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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


È morto per i nostri peccati ed è risuscitato per la nostra salvezza (1)
Catechesi dei giovani
27 novembre 1999


Nella catechesi scorsa abbiamo cercato di avere un approccio ancora abbastanza superficiale alla persona di Gesù; questa sera vorrei guidarvi ad una intelligenza più profonda.

Se vi ricordate, la volta scorsa abbiamo terminato descrivendo l’esperienza degli uomini e delle donne che erano stati più vicini a Gesù, richiamando la vostra attenzione soprattutto su due fatti. Il primo: la morte di Gesù aveva costituito per quelle donne ed uomini il crollo di ogni loro speranza, l’estinzione nel loro cuore di ogni gusto di vivere. Il secondo: la certezza che Gesù era "ritornato alla vita - risuscitato" non in un modo qualsiasi ma fisicamente nel suo corpo, certezza dovuta al fatto che essi "videro il Signore", aveva completamente rivoluzionato la loro esistenza. In che senso? Nel senso che ora cominciavano veramente a capire chi era quel Gesù che per tre anni circa era stato con loro come uno di loro. Nella luce dell’incontro che essi ebbero col Risorto essi cominciarono a capire prima di tutto il significato della sua morte: quella morte che anche per loro all’inizio era stato un vero scandalo senza senso. E quindi anche a rendersi conto del perché Gesù non avrebbe potuto subire la corruzione del sepolcro, ma "doveva" entrare – proprio attraverso la sua morte – nel possesso non semplicemente della vita di prima, ma di una vita immortale.

E’ stato un fatto molto profondo che accadde nel cuore di quelle donne ed uomini, certamente non dovuto solo all’esercizio della loro intelligenza: essi ricevettero una "forza dall’alto", lo Spirito Santo che li guidò a questa comprensione. Essi, comunque, alla luce della Risurrezione di Gesù capirono il significato della sua morte e, reciprocamente, comprendendo il significato della sua morte si resero conto che essa non poteva condurre Gesù ad una irreversibile corruzione. La sua morte e la sua risurrezione furono capite come due momenti dello stesso avvenimento.

Noi questa sera ci mettiamo alla loro scuola per essere istruiti da essi, per essere condotti da essi ad avere la loro stessa comprensione: essere istruiti da Paolo, da Giovanni, da Pietro sulla morte-risurrezione di Gesù.

1. Partiamo da un testo di S. Paolo: "Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture" (15,3). Fate bene attenzione: Paolo dice esplicitamente che egli sta dando un insegnamento che egli stesso ha ricevuto da altri. Non ha scoperto lui ciò che sta dicendo. Che cosa? "Cristo morì per i nostri peccati". Esiste un rapporto fra la morte di Gesù e i nostri peccati: ciascuno dica "e i miei peccati". Dovete dare ai due termini posti in rapporto, "morte di Gesù" e "miei peccati", il massimo della concretezza. La morte di Gesù: pensate a come essa storicamente è accaduta. Tutti e quattro gli evangelisti ne fanno una descrizione molto accurata: rileggetela attentamente. I miei peccati: ciascuno di voi pensi ai propri peccati [fra poco don Marco guiderà l’esame della vostra coscienza].

L’apostolo afferma che fra morte di Gesù e i miei peccati esiste un rapporto. Questo rapporto, avete sentito, viene espresso attraverso una semplice preposizione "per" [nel greco: upèr]. Dietro a questa piccola parola sta nascosto un mistero immenso!

Cominciamo col dire che nella lingua greca essa può significare: "a favore di…", esprimendo una finalità di vantaggio, "al posto di…", esprimendo una rappresentanza [= a nome di …]; "a motivo di …", esprimendo una causalità.

Vicino a questo testo, ve ne sono altri che ci aiutano meglio a capire. Essi infatti personalizzano il rapporto: "mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Rm 5,8, cfr. 8,31; 1Cor 1,13; 2Cor 5,21; 11,24). Fra la tua persona in quanto peccatore e la morte di Cristo esiste un rapporto. Quale? Il significato prevalente è il primo: è morto "a favore di" noi peccatori!

"La morte di Gesù dunque fu essenzialmente un atto di amore personale: sia da parte di Dio (cfr. Rom 8,31b-32: "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio figlio [come Abramo: cfr. Gn 22], ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?"), sia da parte di Gesù stesso (cfr. Gal 2,20: "Mi amò e diede se stesso per me"), che si trovano perfettamente fusi insieme (cfr. Rm 8,39: "Nessuna creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore")". [R. Penna, I ritratti originali di Gesù, vol. II, S. Paolo ed., Milano 1999, pag. 145]. Nel Vangelo di Giovanni ci è raccontato che Gesù ha voluto prefigurare la sua morte lavando i piedi ai suoi discepoli.

Ma in che senso la morte di Gesù, precisamente a causa del rapporto che essa ha coi nostri peccati, è stato un atto di amore? Rimanendo sempre alla scuola di S. Paolo, questi ci spiega che la morte di Gesù è stato un atto di amore servendosi di tre concetti.

(a) Uno è il concetto di "riscatto-redenzione" (cfr. Rom 3,24; 6,18.22; 8,2.23; 1Cor 1,30; 6,20; 7,23; Gal 3,13; 4,5; 5,1). In rapporto ai nostri peccati, la morte di Gesù è stato un atto di amore perché con essa Egli ci ha liberati non da proprietari personali, ma dalle condizioni negative che ci impediscono di esercitare in senso interamente vero la nostra libertà. Ascoltate che cosa scrive S. Pietro: "voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati falla vostra vuota condotta … ma con il sangue prezioso di Cristo" (1Pt 1,18).

(b) Il secondo concetto è quello di "riconciliazione" (cfr. Rom 5, 10-11; 2Cor 5,18-20). In rapporto ai nostri peccati, la morte di Gesù è stata un atto di amore perché in essa Dio ha voluto per pura grazia farci ritornare dentro alla sua amicizia. Dovete togliere dalla vostra mente quelle raffigurazioni fantastiche di Dio adirato che si lascia placare. No: S. Paolo attribuisce sempre a Dio l’iniziativa di riprendere l’uomo nella sua amicizia. E quindi da sempre c’è nel cuore del Signore grazia e misericordia.

(c) Il terzo concetto è quello di "espiazione" (Rom 3,25). In rapporto ai nostri peccati, la morte di Gesù è stato un atto di amore perché con essa ed in essa i nostri peccati sono stati veramente perdonati: siamo stato veramente rigenerati.

Alla scuola di S. Paolo, abbiamo compreso questa sera la prima fondamentale verità circa la morte e risurrezione di Gesù. Esiste un rapporto fra la morte di Gesù e i nostri peccati. Egli è morto in nostro favore, in quanto colla sua morte ci ha liberati dalla nostra vuota condotta rendendoci liberi, nella sua morte Dio ci ha riammessi nella Sua amicizia, a causa della sua morte i nostri peccati sono stati perdonati e noi siamo rigenerati. Una conclusione si impone: se Gesù ha compiuto tutto questo per noi nella sua morte (e quale morte!), allora la sua morte ci dice che Egli ama perdutamente ciascuno di noi. Se voi ora rileggete il racconto dell’incontro di Gesù con Zaccheo, vedrete che esso mostra come a Zaccheo sia successo tutto questo: liberazione dalla vuota condotta, amicizia col Signore, perdono dei suoi peccati che coincide con un’esperienza nuova.

Ma forse possiamo farci una domanda più profonda: una domanda che ha sempre dimorato dentro al cuore dei credenti. Ma per quale ragione [e una ragione deve esserci! Dio non fa nulla a caso] proprio attraverso la sua morte Gesù ha voluto redimermi, riconciliarmi e perdonarmi? Quale è l’intima ragione di questo fatto, la sua spiegazione?

L’aver scelto questa modalità dimostra il supremo interesse di Dio per l’uomo: il voler "ad ogni costo" ricondurlo alla sua dignità ed alla sua libertà. "Ad ogni costo":a costo della vita stessa. "Avendo amato i suoi, li amò sino alla fine" (Gv 13,1). E pertanto nella morte di Cristo, la persona umana sa che è preceduta e sostenuta da un Amore illimitato ed onnipotente.

L’aver scelto questa modalità dimostra la stima che Dio ha della dignità dell’uomo. per due ragioni. L’una, perché, come abbiamo detto, non lo ha abbandonato "in potere della morte". L’altra, ancora più profonda. Avrebbe potuto evitare questa modalità: è attraverso un agire umano che viene salvato l’uomo. E pertanto la salvezza e’ dono gratuito, senza che l’uomo sia umiliato.

Infine, la morte di Cristo ti rivela la serietà della tua vita, la preziosità della tua persona: un patrimonio che non può essere dilapidato.

2. [A questo punto dovremmo continuare mostrando come la Risurrezione di Gesù non poteva non essere l’esito finale di una morte come questa: lo faremo nella catechesi di gennaio]