home
biografia
video
audio
english
español
français
Deutsch
polski
한 국 어
1976/90
1991/95
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


L’UOMO RITROVATO
Tre giorni dei catechisti
8 settembre 2000

01. La mia riflessione è destinata direttamente a voi catechisti, e solo indirettamente alle persone da voi catechizzate. Essa cioè non ha carattere didattico [come fare catechesi], ma carattere formativo: mira a formare in voi una mentalità, un modo di pensare l’atto catechetico.

02. La mia riflessione di oggi si pone in stretta continuità con le due riflessioni già fatte durante il corrente Anno Santo. Esse, questa e le due precedenti, seguono l’ordine logico dei primi tre capitoli della mia Lettera pastorale "Niente sia anteposto a Cristo". Quale sarà dunque il tema della mia riflessione odierna? Lo potrei enunciare così: la vita generata dall’incontro con Cristo.

Voi capite subito che possedere una visione profonda di questo avvenimento che accade nella vita di chi ha incontrato Cristo, una vita nuova, è per un catechista di fondamentale importanza. La catechesi infatti non si riduce ad essere istruzione della fede, ma è educazione nella fede. Ed educare significa introdurre una persona dentro la realtà, farle una proposta di vita. Capire bene la connessione fra fede [incontro con Cristo] e vita, pensare questa connessione nel modo giusto, è per un catechista assolutamente necessario.

Dando presupposta una lettura attenta del capitolo della Lettera pastorale, procederò nel modo seguente. Nel primo punto cercherò di farvi vedere come l’incontro con Cristo generi una vita umana nuova; nel secondo punto vi metterò in guardia dai due possibili e più gravi errori in cui possiamo cadere quando affrontiamo questa tematica; nel terzo punto darò alcuni indicazioni più direttamente didattiche.

1. [Fede e vita]. Parto da alcune riflessioni e spiegazioni semplicissime.

Noi useremo spesso il termine "vita", "esistenza" o simili. Con essi io intendo la realtà più semplice e grande: i nostri affetti, il nostro lavoro, i nostri guai piccoli o grandi, e le nostre gioie. In una parola: la nostra giornata comune.

Scendendo un po’ più in profondità, noi ci rendiamo conto e prendiamo coscienza che il modo con cui si configura, il volto che assume la narrazione della nostra biografia dipende da due fattori fondamentalmente: da come rispondiamo ad alcune domande; da come esercitiamo la nostra libertà. [Detto in termini più … tecnici: due sono i problemi decisivi della vita, il problema di ciò che è vero/falso e il problema di ciò che è bene/male]. Mi fermo un momento a riflettere con voi su queste due strutture portanti della nostra vita.

Ho parlato, in primo luogo, di risposta a domande. Quali? Poniamoci in ascolto di noi stessi e vedremo che esse sono domande dalle cui risposte la vita cambia: si configura in un modo o nell’altro. Mi spiego. Uno può chiedersi se sia più lungo il Nilo o il Missisipi: che si risponda in un modo o nell’altro, la vita non cambia. Per millenni l’umanità ha ritenuto che la terra fosse ferma ed il sole le girasse intorno. Era un errore. Quando se ne accorse la vita è cambiata? Ma se mi chiedo se io finisco completamente colla morte o sono eterno, voi capite che a seconda della risposta che do, la mia vita cambia. Quando nella notte di Natale i pastori capirono la dignità della loro persona, la vita umana non poté più continuare come prima.

Potremmo dire: esistono domande dalla cui risposta dipende la configurazione della propria vita; sono le domande riguardanti la verità della propria persona, il "se stesso".

Ho parlato, in secondo luogo, del modo con cui esercitiamo la nostra libertà. Dice un poeta latino: "vedo il bene e lo approvo; e poi faccio il male". Penso che ci ritroviamo tutti in questa constatazione. E’ un’esperienza drammatica che facciamo tutti. Nel momento in cui sappiamo la verità su ciò che è bene/male, noi "sentiamo" che è di noi stesso che si parla, che quella verità riguarda noi: è la verità di noi stessi. La nostra libertà può confermare nelle e colle sue scelte la verità conosciuta colla nostra ragione, e quindi dare alla nostra vita una configurazione giusta, bella, buona. Oppure la nostra libertà può negare nelle e colle sue scelte la verità conosciuta colla nostra ragione, e quindi realizzare una vita sbagliata: è la perdita di se stessi!

La vita è grande quando è generata dal matrimonio fra la verità e la libertà: una libertà fecondata dalla verità genera il santo; una libertà che divorzia dalla verità genera il peccatore. La vita sta tutta dentro al modo con cui la libertà si rapporta alla verità.

Che cosa succede quando una persona incontra Cristo? Che cosa è successo a Paolo, a Francesco, a Edith, a tanti altri? E’ il rendersi presente di una persona. Una presenza che invade intimamente la persona incontrata. In che cosa consiste questa intima … invasione? [Non do ora la risposta completa, poiché presuppongo quanto vi dissi nelle lezioni precedenti. Mi limito alla prospettiva in cui ci stiamo muovendo]. Rispondo alla domanda.

La presenza di Cristo nella propria vita "svela … pienamente l’uomo a se stesso" [Cost. past. Gaudium et Spes 22,1]. La presenza di Cristo illumina la ragione dell’uomo, e gli fa sapere la verità di se stesso. E’ in primo luogo un’invasione di luce interiore. Scrive S. Paolo: "Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo" (Fil 3,7). Vedete che si tratta di sapere la verità sul bene di se stessi, di rispondere alla domanda fondamentale: quale è il mio vero bene? O, il che equivale: in che cosa consiste la mia vera felicità? I battezzati erano chiamati "illuminati": Cristo aveva illuminato la loro persona.

La presenza di Cristo nella propria vita è grazia che libera la nostra libertà: che rende capace la nostra libertà di confermare nelle e colle sue scelte la verità conosciuta. A questo punto vi consiglio di leggere e meditare … senza fine una pagina di intensità unica di S. Paolo: Rom 7,14 – 8,4.

Vorrei essere in un certo senso più concreto. Quando la persona umana è se stessa? quando la libertà conferma nelle sue scelte la verità? insomma: in che cosa consiste la [libera] realizzazione di se stessi? Il Concilio Vaticano II ci dona una risposta profonda: l’uomo realizza se stesso, ritrova nella sua libertà se stesso, quando dona se stesso. La verità della persona è l’amore che consiste nel dono sincero di sé [cfr. Cost. past. Gaudium et Spes 24,4]. Cristo colla sua presenza rende la libertà capace di realizzare la persona nel dono: libera la libertà poiché la rende capace di amare. Potete leggere attentamente la narrazione evangelica dei vari incontri di Cristo, e vedrete che è successo questo.

Quando accade questa liberazione della libertà? Fondamentalmente attraverso la partecipazione all’Eucarestia.

Concludo dunque il primo punto. L’incontro con Cristo genera una vita nuova in quanto ti fa conoscere la verità di te stesso e ti dona la libertà di realizzarla: genera una vita nuova perché è una vita vera e libera. Veramente libera e liberamente vera.

2. [Due errori]. Alla luce di quanto ho detto finora, voi potete facilmente capire che quando cerchiamo di capire il rapporto fede-vita, noi possiamo cadere in due errori, che hanno gravi conseguenze nella catechesi.

Il primo si presenta in due modi. Pensare che la fede cristiana non ha nulla a che fare colla vita umana: la fede parla solo di un … Dio della domenica e non del lunedì. La fede è un elevarsi, e un evadere dalle faticose faccende feriali. Oppure pensare che la vita umana abbia una sua autonomia nei confronti della fede: che cosa ha a che fare la fede coi problemi del matrimonio, della educazione, del lavoro, della salute? nulla, si pensa. Insomma: o una fede senza vita o una vita senza fede.

Il secondo è quello di identificare fede e vita. La forma più frequente che prende quest’errore e quella che si ritrova in chi dice: "ma alla fine, l’importante è agire bene!". Cioè: la riduzione della fede ad essere puramente funzionale alla propria azione. E’ il vizio di ogni "moralismo cristiano".

Non mi voglio fermare ulteriormente nella descrizione di questi due errori. Essi infatti sono facilmente percepibili da parte di chi ha riflettuto lungamente a quanto ho detto nel primo punto.

3. [Alcuni orientamenti pratici]. Potrebbe essere che qualcuno di voi pensi che quanto detto finora non abbia pressoché nessuna rilevanza pratica nel vostro lavoro catechetico. Vorrei nell’ultimo punto liberarvi da questa eventuale impressione.

Certamente nella catechesi ai bambini e ai ragazzi ciò che ho detto non sarà oggetto immediato di insegnamento. La riflessione dei due punti precedenti aveva, come vi dissi all’inizio, lo scopo di aiutare voi catechisti a fare chiarezza su un punto che è centrale nell’educazione di una persona alla fede. E soprattutto nella catechesi dei ragazzi.

Siamo tutti convinti che una delle ragioni dell’abbandono della catechesi da parte dei ragazzi dopo la cresima, sia dovuto ad un’eccessiva connessione fra catechesi e sacramenti. Non si "fa catechesi" per preparare ai sacramenti, ma si "fa catechesi" per educare una persona a vivere la sua vita "nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me" Gal 2,20 . Vita in Cristo che, è certo, è impossibile senza sacramenti. La connessione fede-vita è la chiave di volta di tutta la catechesi della Chiesa. Su questo dovremo continuare a riflettere molto più seriamente.

Vorrei scendere più al concreto. Quella connessione deve essere chiara in noi. Non solo dal punto di vista formale [il discorso fatto da me questa sera è di questo ordine], ma nei singoli contenuti: quale è la verità cristiana della famiglia, del lavoro, della malattia?

Questa connessione può essere percepita dal bambino e dal ragazzo se si danno almeno due condizioni: chiarezza espositiva dei contenuti della fede ed significative esperienze pratiche. Mi fermo un momento sulla seconda condizione.

"Esperienze pratiche" vuol dire concreti gesti che vengono proposti ai bambini e ai ragazzi: sono sicuro che lo fate tutti. Ma ho detto che devono essere "significative". Cioè: non è il fare che educa il bambino e il ragazzo a percepire che l’incontro con Cristo genera in lui una vita nuova. Ma è il fare di cui si sappia il senso, e che si inserisce coerentemente dentro all’intero di una proposta di vita. Concretamente: l’"opera" deve essere preceduta e seguita da una riflessione dell’educatore.

E’ un modo di educare questo che si scontra oggi con due "dogmi" dell’intolleranza in cui viviamo: la concezione del vivere come mera spontaneità [la libertà è concepita e vissuta come spontaneità]; la riduzione della esistenza ad una narrazione senza contenuto. Anche per questo il vostro impegno è di grande rilevanza culturale.

Conclusione

Penso spesso che la nostra catechesi, con tutte le sue difficoltà ed anche povertà, sia rimasta uno dei pochi luoghi in cui si aiuta l’uomo a non perdere se steso. La perdita di se stesso è la vera, grave disgrazia dell’uomo: nelle vostre catechesi siete rimasti fra i pochi nella cultura di oggi ad impedirlo. Perché? Perché, in fondo, in esse voi educate le persone alla vera libertà: ad introdursi nella realtà come persone vere e libere. In una parola: capaci di amare. Mi piace definire la catechesi come la scuola dove si impara a vivere la verità dell’amore.