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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


BIOETICA: verso un cammino di comprensione dell’uomo.
Bologna, Cinema Orione
25 giugno 2002

Devo chiarire immediatamente che nella mia riflessione non affronterò nessun problema specifico, particolare di bioetica, quali per es. procreazione artificiale, clonazione, eutanasia o altri. Mi propongo di offrirvi una riflessione più semplice e più profonda: mostrarvi le ragioni profonde che muovono il Magistero della Chiesa a rispondere alle grandi domande della bioetica. Portare alla luce le radici profonde da cui sono generate le varie risposte.

Detto più brevemente e rigorosamente. Io cercherò di rispondere a due domande. La prima: perché il Magistero della Chiesa ritiene di essere legittimato a dare una risposta alle grandi domande della bioetica? La seconda: quali sono le convinzioni fondamentali alla luce delle quali il Magistero della Chiesa risponde alle grandi domande della bioetica?

La ragione per cui ho dato questo taglio alla mia riflessione è bene espresso da un famoso detto di un antico scrittore cristiano: "questo solo chiede la verità: di non essere rifiutata prima di essere conosciuta". Vorrei aiutarvi a formare in voi quella profonda attitudine che vi pone in un ascolto sereno del Magistero bioetico della Chiesa, non pregiudicato da nessun "dogma" imposto dal consenso sociale.

1. LEGITTIMITA’ DELL’INTERVENTO.

La mia riflessione ha inizio da un testo dell’Enc. Redemptor hominis di Giovanni Paolo II:

"Quale valore deve avere l’uomo davanti agli occhi del creatore, se "ha meritato di avere un tanto mobile e grande redentore" se "Dio ha mandato il suo Figlio", affinché egli, l’uomo, "non muoia, ma abbia la vita eterna" [cfr. Gv 3,16]? In realtà, quel profondo stupore riguardo al valore e alla dignità dell’uomo si chiama cristianesimo. Questo stupore giustifica la missione della Chiesa nel mondo anche, e forse di più ancora, nel mondo contemporaneo" [10,2; EE 8/29].

E’ lo stupore che la Chiesa vive di fronte alla grandezza dell’uomo, che legittima la sua presenza nel dibattito bioetico contemporaneo. E’ uno stupore nutrito da convinzioni che, pur essendo strettamente connesse colla fede nella incarnazione del Figlio di Dio e nella sua morte redentrice, si esibiscono come ragionevole fondamento di ogni autentico umanesimo.

Siamo così condotti alla domanda fondamentale: che cosa significa "grandezza dell’uomo" o "dignità della persona umana"? Consentitemi di costruire la mia risposta a questa domanda, partendo da un’esemplificazione molto semplice.

L’attitudine di una ditta che produce prodotti per neonati è profondamente diversa dall’attitudine della donna che ha concepito e partorito un bambino. Il responsabile della ditta pensa (e dice): come è utile per noi che nascano i bambini! La madre pensa (e dice): come è bello che tu sia nato, che tu ci sia! Si rifletta molto attentamente su questo fatto. La stessa persona, la persona del bambino, è "oggetto", è il "termine" di due attitudini profondamente diverse. Donde deriva questa diversità? Da ciò che nel bambino è visto, e quindi dal modo con cui è considerato. Nel primo caso, il bambino è un possibile utente del proprio prodotto e quindi una probabile fonte di utilità; nel secondo caso, il bambino è semplicemente qualcuno che merita di essere voluto in se stesso e per se stesso. Nel primo caso, istituisco col bambino un rapporto basato su una considerazione utilitaristica: nel secondo caso, istituisco col bambino un rapporto basato su una considerazione etica.

Siamo così giunti ad una precisazione concettuale di enorme importanza per la problematica che stiano affrontando questa sera, e per la nostra vita quotidiana.

Quando oggi si parla di etica [ e quindi anche di bioetica] si pensa subito a regole da osservare, per cui si ritiene che tutti i problemi di etica [e quindi di bioetica] siano problemi del genere: quali regole devono essere fissate? chi ha l’autorità per farlo? E così via. In realtà la considerazione etica è molto più profonda. Che cosa è? Consentitemi di partire da un’altra esemplificazione.

Immaginiamo che uno si trovi in pieno centro di Bologna nell’ora di traffico più intenso. Si ferma ed esclama: quale sublime musica si sente! Poi se ne ritorna a casa e si mette all’ascolto di un Adagio cantabile di L. van Beethoven, ma lo interrompe subito dicendo: che insopportabile rumore è questo! Il minimo che si possa dire è che questa persona non ha nessun senso musicale. Da che cosa deduco questa carenza totale? Dal fatto che la sua reazione a due "suoni" diversi è completamente inadeguata alla realtà dei due suoni stessi. Orbene, quando la risposta della persona alla realtà in cui si imbatte è adeguata al valore obiettivo della realtà stessa dobbiamo dire che la risposta data è vera e buona; quando non è adeguata al valore obiettivo della realtà in cui mi sono imbattuto dobbiamo dire che la risposta data è falsa e cattiva.

Ora possiamo capire in che cosa consiste la considerazione etica della realtà. Consiste nel "vedere" il valore obiettivo della realtà considerata al fine di avere nei suoi confronti una risposta adeguata al suo valore stesso, corrispondente cioè alla misura della sua obiettiva preziosità. Come potete constare ho definito il concetto di etica [e quindi di bio-etica] senza neanche nominare le regole.

Faccio ancora al riguardo una riflessione importante, e poi riprendo il filo del nostro discorso. L’attitudine etica implica due momenti o possiede due dimensioni. Ho bisogno di conoscere il valore obiettivo della realtà. Cioè: ho bisogno di conoscere la verità sul bene. In secondo luogo ho il dovere di agire in modo adeguato alla misura del bene. In sintesi: ho bisogno di sapere come devo/non devo esercitare la mia libertà.

Ritorniamo ora al nostro bambino, e domandiamoci: chi ha ragione il responsabile della ditta o la madre? quale è cioè la verità sul bene [valore] del bambino? Il bambino ha valore, è un bene perché e in quanto può acquistare quei prodotti oppure ha valore, è un bene in sé e per se stesso? Riflettete molto seriamente prima di dare la risposta perché quella semplice esemplificazione e questa domanda ci ha introdotto dentro al drammatico groviglio della nostra vita quotidiana e della società occidentale.

La risposta oggi più comunemente accettata nella società occidentale e nelle dottrine che la plasmano culturalmente è la seguente: nessuna persona umana è dotata di un tale valore da escludere assolutamente ed incondizionatamente la sua utilizzazione. Quando cioè noi diciamo che nessuna persona umana può essere usata [utilizzata], noi facciamo un’affermazione che è generalmente vera, ma non tale da escludere in modo assoluto che non ci siano situazioni nelle quali una persona umana non possa essere utilizzata. Pensate a tutta la problematica della "produzione" di embrioni umani per avere cellule staminali.

La risposta che la Chiesa dà è invece la seguente: ogni persona umana, dal momento del suo concepimento alla sua fine naturale, è dotata di un tale valore da escludere assolutamente ed incondizionatamente che essa possa essere esclusivamente considerata e trattata come un mezzo: essere utilizzata. E pertanto esistono dei rapporti con la persona umana, dei comportamenti nei suoi confronti che sono sempre ed ovunque ingiusti. Ieri, oggi e sempre; nella cultura occidentale ed orientale: ovunque. E’ questo il senso profondo di quello stupore che la Chiesa prova di fronte all’uomo, di ogni uomo: al valore, alla dignità di ogni e singola persona umana.

Il Magistero entra nel dibattito bioetico perché intende affermare e difendere questo valore, questa dignità di ogni e singola persona umana.

Ma su che cosa si fonda la sua convinzione? Quale è la ragione di questa dignità dell’uomo? La risposta dovrebbe essere piuttosto lunga e teoricamente articolata. Mi limito all’essenziale. Le ragioni sono due: la costituzione ontologica della persona; la sua finalizzazione.

La prima ragione è data dalla costituzione della persona umana. Essa è la sola nell’universo visibile che sia un soggetto spirituale, immortale quindi e capace di conoscere e scegliere liberamente. Ogni cosa di cui abbiamo esperienza è destinata a corrompersi e a finire; solo la persona umana è incorruttibile ed eterna. Essa è capace di conoscere, di aprirsi cioè alla totalità dell’essere. Nella sua scelta libera dimostra una sporgenza, una sovraeminente superiorità su ogni bene limitata e quindi in possesso di un vero e proprio dominio sul suo agire.

La seconda ragione è costituita dalla nobiltà del fine a cui la persona umana è destinata. In forza dell’apertura illimitata del suo spirito, essa non è finalizzata a nessuna realtà di valore limitato, come è dimostrato dall’insoddisfazione permanente che dimora nel cuore dell’uomo. Egli è destinato a Dio stesso. Questa sua destinazione lo nobilita al di sopra di ogni altra creatura: il bene dell’universo intero non è a misura dell’uomo. La singola persona umana vale di più dell’intero universo.

Può essere che qualcuno pensi che stando così le cose, ritenga che poiché la Chiesa radica le sue risposte nell’affermazione della dignità della persona umana, si trovi in fondo in pieno accordo con tutti: chi non afferma la dignità dell’uomo? Potrei subito dire che non è così scontato questo consenso. Ma passo subito al secondo punto della mia riflessione dove quest’assenza reale di un consenso sulla verità del bene della persona sarà documentata.

  1. RAGIONI DELLE RISPOSTE

In questo secondo punto della riflessione vorrei mostrarvi quelle ragioni fondamentali che stanno alla base di ogni risposta specifica che il Magistero della Chiesa dà ai vari problemi della bioetica. Da questa riflessione risulterà che il contenuto preciso dell’espressione "dignità della persona umana", come è affermato dalla Chiesa è tutt’altro che condiviso.

Partiamo subito da un problema oggi gravissimo dalla cui soluzione dipende in larga misura il destino della nostra società occidentale. E’ un’evidenza originaria della nostra coscienza umana che l’umanità di cui siamo in possesso ci è data solo nell’essere l’uno con l’altro: la nostra umanità è sempre una ca-umunità [una comunità], così come la nostra esistenza è sempre una co-esistenza.

Tutto questo è vero anche nell’esercizio della mia libertà: la mia è sempre una libertà con la libertà degli altri ed attraverso la libertà degli altri. Nasce di qui il bisogno da tutti riconosciuto di un ordinamento delle libertà attraverso delle regole del loro esercizio.

A questo punto nascono almeno due domande: chi ha il potere di istituire queste regole? quale è il criterio o quali sono i criteri secondo cui vengono stabilite? Alla prima domanda noi tutti oggi rispondiamo che le regole sono stabilite dalla maggioranza. Ma resta la seconda e più grave domanda: la maggioranza è solo il soggetto che istituisce le regole o è anche il criterio della giustizia delle stesse? Cioè: tutto ciò che stabilisce la maggioranza è per ciò stesso giusto e buono? L’esperienza storica del ventesimo secolo ha dimostrato che ci possono essere maggioranze ingiuste. E’ ipotizzabile che la maggioranza di un popolo decida di sopprimere una minoranza che vive al suo interno, o un popolo confinante perché limita la propria esistenza.

Come potete vedere non può non sorgere dentro di noi una domanda nella quale ci eravamo già imbattuti nel numero precedente della nostra riflessione: esistono beni, e quali sono, che non possono non essere riconosciuti se non si vuole distruggere l’umanità stessa dell’uomo? esistono beni umani che precedono ogni computo di maggioranza e minoranza perché esigono di essere protetti e promossi da tutti? "La domanda sull’incondizionatamente buono e sull’incondizionatamente malvagio non può esser elusa, se ci deve essere un ordinamento delle libertà che sia degno dell’uomo" [J. Ratzinger, in Il monoteismo, ed. Mondadori, Milano 2002, pag. 24]. Le ragioni sulle quali il Magistero della Chiesa fonda le sue risposte alle varie egrandi domande della bioetica sono sempre costituite dall’affermazione dell’esistenza di beni umani che esigono un rispetto assoluto ed incondizionato perché sono costitutivi dell’essere della persona stessa. La convinzione quindi che la persona umana possegga una dignità in un certo senso infinita, non è una convinzione puramente formale e priva di contenuto: essa si sostanzia nell’affermazione dell’esistenza di beni umani che nessuno può negare senza negare la propria ed altrui umanità.

A questo punto dobbiamo chiarire che cosa precisamente si intende per "beni umani", e quali sono. Prima però di compiere questa individuazione, è necessario esporre un presupposto che costituisce, per così dire, la cornice teoretica di tutte le risposte del Magistero.

Perché la Chiesa costruisce le sue risposte ai problemi della bioetica sulla base della convinzione che esistono beni umani non negoziabili? Perché ha un così profonda stima della ragione umana da ritenere che essa è capace di conoscere la verità sull’uomo, e non solo che è capace di dominare il mondo e di trasformarlo secondo i desideri dell’uomo. "Esiste dunque un duplice uso della ragione: la ricerca della verità intorno all’essere ed all’uomo da un lato, e l’ordinamento del creato in funzione della verità riconosciuta. Se la prima funzione della ragione non viene più riconosciuta, l’uso della seconda si perverte" [R. Buttiglione, in Codzienne pytahia Antygony, Lublin 2001, pag. 146]. Penso che nessuno oggi attribuisca alla ragione umana una capacità di conoscere tanto ampia come gliene riconosce il Magistero della Chiesa: la ragione è capace di conoscere quei beni umani che sono incondizionatamente da proteggere e difendere. Essa non è avalutativa: conosce la verità sul bene dell’uomo universalmente valida.

Ed ora possiamo indicare quali sono i beni umani fondamentali. La ragione umana li individua sulla base delle naturali inclinazioni della persona. "Innanzitutto l’inclinazione a conservarsi in vita, che esprime la bontà dell’essere come tale e che è comune a tutte le creature. In secondo luogo l’inclinazione all’unione sessuale, che, pur essendo comune a tutti gli animali, ha nell’uomo una dimensione specifica e spirituale: è apertura alla comunione con la persona di sesso diverso, in una unione stabile e fedele, orientata alla generazione e all’educazione dei figli; in terzo luogo vi è l’inclinazione alla vita sociale, che non è limitata al bisogno che ognuno ha dell’aiuto di altri e del vantaggio materiale che ricava dal vivere in società, ma si estende all’arricchimento e alla dilatazione spirituale che deriva dalla convivenza comunitaria. Infine vi è un’inclinazione specificamente umana alla conoscenza della verità, nella quale si esprime l’eminente dignità dello spirito umano, chiamato a godere della luce del vero" [L. Melina, in Codzienne … op. cit. pag. 225]. I beni umani fondamentali sono dunque il bene della vita, il bene del matrimonio e della famiglia, il bene della società, il bene della conoscenza e dell’amore del vero.

Riconoscere la dignità della persona e volere il suo bene, cioè amare il prossimo così come se stesso, significa volere il bene della persona che si sostanzia e si realizza nei beni a cui ogni persona è inclinata. Dire di amare, cioè volere il bene della persona e violare i beni cui la persona è inclinata è vuota retorica: è affermare a parole la persona e negarla nei fatti. Non si può affermare la persona se non riconoscendo attraverso i suoi beni basilari; se non nel rispetto di questi beni, dal momento che essi sono i beni che realizzano la persona.

Ed a questo punto si comprende perfettamente la logica unitaria di tutte le risposta della Chiesa ai vari problemi della bioetica: esse sono sempre costruire sulla conoscenza del bene basilare della persona in questione, e sulla riflessione razionale che scopre il modo con cui quel bene deve essere difeso.

In fondo, quando il Magistero della Chiesa si pone di fronte ad un problema di bioetica, esso procede sempre nel modo seguente. Inizia chiedendosi: quale dei beni basilari della persona è in questione? [E.g.: nel problema dell’eutanasia è il bene della vita]. Seconda domanda: la proposta, il procedimento tecnico proposto riconosce, rispetta quel bene? [E.g.: la decisione di interrompere direttamente la vita nel caso dell’ammalato terminale]. E nella costruzione della risposta a questa domanda, normalmente il magistero mette in atto una riflessione razionale non derivata necessariamente dalle convinzioni di fede. Infine esibisce la risposta che ha il seguente tenore: questa condotta viola/ non viola un bene basilare della persona umana.

Alcuni corollari. Ciò che è in questione quindi non è la libertà dello scienziato o del tecnico come tale, ma dell’uomo scienziato o tecnico al quale, come ad ogni uomo, è chiesto di rispettare la dignità di ogni uomo. Nessun uomo, scienziato compreso, è legittimato a violare la dignità di un altro uomo.

Si capisce la superficialità, per non dire di peggio, di chi si oppone al magistero della Chiesa appellandosi alla libertà della scienza, al fatto che ciascuno deve tenersi le proprie opinioni. Sono obiezioni semplicemente prive di senso nel contesto di questa riflessione, e dimostrano solo la schiavitù di chi li fa agli "idoli della piazza".

Conclusione

Ma c’è qualcosa di più profondo in tutta questa presenza della Chiesa nella sfida bioetica attuale.

La Chiesa sa che è stato l’atto redentivo di Cristo a ridare definitivamente all’uomo la sua dignità, a ricrearlo nella sua infinita preziosità: è in Cristo che la verità intera sul bene dell’uomo splende in tutto il suo fulgore. Partendo da Lui la Chiesa afferma il bene della persona umana, ed in questa affermazione incontra chiunque usa rettamente della propria ragione. Nello stesso tempo anche attraverso la risposta alla sfida bioetica contemporanea, la Chiesa adempie il suo compito fondamentale: dirigere lo sguardo dell’uomo verso Cristo. "Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto": per ritrovare pienamente se stessi, ricoprendo la pienezza della propria dignità.