura libertà; è di fronte alla sessualità intesa in senso biologico e psichico allo stesso modo con cui è di fronte a un dato puramente naturale: di esso può fare ciò che vuole.

Devo porre fine a questo punto della mia riflessione. La mia tesi era: la cultura sessuale contemporanea rende impraticabile qualsiasi educazione sessuale perché l’ha resa impensabile, essendo una cultura riduzionista e dualistica.

 

2. Il secondo punto sarà molto più breve. Il libro offre una proposta pedagogica perché non accetta questa cultura, perché si mette da un punto di vista che non consente né riduzionismi né dualismi. Quale è questo punto di vista dal quale il libro guarda la sessualità umana? Mi sembra, il punto di vista etico. Vorrei ora descrivere brevemente questo punto di vista, perché mi sembra quello che ci fa capire la proposta pedagogica del libro.

Agostino dice che tutti gli interrogativi che agitano lo spirito umano possono essere ricondotti a tre:
• esiste?
• che cosa è (ciò che esiste)?
• che valore ha (ciò che esiste)?

È la domanda su ciò che è reale o non; sulla verità di ciò che è reale; sulla preziosità propria di ciò che è reale. Quando una persona si pone la terza domanda, si è collocata dal punto di vista etico: il valore (Agostino: la bontà) proprio della realtà. Ma questo non è tutto: la realtà nel suo valore è affidata alla libertà dell’uomo, che la riconosce, l’afferma oppure la deturpa e la nega. Allora, il punto di vista etico è di chi si interessa della bellezza, della bontà del valore dell’essere in quanto è affidato alla custodia della libertà umana. L’etica è la scienza che insegna alla libertà a custodire, a difendere, a far risplendere la bellezza dell’essere. A questo punto si può vedere come proposta etica e proposta pedagogica siano difficilmente non dico separabili, ma distinguibili. E, infatti, il libro mi sembra tutto costruito sulla indicazione sia delle strade che conducono a vedere la bontà, la bellezza propria della sessualità umana sia delle strade che la libertà deve percorrere perché quella bontà sia riconosciuta, quella bellezza sia vista.

Ho terminato. Vorrei concludere con una favola narrata dal grande S. Kierkegaard. Un giorno un contadino poverissimo vinse un’ingente somma, alla lotteria. Per prima cosa, si portò in città e passò tutta la giornata a fare spesa. Soprattutto volle vestirsi come mai lo aveva fatto in vita sua, dal capo fino ai piedi.

Venuta la sera, era talmente stanco che si addormento sulla strada. Una carrozza quasi lo investì. Il vetturino scese, svegliò il contadino e gli gridò: “Almeno tira le tue gambe sul marciapiede, altrimenti le carrozze vi passeranno sopra”.

Il contadino si svegliò di soprassalto, si guardo attentamente le gambe e disse: “Passate pure, non possono essere le mie gambe: sono vestite troppo bene”.

Quando oggi si presenta la bontà propria della sessualità umana denunciando la devastazione che di essa si sta facendo, sembra di sentir dire: “Passino pure, tanto tutto ciò che dici sulla sessualità e troppo bello, non può riguardarmi”. Si può anche essere disperati per debolezza.