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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


«Il bene comune del matrimonio e della famiglia»
Salerno, settembre 1994

 

Sant’Agostino pensava che le domande con cui l’uomo esprime il suo stupore di fronte alla realtà, siano fondamentalmente tre: la domanda sull’esistenza, la domanda sulla verità di ciò che esiste, la domanda sulla bontà o valore di ciò che esiste. Poniamoci questa terza domanda a riguardo del matrimonio e della famiglia: quale è il loro “bene”, a causa del quale essi devono essere “valutati”, cioè giudicati “preziosi”?

 

1. Il bene comune del matrimonio

 

Cominciamo dal matrimonio. “Le parole del consenso matrimoniale definiscono… […] Anzitutto, il bene comune dei coniugi: l’amore, la fedeltà, l’onore, la durata della loro unione fino alla morte” (Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, 10, 2). Ciò che rende il matrimonio una realtà tanto preziosa è dunque, l’amore, la fedeltà, l’onore, l’indissolubilità. Più sinteticamente: “il bene comune dei coniugi trova compimento nell’amore sponsale pronto a dare e ad accogliere la nuova vita” (11, 4). È l’amore sponsale aperto alla vita ciò che rende prezioso il matrimonio. Infatti l’amore sponsale è una delle due forme fondamentali in cui si esprime la verità piena della persona umana. L’altra forma fondamentale è l’amore verginale. In che senso e perché nell’amore sponsale la persona umana può attuarsi secondo la sua verità? Il Santo Padre si riferisce spesso, e lo fa anche in questa lettera, a un testo del Vaticano II riguardante l’uomo. Questi è l’unica creatura sulla terra voluta da Dio per se stessa ed egli non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé (11, 1).

L’esistenza umana è dominata da questo “grande e meraviglioso paradosso”: un soggetto che, per essere se stesso, deve donare se stesso. Il proprio essere consiste nell’auto-donazione. Sta in questo il mistero dell’amore coniugale, nella sua specifica originalità. Ogni amore è sempre dono; amare significa semplicemente donare. Tuttavia, per amore e amando si può donare il proprio avere. Si dona il proprio denaro; si dona il proprio tempo e così via. L’amore coniugale è il dono del proprio essere: di se stessi. “Nel consenso matrimoniale i novelli sposi si chiamano con il proprio nome: “Io… prendo te…” (11, 2). Non è qualcosa che altri hanno o potrebbero avere. È l’incomunicabile, irripetibile e insostituibile persona dell’altro nella sua unicità che è donata ed accolta.

È per questo che la morte della persona amata è sentita come la pura assurdità, ciò che non ha nessun senso, poiché toglie ciò che possiede una preziosità unica. Dunque, la persona è la ragione ultima della preziosità del matrimonio. Quale bene “posseggono” in comune gli sposi? Quale è il loro “bene comune”? “Quanto non si può né comperare né vendere, ma solo liberamente e reciprocamente elargire” (11, 1), cioè la persona, la loro comunione interpersonale. La nostra preoccupazione di conservare le cose è proporzionale al loro prezzo. Ciò che costa di più è maggiormente curato.

Quale è allora il prezzo di ciò che posseggono gli sposi? “Sono stati, infatti, acquistati a caro prezzo, a prezzo del dono più sincero possibile, il sangue di Cristo, al quale partecipano mediante il sacramento” (11, 2). Il prezzo della loro comunione coniugale è stato il Sangue versato e il corpo sacrificato di Cristo. È il sacrificio di Cristo, sempre eucaristicamente presente nella Chiesa, a donare agli sposi la capacità di donarsi. Così, questo sacrificio “nel consenso degli sposi trova, in qualche modo, una sua espressione” (11, 2). E qui, finalmente, tocchiamo la radice ultima del bene comune degli sposi, della loro comunione interpersonale. Dio rivela la sua Gloria nella vita dell’uomo. La Gloria di Dio è che l’uomo viva in pienezza: la vita della persona è il luogo in cui la Gloria di Dio si manifesta in tutto il suo fulgore. Ma la vita dell’uomo è l’amore che fa della persona un dono. “Siamo qui in presenza, si direbbe, della definizione più alta dell’uomo: la gloria di Dio è il bene comune di tutto ciò che esiste: il bene comune del genere umano” (11, 5). È questa la ragione ultima della preziosità dell’amore e della comunione coniugale. Dal fatto che il dono sia la persona, deriva l’esigenza della fedeltà, della durata fino alla morte, della indissolubilità dell’amore coniugale. Infatti, “il dono della persona esige per sua natura di essere duraturo e irrevocabile”, come dice il Santo Padre.

L’osservazione è semplice e profonda. Se io non sposo te, ma ciò che tu hai, qualora questo “avere” venisse a cessare o a diminuire in misura considerevole, non ci sarebbe più ragione di convivere. Ma se io sposo te, la tua persona, questa non finisce, non può mai venir meno. Non solo. Il dono di ciò che si possiede può essere misurato, perché il possesso è quantificabile. Il dono di se stesso non può essere misurato, perché il “se stesso” non è quantificabile nella sua spirituale semplicità. L’amore coniugale ha in sé qualcosa di drammatico: o si realizza interamente o non si realizza per niente. Dal punto di vista etico, sposarsi a termine, il matrimonio dissolubile è semplicemente una commedia: è recitare all’amore. Ed è in questo contesto che si pone la riflessione sulla preghiera come ricordo — ricordo “creativo e paterno” — dell’uomo da parte di Dio (10, 4-5): l’amore come dono totale é la Gloria di Dio che viene a dimorare nel cuore dell’uomo e della donna purificati dal Sangue di Cristo.

 

2. Il bene comune della famiglia

 

Non un qualsiasi amore sponsale è il bene comune degli sposi, ma l’amore sponsale “pronto a dare e ad accogliere la vita”. Infatti un amore sponsale senza questa prontezza è semplicemente impensabile.

Quando la volontà anti-procreativa viene ad abitare dentro all’amore coniugale, lo distrugge. Il bene comune degli sposi, la loro comunione coniugale, diviene il luogo santo in cui Dio pone la nuova persona umana. È il tempio santo in cui Dio creatore celebra il suo amore creativo. “Quando trasmettono la vita al figlio, un nuovo tu umano si inserisce nell’orbita del noi dei coniugi” (11, 3). Questo inserimento arricchisce il bene comune del matrimonio nel senso che ne sviluppa, per così dire, la sua interna logica personalista. Il bene comune della famiglia è della stessa natura del bene comune degli sposi: è la bontà insita nella comunione interpersonale, nel dono della persona. Per capire questo punto dobbiamo rifarci ad un’affermazione al contempo metafisica e teologica: ogni nuova persona è un dono. Certamente si deve “creare quasi uno spazio adatto perché la nuova creatura possa manifestarsi come «dono»” (11, 3): anche quando, tragicamente, essa non si manifestasse come tale, la nuova creatura è sempre un dono fatto all’umanità. La nostra esistenza non è frutto né del caso né della necessità: è il termine di un libero atto dell’amore creativo di Dio. La nuova persona umana che entra nell’esistenza, vi entra come dono fatto ai due sposi. Nel momento stesso in cui essi costituiscono la loro comunione coniugale, quando si scambiano il loro consenso, vengono richiesti se sono disposti ad accogliere e ad educare cristianamente i figli che Dio vorrà loro donare. Il figlio non è un prodotto della loro attività; non è neppure “qualcosa” di cui hanno bisogno per sentirsi completi. È semplicemente e profondamente un dono a cui non hanno diritto, poiché non si ha diritto a ricevere un dono. Può essere solo atteso e accolto, se donato, con profonda gratitudine. Si può solo esclamare, al suo arrivo: oh come è bene che tu ci sia! “Come è bene”: perché è bene? Per chi è bene? È la bontà, la preziosità insita nell’essere personale come tale. Ogni essere personale è di valore infinito e nessuno può dire di fronte ad una persona: è un male che tu esista. Abbiamo così scoperto, alle sue radici, quale è il bene comune della famiglia: è, semplicemente, la persona umana. Certamente, la persona è il bene comune “dell’umanità, dei singoli gruppi, e delle molteplici strutture sociali” (11, 6). Tuttavia, “lo è in un modo molto più concreto, unico ed irripetibile per la sua famiglia” (ibid.). Mentre, infatti, in ogni altra comunità umana, la persona è sempre anche qualcuno di non unico e irripetibile, ma di voluto per ciò che fa, nella famiglia ogni persona è affermata per se stessa e in se stessa. Semplicemente nel suo esserci, sia essa capace di fare qualcosa o non. La famiglia è il luogo in cui l’unico bene è, finalmente, la persona umana. Da questa riflessione il Santo Padre deduce una conseguenza sociale e politica di grande importanza: la famiglia è insostituibile. Ogni progetto sociale-politico, da Platone ai moderni totalitarismi, che abbia pensato a modelli alternativi alla famiglia, trova sempre la sua origine nella negazione del valore unico e irripetibile della singola persona come tale. Sono sempre progetti anti-personalisti. Ma in tutto questo c’è una dimensione ancora più misteriosa. La salvezza cristiana, il gaudio della salvezza cristiana è stato annunciato semplicemente così: “Troverete un bambino”. E Gesù paragona la sua “ora” alla “ora” della donna che sta per partorire. L’arrivo nel mondo di un bambino è il segno della salvezza, è un segno pasquale (cfr. 11, 7) perché “è manifestazione della vita, sempre destinata, per mezzo di Cristo, alla pienezza della vita che è in Dio stesso”.

 

Conclusione

 

Il grande diagnostico della modernità, Søren Kierkegaard, scrisse che l’uomo moderno è un disperato o per debolezza o per ostinazione. Per debolezza, perché ritiene che la verità della sua grandezza sia ormai un miraggio irraggiungibile; per ostinazione perché decide di accontentarsi di essere solo un po’ felice, un po’ libero e di non accedere alla pienezza della vita e della libertà. Proprio in queste settimane un consesso umano si è arrogato il diritto di mutare la definizione stessa di amore coniugale e di famiglia, corrompendone così totalmente la sua bontà. E la Chiesa resta fedele alla verità sull’amore, anche di fronte a una disperazione che nasce dall’aver chiusi gli occhi della mente di fronte alla suprema dignità della persona, bene comune del matrimonio e della famiglia.