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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


PELLEGRINAGGIO GIUBILARE A ROMA
(I)

Celebrazione Penitenziale
Assisi 19 ottobre 2000


La pagina evangelica, la parabola del figlio prodigo, rivela in modo perfetto le "viscere di misericordia del nostro Dio". Entriamo così nella celebrazione solenne del nostro Giubileo alla luce della grazia e della misericordia del Padre.

Possiamo essere aiutati nella nostra meditazione considerando distintamente il figlio prodigo, figura di ciascun uomo, il Padre che accoglie, icona del Padre celeste, e l’abbraccio-incontro che sigla la loro storia.

1. [Il figlio prodigo]. La vicenda di questa persona inizia con una decisione espressa dalle seguenti parole: "Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta". Una decisone presa, quella di entrare in possesso esclusivo del suo patrimonio, in vista di un preciso progetto di vita: lasciare la casa paterna per andare in un "paese lontano". Ecco, carissimi fratelli e sorelle: qui è pienamente raffigurata l’essenza stessa del peccato, di ogni peccato nella sua intima verità. Esso consiste nella decisione libera di usare della nostra umanità, del nostro corpo, della nostra intelligenza, delle nostre cose, non in obbedienza alla legge del Signore, ma secondo i nostri giudizi e desideri.

Tutto ciò che siamo, tutto ciò che abbiamo è contemporaneamente nostro e di Dio che ci ha creati: è nostro in senso vero e proprio. Noi non siamo ombre inconsistenti di qualcosa d’altro; orme di sabbia che il mare di un destino impersonale fa e disfa a suo piacimento; non siamo delle maschere. Tutto ciò che siamo ed abbiamo è nostro. Ma il nostro patrimonio, il patrimonio della nostra umanità ci è stato donato dal Padre e da Lui viene continuamente conservato nell’essere. Che cosa accade col peccato? Ascoltate bene le parole evangeliche: "raccolte le sue cose, partì per un paese lontano". Cioè: l’uomo "raccoglie le sue cose" pensando in cuor suo che per essere liberi bisogna non obbedire alla legge di Dio, che noi dobbiamo decidere e provare ciò che è bene/ciò che è male. E "parte per un paese lontano": lontano da chi? da che cosa? nella parabola, dal padre e dalla sua casa. L’uomo spezza il vincolo che lo lega alla sorgente: esce dalla sua verità [= l’uomo è creatura!].

Naturalmente tutto questo accade nel peccato mortale, nel peccato grave. Ma in misura più o meno grande analogamente è presente anche in ogni peccato veniale.

Quale è la conseguenza di questa decisione, della decisione peccaminosa? Due soprattutto: lo sperpero delle proprie sostanza, del patrimonio della propria umanità; la perdita della libertà.

Nel peccato noi perdiamo ciò che abbiamo di più prezioso: se stessi. Rompendo infatti la nostra alleanza col Signore, ci stacchiamo dalla luce che illumina la nostra ragione. Avendo deciso di non vivere nella verità ci ritroviamo a vivere nella confusione. Ci stacchiamo dalla sorgente del bene e ci ritroviamo "nel bisogno".

Nel peccato noi perdiamo la libertà: "si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci". Il peccato spesso ci introduce in situazioni dalle quali non riusciamo più a uscire. Siamo ridotti ad essere chiavi delle nostre passioni.

Che cosa accade in questa persona? Rientra in se stesso. Carissimi fratelli e sorelle, il nostro cammino di ritorno al Signore, di conversione, inizia dal ritorno a se stessi. E’ necessario che l’uomo prenda coscienza della perdita della sua dignità. E’ vero che la misura che il figlio usa nei confronti di se stesso è quella dei beni perduti e invece ancora posseduti dai salariati di suo padre. Ma dentro a questa misura comincia ad affiorare il dramma della dignità perduta, la coscienza della figliolanza dilapidata. Il nostro ritorno al Signore inizia spesso in questo modo. "Che cosa ho fatto!" diciamo a noi stessi; "ho buttato via dei beni umani che possedevo! ho perduto anni preziosi!". Il ritorno a se stessi consiste nella riscoperta piena della verità della propria persona: la verità della dignità [perduta], la realtà della condizione attuale.

Ma questo non significa ancora l’incontro col Padre. L’uomo ragiona ancora in termini di giustizia umana. Egli ragiona sulla base della coscienza di ciò che ha meritato e di ciò a cui può aver diritto secondo le norme della giustizia: nulla più che fare il servo. Poteva al massimo essere riaccolto come un mercenario. Certo, fino a questo punto poteva giungere la sua speranza perché in passato era stato figlio.

E qui si ferma l’uomo. Ma è proprio a questo punto che si ha la rivelazione, imprevista ed imprevedibile, della misericordia del Padre.

2. [Il Padre che accoglie]. Notate bene ogni parola che descrive la condotta del padre e non dimenticate neppure un istante che si sta parlando di Dio: "quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò".

E’ visto ancora lontano: il Padre non ci lascia mai. Egli custodisce intatta nel suo cuore l’immagine del suo figlio e quella dignità filiale che il figlio ha buttato. Se il figlio può rinunciare alla sua figliazione, il Padre non rinuncia mai alla sua paternità: la sua fedeltà rimane in eterno.

Si commuove: le cause della commozione divina vanno ricercate nel fatto che è stato salvato un bene di incomparabile preziosità, il bene dell’umanità del figlio perduto, della sua dignità.

Gli corse incontro: è il Padre che ti previene colla sua grazia; è Lui che ti cerca; non sei tu che cerchi Lui. E’ venuto Lui incontro a te, inviando nella nostra carne il suo Figlio unigenito perché noi ricevessimo la figliolanza perduta.

3. [L’incontro]. L’incontro è la festa fatta a tavola, nel banchetto. E’ la riammissione completa alla propria dignità perduta. Gesù riconferma Pietro anche dopo il tradimento; riconferma i suoi apostoli che lo avevano abbandonato. Sei riammesso alla tavola del Padre.

Carissimi fratelli e sorelle, questo è l’avvenimento che ci accingiamo a vivere nel Giubileo: essere abbracciati dal Padre con un abbraccio che ci restituisce piena dignità e libertà.