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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Articolo per l’Osservatore Romano
21 settembre 1994


La Chiesa che cosa alla fine dice agli sposi di oggi? Che cosa sta ripetendo durante tutto questo anno? Che può accadere un vero e proprio miracolo nel loro cuore: possono amarsi con un amore indissolubilmente fedele e fecondo.

Di fronte a questo annuncio, l’uomo oggi (ma l’uomo da sempre!) può reagire in tre modi. Egli può pensare che né l’amore coniugale né il dono della vita non siano affatto un miracolo, ma semplicemente una possibilità umana. All’origine di quest’attitudine che genera l’incapacità di stupirsi, sta una concezione riduttiva, molto povera dell’amore coniugale e del dono della vita. L’amore coniugale è ridotto all’attrazione psico-fisica fra l’uomo e la donna; il dono della vita non più visto nel mistero dell’atto creativo di Dio. Questa superficiale visione è sempre destinata a capovolgersi nel suo contrario: non esiste un “miracolo” dell’amore, poiché l’amore coniugale di cui parla la Chiesa è semplicemente irreale; irreale perché impossibile. La noia che nasce dalla mancanza di stupore si trasforma nella disperazione di chi non crede all’amore e al dono della vita.

Ma allora, il “lieto annunzio” della Chiesa non può più essere ascoltato oggi da nessuno? Non certo dall’uomo presuntuosamente annoiato né dall’uomo disperatamente incredulo, ma dal povero. Cioè: l’uomo e la donna che sentono nel loro cuore la profonda nostalgia della loro patria originaria e invocano qualcuno che li riconduca ad essa.

Quale è la loro “patria originaria”? La Sacra Scrittura (Capitolo secondo della Genesi; Cantico dei Cantici) la descrive in modo sublime. È la ricomposizione di un’armonia interiore in forza della quale il corpo diventa il puro linguaggio della persona; è la riscoperta di se stessi come chiamati a realizzarci nel dono; è la costituzione di una comunione personale fra l’uomo e la donna attraverso precisamente il dono.

Quando l’uomo e la donna sentono la profonda nostalgia di questa loro “patria originaria”? Quando e perché nel loro incontrarsi, nel loro voler appartenersi sentono la divisione: la divisione che è il segno inequivocabile di Satana. Una divisione che la nostra (pseudo-)cultura sta esaltando. La divisione del corpo dalla persona e quindi la separazione della sessualità dalla persona porta a togliere ogni intrinseca dignità etica all’esercizio di essa (sessualità). La separazione della sessualità dall’amore nega la presenza di qualsiasi significato originario in essa: puro fatto di cui la libertà può disporre a piacimento.

La separazione della procreazione dall’amore ne giustifica la ormai completa artificializzazione: la procreazione è un processo produttivo. E così il sistema delle divisioni si è ormai concluso: sessualità, amore, procreazione sono tre grandezze non intrinsecamente interdipendenti. È l’esilio, specularmente contrario, dalla patria originaria.

L’uomo e la donna che vivono questa tremenda esperienza sono quei poveri a cui la Chiesa annuncia l’incredibile notizia, colle parole di Isaia: “Parlate al cuore di Gerusalemme e dite che la sua schiavitù è finita” (40, 2-3).

È precisamente questo che la Chiesa oggi dice: la schiavitù è finita. La schiavitù di una sessualità ridotta a gioco o ad evasione; di un permissivismo senza senso; di un’invincibile paura della morte che impedisce la gioia del dono della vita. La Chiesa parla al cuore della persona, poiché solo nel cuore la persona può sentire la povertà che la rende capace dell’invocazione della salvezza.

Ma donde viene alla Chiesa questa certezza che la schiavitù è finita? Dall’esperienza che essa fa del dono dello Spirito che infonde nel cuore la capacità di amare. In fondo, tutto il discorso che la Chiesa rivolge agli sposi si riduce a questo: per il dono dello Spirito, l’uomo e la donna sono resi partecipi dello stesso amore con cui Cristo ha donato se stesso sulla Croce. Al centro della predicazione della Chiesa sta la certezza che il matrimonio è un sacramento.

E il vero miracolo di cui parlavo all’inizio è questo: l’uomo e la donna resi capaci di amarsi con amore indissolubile, fedele e fecondo; resi capaci di donarsi reciprocamente interamente; chiamati a costituire colla loro sessualità coniugale il tempio santo nel quale Dio celebra la liturgia del suo amore creativo.

Si comprende come questa voce possa suonare estranea oggi a molti, soprattutto nella cultura occidentale. Essa, infatti, ha perso completamente il senso del mistero.

È possibile commuoversi ancora, stupirsi ancora di fronte a qualsiasi evento, senza questo senso del mistero? La Chiesa annuncia il più grande mistero, la comunicazione della Spirito all’uomo e alla donna che li guarisce dalla loro incapacità di amare. È l’annuncio della gioia nel deserto della noia; è l’annuncio della libertà nella prigione del permissivismo; è l’annuncio della verità nella disperazione del relativismo. In una parola: è l’annuncio dell’amore come possibilità reale ridonata all’uomo e alla donna.