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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


L’amore umano e coniugale nel piano divino
Adria, 25 gennaio 1992


Vogliamo riflettere sulla natura e sul significato dell’amore umano e coniugale ponendoci nella posizione, nella prospettiva più alta: quella del piano divino. Cioè quella del progetto di Dio sull’uomo: sull’uomo singolo e sull’umanità come tale. È questa la posizione in cui si colloca e deve collocarsi chi intende svolgere una riflessione teologica. Con essa infatti l’uomo vuole semplicemente che la luce stessa di Dio, la sua “scienza”, illumini la ragione umana, diventi scienza umana. E, dunque, che la scienza divina dell’amore umano — ciò che Dio stesso pensa dell’amore umano — diventi nostro sapere e nostro pensiero.

Molti sono i dubbi che possono sorgere dentro di noi a riguardo di un tale progetto di pensiero: è possibile? è significativo per l’uomo? Vorrei che per il momento imponeste silenzio a questi dubbi, ma solo per il momento, perché la nostra riflessione deve subito prendere avvio dal modo sconvolgente con cui Dio ha espresso il suo pensiero sull’amore umano. E sarà questo il primo momento della nostra riflessione.

 

1. Cristo rivela l’amore umano

 

Per rivelare il suo pensiero sull’amore umano, Dio ha amato umanamente: ha vissuto una vera esperienza di amore umano. In questo modo è accaduto l’evento della Rivelazione. Esso è accaduto originariamente nella incarnazione del Verbo e ha raggiunto il suo sviluppo pieno, la sua perfezione, nella morte sulla Croce del Verbo incarnato. Dunque Gesù Cristo, Verbo incarnato, nel suo amore umano, è la Rivelazione di che cosa Dio pensi dell’amore umano medesimo. E poiché l’uomo è a se stesso un insolubile enigma fino a quando non scopre la verità dell’amore, Gesù Cristo svelando l’intera e ultima verità dell’amore, svela all’uomo l’intera e ultima verità dell’uomo.

In questo primo punto vorrei precisamente riflettere sulla rivelazione del pensiero di Dio sull’amore, rivelazione che accade nell’amore umano del verbo incarnato (1, 1.) e su questa stessa rivelazione in quanto svela all’uomo il volto del suo destino, la sua verità intera (1, 2.).

 

1, 1. L’amore umano del verbo incarnato

Se leggiamo senza nessun preconcetto il Vangelo, vediamo semplicemente raccontato il modo con cui Cristo amava, le caratteristiche peculiari del Suo amore. Ma che cosa ha semplicemente sconvolto coloro che contemplarono con occhi semplici questo amore? quale era la forza che irrompeva in esso al punto da trascinare chiunque non opponesse più resistenza? quale era la bellezza che traspariva con tale splendore da attrarre ogni persona che lo incontrasse veramente? Il fatto che in quell’amore umano avesse preso corpo l’amore divino: il “nodo” era precisamente questo. L’amore di Dio si realizzava nella storia concreta di un amore umano: si incarnava nella storia assolutamente singolare di un amore umano. L’amore umano, questa storia concreta di un amore umano veniva elevata a essere il linguaggio dell’amore di Dio.

Si deve qui fare molta attenzione, altrimenti si rischia di passare accanto a questo evento storico, senza neppure sfiorarlo. È per questo che ho insistito a sottolineare che non si tratta dell’amore umano in genere, dell’idea di amore umano. Si tratta di un amore umano assolutamente singolare, della storia dell’amore umano di Gesù: amore cioè che è stato visto, udito, toccato.

Riprendendo il filo della nostra riflessione, se l’evento che stiamo cercando di descrivere è stato da una parte l’umanizzazione dell’amore di Dio, dall’altro è stato anche la divinizzazione dell’amore umano. Alla domanda che l’uomo rivolge, con sobrietà, al Signore: “Che cosa pensi dell’amore umano?” Egli dice: “Ti rispondo mostrandoti il mio modo (quello divino) di amare umanamente”.

Elevato a essere l’amore di una persona divina, l’amore umano ha dovuto, a causa di questa stessa elevazione, essere percorso, attraversato, abitato da una “logica” nuova: quella propria della Persona divina che ama. D’altra parte, però, questa abitazione o presenza (di una logica divina) non brucia la casa in cui viene a collocarsi: l’amore umano del verbo incarnato resta in tutta verità un amore umano e quindi capace di farsi capire dall’uomo. Quale è questa “logica”, questa “verità” intima dell’amore umano del Verbo incarnato (e quindi di ogni amore umano)? È la logica della gratuità assoluta; è la logica dell’obbedienza; è la logica della creatività.

È la logica della gratuità assoluta, in un duplice significato.

È ben noto a tutti come fuori della Rivelazione biblica, l’uomo fosse stato impedito di attribuire l’amore di Dio. L’esperienza dell’amore nota all’uomo era esperienza di una povertà, di un vuoto, di un desiderio tesi a ricevere ricchezza che fosse pienezza di essere e soddisfazione di beatitudine; l’uomo non conosceva altra verità sull’amore che questa. E ne concludeva, rettamente, che Dio non ama, perché semplicemente non può amare senza cessare di essere Dio. L’amore è segno di povertà esistenziale ed è indegno di Dio.

La persona divina inscrive nell’amore umano la gratuità assoluta, trasformandolo in pura donazione di Sè (“non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi“), in immotivata attrazione verso l’altro. Immotivata, cioè, non mossa da niente che non sia la pura decisione di amare: la ragione dell’amore è l’amore stesso.

E qui scopriamo la seconda dimensione della gratuità di cui stiamo parlando. La gratuita esclude qualsiasi necessità razionale, qualsiasi logica necessitante: essa introduce nell’ordine naturale il puro imprevisto e imprevedibile, perché si tratta di qualcosa di inspiegabile. È l’arresto della ragione di cui sopratutto Kierkegaard ha parlato: “ma non è costui il figlio di Giuseppe, di Maria…”.

Fino a quel momento tutto era stato regolare: appunto “secondo le regole”. Ora avviene una rottura nell’ordine quotidiano. Avviene qualcosa che non può essere spiegato in base alle premesse: al suo essere figlio di Giuseppe, di Maria… La gratuità assoluta che la persona divina inscrive nel suo amore umano è lo scandalo della ragione. “È beato chi non si scandalizzerà di me”, poiché se Pietro non supererà lo scandalo di vedere il Maestro inginocchiato davanti a lui per lavargli i piedi, non avrà parte alla vita eterna.

Ma concretamente come si è manifestata questa gratuità assoluta (nel duplice senso suddetto) nell’amore umano del Verbo incarnato? nella non-necessità della Croce!

La fede della Chiesa ci insegna che, in linea assoluta, questa morte non era necessaria per la nostra redenzione: “una sola goccia del suo sangue poteva salvare il mondo intero” scrive san Tommaso. Si ha qui la “esagerazione” dell’amore divino. Che è tale, cioè esagerazione, solo nella luce della misura della nostra razionalità creata. Questa misura dell’amore umano è penetrata dalla misura della persona divina e na resta spezzata: “nimia” charitas (san Paolo), amore eccessivo. Questa rottura si dice nella storia di una passione e di una Morte inutile, cioè non strettamente richiesta da niente, non necessitata da niente. E questa storia di gratuità di fronte alla misura umana sarà giudicata o scandalosa o folle. Oppure essa ha dentro di sé una “logica” nuova, diversa, una “spiegazione” che deve essere cercata altrove: cioè fuori dalla nostra razionalità?

 

È la logica dell’obbedienza la risposta a questa domanda.

L’idea greca dell’estraneità dell’eros/amore a ogni regola ci è rimasta dentro, nonostante lo sforzo tentato varie volte di uscire da questa contrapposizione. L’amore è per sua stessa natura disobbediente, perché e nel senso che come tale non può essere e non accetta di essere regolamentato. Almeno per il nostro moderno sentire, non costituisce l’amore la forma più elevata di spontaneità, la passione trasgressiva per eccellenza, che non si piega né alla prevedibilità dell’ordine come routine, né all’imposizione autoritaria? E del resto, la logica della gratuità assoluta di cui si è parlato poc’anzi non esige forse che l’amore sia improgrammabile, libero, non istituzionalizzato, libero dono?

Eppure, è stato proprio Giovanni, colui che più di ogni altro ha visto la gratuità dell’amore umano del verbo incarnato, a insistere maggiormente sul fatto puro e semplice che questa gratuità è abitata da sempre e per sempre da un’attitudine di obbedienza. Ed è obbedienza a un comandamento ricevuto dal Padre che spinge Gesù a donare la sua vita sulla Croce. Ma non è solo il quarto evangelista a rivelarci questa logica dell’amore umano. Come tutto il nuovo Testamento è percorso dallo stupore di fronte alla completa inspiegabilità della debordante gratuità dell’amore umano di Cristo, così è tutto occupato dalla convinzione che così doveva accadere: “o stolti… non doveva forse il Cristo patire tutto questo?”. La coscienza umana del Verbo incarnato è così profondamente abitata da questa necessità che, quando è dato all’uomo di intravedere ciò che sta per accadere, subito lo stesso uomo è richiamato a questo dover-essere. È Giovanni il Battista, il più grande fra i figli di donna, il primo a intravedere l’incredibile esagerazione dell’amore umano di Cristo: “io ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?” e si sente subito rispondere: “è necessario che ogni giustizia si compia”.

Agostino, che nella tradizione della Chiesa latina ha riflettuto più di ogni altro su questo incontro nella storia del Verbo incarnato di gratuità e necessità, ha fatto una scoperta fra le più grandi: l’ordo amoris. È l’ordine dell’amore: l’ordine che è l’amore e l’amore che è ordine. L’amore ha in sé una sua logica, una sua razionalità, una sua intrinseca necessità. Un grande e geniale continuatore della meditazione agostiniana, sant’Anselmo d’Aosta, parlerà di “ragioni necessarie” che la fede può scoprire nell’amore umano del verbo incarnato.

La fede della Chiesa, radicata come è nella predicazione apostolica, non ha trovato altra spiegazione alla gratuità assoluta dell’amore umano di Cristo, all’infuori dell’obbedienza di Questi al comandamento del Padre: è una gratuità necessitata da un’obbedienza ed è un’obbedienza liberata dalla gratuità.

In altre parole: c’è nell’amore umano vissuto dalla Persona divina del Verbo incarnato una intrinseca bellezza, forma, proporzione. Esso ha in sé una sua propria intelligibilità, la sapienza della Croce, che si lascia scoprire da chi è credente. La sua necessità, bellezza, forma, proporzione si radicano, attraverso l’obbedienza di Cristo al comandamento del Padre, in Dio medesimo. È un’esigenza dell’eternità. “Che differenza” esclama Kierkegaard “da quel gioco di forze del sentimento, dell’istinto, dell’inclinazione e della passione, in breve dell’immediatezza, da quella magnificenza della poesia che canta col sorriso 0 in lacrime, con desiderio o auspicio: che differenza fra questo e la serietà del comando dell’eternità in spirito e verità, in sincerità ed abnegazione”.

 

Perché assolutamente gratuito e rigorosamente obbediente, la Persona divina del Verbo incarnato inscrive nel suo amore umano una potenza creativa, inscrive la logica della creatività: “sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” e “ecco: le cose antiche sono passate, faccio nuove tutte le cose”. Si ha qui la potenza creativa dell’amore umano di Cristo. La persona divina del verbo ci ha redenti, cioè liberati, cioè ri-creati mediante il suo amore umano: un atto della sua libertà umana che ama. Cercherò di balbettare qualcosa su questa dimensione dell’amore umano di Cristo, forse la più misteriosa.

La Sacra Scrittura, e solo essa, ci ha insegnato il concetto di creazione: quando nell’universo dell’essere appare qualcosa/qualcuno di “creato”? che cosa significa essere “creati”? significa essere posti nell’esistenza senza nessuna realtà precedente da cui essere derivati. Colui che crea, non ha bisogno di una materia, di un substrato precedente da cui derivare la sua nuova opera. Ogni creatura è qualcosa di assolutamente nuovo: non ha nessun precedente da cui sia stato tratto.

Orbene, se c’è qualcosa di chiaro nel racconto che i Vangeli fanno della vicenda umana del Verbo incarnato è che, nell’incontro col suo amore, è dato all’uomo di “incominciare da capo”. È qualcosa di sconvolgente tutto questo, sul quale non riflettiamo mai a sufficienza. La convinzione dell’immutabilità di ciò che è stato, del peso insopprimibile delle scelte compiute, appartiene alla natura stessa della persona umana. L’impossibilità della conversione dell’esistenza, l’irrimediabilità di molte situazioni in cui la nostra libertà ci ha radicati e fondati, sono, o sembrano essere, evidenti e indiscutibili: “può forse un uomo tornare al seno materno e rinascere?”. Ciascuno di noi è pronto a sottoscrivere l’ovvia osservazione di Nicodemo. Ma chi incontra il Verbo incarnato, chi sente di essere da Lui amato, sente nello stesso momento che i nodi della sua volontà si sciolgono, che il passato ha perduto ogni peso: è accaduto un atto creativo che ha dato origine a un uomo nuovo. È accaduta una vera e propria rigenerazione, e da essa nasce una nuova umanità: “chi sono mia madre e i miei fratelli…?”. L’amore umano dal Verbo incarnato ha introdotto nel mondo un principio attivo di morte e di vita, che converte l’esistenza e lo ricrea ex novo: “ecco, faccio nuove tutte le cose”.

Esiste una profonda connessione fra amore e creazione, e dentro l’amore umano di Cristo abita una capacità creativa. Esso produce quel “seme” che accolto produce la nuova vita. E ciò è possibile a causa della sua assoluta gratuità. Esso — l’amore umano di Cristo — non è condizionato, motivato (cioè mosso) da nulla: chi ha lavorato una sola ora può ricevere la stessa ricompensa di chi ha lavorato per l’intera giornata. Non condizionato da nessun precedente, non è conseguenza di premesse già poste: Zaccheo salito su un albero solo per poter vedere Gesù, si ritrova Cristo assiso addirittura alla sua tavola. Questo amore gratuito è la novità assoluta che sa creare dal niente, poiché ha in se stesso la sua ragione d’essere:“non posso io fare del mio ciò che voglio?”.

Radicato nel comandamento del Padre, a causa della sua obbedienza al comandamento del Padre, l’amore umano di Cristo fa entrare l’eterno dentro il nostro tempo: il suo amore è un’esigenza dell’eternità. E così “tutto è diventato nuovo”, come scrive san Paolo (1 Cor. 5, 17).

 

Penso che possiamo concludere questa nostra riflessione sulla Rivelazione di Dio riguardante l’amore umano. Che cosa sostanzialmente ho detto? Siamo partiti da questa semplice e grande domanda: che cosa pensa Dio dell’amore umano? Egli ci risponde nell’evento dell’amore umano del Verbo incarnato: possiamo sapere quale è il pensiero di Dio sull’amore umano, guardando come Egli lo ha vissuto. Non poteva risponderci in maniera più chiara. Egli ha vissuto l’amore umano come gratuità assoluta, come obbedienza incondizionata, come fecondità creativa.

A questo punto, allora, alla domanda possiamo semplicemente rispondere: Dio pensa che l’amore umano è gratuità assoluta, obbedienza incondizionata, fecondità creativa.

Ora, nella seconda parte di questo primo punto della nostra riflessione, vorrei riflettere su questo, passando dall’amore umano del Verbo incarnato all’amore umano di ogni persona umana, di ciascuno di noi.

 

1, 2. La verità svelata dell’amore umano

Aprendo questo discorso dobbiamo, prima di tutto, vincere una tentazione e rispondere a un dubbio che ha sempre tormentato l’uomo posto di fronte all’amore umano del verbo incarnato. E il dubbio riguarda precisamente l’umanità di questo amore. Mi spiego. Il dubbio può essere compiutamente formulato nel modo seguente. Delle due l’una. O l’amore umano, in quanto e poiché è vissuto da una persona divina, subisce una tale “metamorfosi” da perdere il suo “logos” umano stesso, e allora non ci dice più nulla sul nostro amore: parla d’altro. Oppure l’amore umano del Verbo incarnato è semplicemente “paradigmatico” o modello o archetipo, in quanto perfettamente espressivo di un’idea di amore umano, e allora esso parla ancora di amore umano, ma di amore umano ideale, non reale. Il risultato è nei due casi uguale: l’amore umano di Cristo non ha nulla a che fare col vero amore umano. È altrove che l’uomo deve scoprire l’intima verità, l’intimo significato del suo amore.

Non voglio fermarmi lungamente sulla risposta a questo dilemma. Mi limito al nucleo essenziale: chi ha incontrato, chi ha sentito l’amore umano di Cristo ha vissuto un’esperienza che non è descritta da nessuno dei due corni del dilemma precedente. Datur tertium: il dilemma precedente è completamente fuori dalla realtà. E il tertium è costituito dal fatto che nell’incontro con l’amore di Cristo i discepoli hanno sentito sorgere nel proprio cuore qualcosa che “non è mai sorto nel cuore di nessun uomo” (1 Cor. 2, 9), qualcosa di completamente nuovo. Ma nello stesso tempo, è la loro umanità che è stata ritrovata: “...era stato perduto e ora è ritrovato”. Essi, come dirà uno scrittore del secondo secolo, continuano a vivere nelle stesse professioni, leggi, paesi di prima. È per questo che l’amore umano del verbo incarnato — e solo esso — rivela l’intera verità dell’amore umano di ogni persona e il volto del suo destino. E ora è su questo che vorrei brevemente riflettere: in Cristo, Dio pensa e ha rivelato che l’amore umano è gratuità assoluta, obbedienza incondizionata, fecondità creativa.

 

L’amore umano è gratuita assoluta

Si entra così subito nel groviglio più profondo dell’esistenza. Gratuità si oppone a necessità; gratuità si oppone a casualità: gratuità è libertà. Si oppone a necessità. L’amore umano del Verbo incarnato ci ha svelato la possibilità che nel nostro universo accada qualcosa di nuovo: che non tutto è predeterminato, che non esiste fatalità, che il nome del destino umano non sta scritto nella concatenazione di una universale e impersonale necessità. L’atto dell’amore, nella sua imprevedibile novità, è la forma più alta della libertà: si è liberi per amare. Questa intima libertà dell’amore non lo riduce, non riduce la sua vicenda a casualità. Al disordine. Ritroviamo, vedete, il concetto dell’amore come ordine, sul quale rifletteremo fra breve. Ciò che preme ora sottolineare è altro. La contraffazione più spudorata che si sia compiuta della gratuità assoluta dell’amore è stata l’idea tutta moderna di libertà come possibilità di tutte le possibilità: la contraffazione più spudorata è rappresentata dal Don Giovanni. La gratuità è contraffatta e corrotta in un rifiuto di ogni definitività, di ogni coerenza interiore. L’atto dell’amore è imprevedibilmente nuovo, perché non è casuale. Esso ha in sé la sua intima spiegazione. È per questo che l’amante vero trova nell’amore la sua beatitudine, il Don Giovanni trova alla fine solo la noia; l’amore vero esalta il gusto di vivere; la pseudo-gratuità spegne la gioia di vivere.

 

L’amore umano è obbedienza incondizionata

Nell’obbedienza l’amore umano si inserisce nell’eterna sapienza di Dio, nell’ordine della Sapienza divina (ordo divinae Sapientiae). A causa di questa obbedienza, l’amore umano non ha più se stesso come referente ultimo, non ha più in se stesso la sua giustificazione ultima, come l’amore romantico. L’obbedienza lo garantisce contro ogni alterazione, lo libera e lo assicura contro la noia e la disperazione.

Ma si deve intendere bene di che cosa stiamo parlando ora, parlando di obbedienza come forma dell’amore: è facile equivocare su questo punto.

Siamo stati abituati a pensare per contrapposizione fra regola ed amore, ritenendo questa spontaneità improgrammabile. “Unica oasi di vegetazione spontanea che la volontà ha rinunciato a coltivare” (R. Bodei). È necessario che ci spogliamo completamente di queste fatue rappresentazioni pseudo-contrapposizioni, per vedere le cose come realmente stanno.

La nostra esperienza ci dice che l’amore è sempre stato come un tendere verso qualcosa, un “essere attratti” da un bene. La gerarchia che esiste nell’universo del bene stabilisce una gerarchia nell’amore: l’ordo bonorum (l’ordine dei beni) genera l’ordo amoris (l’ordine dell’amore). La bontà, ordinatamente partecipata dal bene stesso che è Dio a ogni creatura, genera l’amore ordinatamente corrisposto a tutto ciò che è, nella misura in cui è degno di essere amato. Non dice forse Dante all’inizio del Paradiso: la Gloria di colui che tutto move/ per l’universo penetra e risplende/ in una parte più e meno altrove? La più potente e suggestiva descrizione del principio stesso che genera l’ordine dell’amore è stato formulato da san Tommaso, quando scrive: “è necessario che esista un ordine fra gli esseri che noi amiamo ed è fondato sulla relazione (di ciascuno di essi) al primo principio di questo amore che è Dio stesso” (2, 2, q. 26, a. 1).

L’ordine intrinseco all’amore può essere espresso in questo modo: “ama tutto ciò che è, nella misura in cui ciascun essere è degno di essere amato”. Provenendo questa “dignità” dal suo essere partecipe dell’Essere stesso divino, l’amore ordinato vede in ciò che ama sempre la presenza di una Luce che trascende l’amato e lo inabita nello stesso tempo: diventa cioè amore della bellezza. Di una Bellezza che non è di questo mondo e che, tuttavia, fa splendere (come dice Dante nel passo citato) le cose come dal loro interno e fa esclamare alla persona che ama nei confronti della persona che ama: “come è bello che tu ci sia!”.

Quando l’amore umano perde questo ordine, quando cioè comincia ad amare qualcosa/qualcuno meno o più del dovuto, quando comincia a godere di ciò che deve usare e a usare di ciò di cui deve solo godere, allora si corrompe nella sua stessa natura . Da “amore” si corrompe in “cupidigia” o “concupiscenza”. “Chi fa la volontà del Padre rimane in eterno”, poiché il mondo con tutta la sua concupiscenza, passa. È questo il radicarsi nell’eternità di cui abbiamo parlato.

 

L’amore assolutamente gratuito ed ordinato è sempre fecondità creativa

L’amore così inteso produce sempre il bene: fa essere. “Possunt fieri nova, quae neque antea facta sint nec tamen a rerum ordine aliena sint” (De civitate Dei 12, 21), esclama sant’Agostino criticando sia il fatalismo di chi nega la possibilità stessa della novità che è insita nella libera gratuità dell’atto d’amore, sia il casualismo di chi nega l’esistenza stessa di una bellezza intelligibile che rifulge nell’universo stesso dell’essere. Non è ripetizione, non è disordine: la novità non consiste nel disordine sregolato, l’ordine non consiste nella ripetizione disperata. In questo sta la fecondità creativa dell’amore umano.

A me sembra che uno dei modi con cui la Rivelazione ci ha suggerito questa dimensione dell’amore umano è stato il rinnovarsi costante, a ogni svolta della storia della salvezza, di un fatto: il dono della maternità alla sterile. Sara, Rachele e Lia, le madri d’Israele, sono divenute madri in questo modo. Così come Anna, la madre di Samuele ed Elisabetta, la madre di Giovanni il Battista. La loro carne era morta e ferree leggi fisiche impedivano che essa fiorisse nel dono della vita. Abramo ha creduto che Dio poteva anche far risorgere un morto. Queste donne hanno radicato il loro essere nella potenza stessa creativa di Dio e sono divenute feconde. La loro carne è stata attraversata dalla stessa potenza creativa di Dio: “possunt fieri nova”, possono accadere cose nuove.

 

Possiamo concludere questo momento della nostra riflessione. Che cosa abbiamo detto, in sostanza? L’amore umano del verbo incarnato svela all’uomo la verità intera del suo (dell’uomo) amore. E nella rivelazione che fa dell’amore, il Verbo incarnato svela anche il nome del destino umano: quello di essere predestinato a essere in Cristo come Cristo, nella bellezza di un amore gratuito, ordinato e fecondo.

Ma con ciò già siamo entrati nel secondo e ultimo momento della nostra riflessione, quello finalmente dedicato all’amore coniugale: all’amore coniugale nel piano divino della creazione e della salvezza.

 

2. L’amore coniugale nel progetto divino

 

La riflessione che abbiamo svolto nel punto precedente, può condurci, se non stiamo attenti, in un vicolo cieco: dentro una situazione esistenziale insopportabile. Per quale ragione? Vediamolo.

La nostra domanda di verità sull’amore umano rivolta a Dio stesso, trova la sua risposta nell’amore umano del verbo incarnato. Nel mistero, quindi, di questo amore umano l’uomo scopre la verità del suo amore. Arrivati a questo punto, qualcuno potrebbe pensare (e qualcuno lo ha pensato, ieri e oggi) che l’uomo resti in realtà consegnato a se stesso, alla sua libertà: a un “se stesso” che è stato illuminato dalla luce del verbo incarnato, a una libertà alla quale è stata indicata la strada che deve percorrere se vuole vivere un’esperienza di vero amore. Insomma, la funzione — se così possiamo dire — del verbo incarnato sarebbe quella del maestro che ci istruisce, sia pure non solo con le parole, ma anche con la sua vita.

Così consegnato a se stesso, l’uomo non tarderebbe molto a rendersi conto di avere un compito impossibile, di essere chiamato a qualcosa di concretamente impossibile. Il verbo incarnato non si limita a mostrarci nel suo amore umano un modello del nostro amore umano; anzi non fa soprattutto e in primo luogo questo. È in questo contesto che dobbiamo riflettere sull’amore coniugale.

È noto che la Sacra Scrittura si apre con una profonda e suggestiva descrizione della prima coppia, dell’amore coniugale. L’autore della lettera agli Efesini ci rivela che quanto viene detto in quella prima pagina è da mettere in relazione con quanto è accaduto sulla croce: l’amore coniugale è intrinsecamente orientato all’amore umano del Cristo che dona se stesso sulla Croce. Che cosa significa “intrinsecamente orientato”? Significa che l’amore coniugale porta impressa in se stessa una profonda partecipazione all’amore umano del Verbo incarnato e lo riesprime realmente, anche se limitatamente. In una parola: significa che l’amore coniugale è “sacramento” dell’amore stesso di Cristo che dona se stesso sulla Croce. Tutto ciò che abbiamo detto dell’amore umano di Cristo, la sua misteriosa verità e la sua triplice essenziale dimensione, si imprime, si partecipa nell’amore coniugale, elevando questo a essere linguaggio dell’amore divino dentro la storia quotidiana degli uomini.

La gratuità, l’ordine, la fecondità creativa dell’amore umano del Cristo sono partecipati all’amore coniugale realmente anche se limitatamente. È in questa partecipazione che consiste la salvezza dell’amore coniugale, che consiste tutta la novità del matrimonio cristiano.

Possiamo ora renderci conto meglio dell’errore di chi pensa che fra l’amore umano di Cristo e l’amore coniugale esista solo un rapporto di estrinseca somiglianza e che all’uomo sia chiesto di avvicinarsi al modello il più possibile. Se così fosse, nulla in realtà sarebbe accaduto nell’amore coniugale: che Cristo sia morto o non sarebbe indifferente. L’unica diversità sarebbe che ora l’uomo conoscerebbe meglio i suoi doveri: ben scarsa consolazione! anzi, nulla. Sarebbe la condanna alla disperazione. Ma ora Cristo ha reso partecipe del suo amore stesso quell’amore coniugale che attendeva, fin “dal principio”, Lui come sua verità piena e perfetta realizzazione.

Ma per essere meno astratti, tutto questo significa una trasformazione interiore della volontà dell’uomo e della donna, rendendoli capaci di quella gratuità, di quell’ordine, di quella fecondità che costituiscono l’amore. Sono resi capaci di donarsi nella gratuità assolutamente libera, nell’ordine dell’obbedienza, nella fecondità procreativa di nuove persone umane.

Ci siamo chiesti: che cosa pensa Dio dell’amore umano? La risposta è stata: il pensiero di Dio sull’amore umano è Gesù Cristo. Ora possiamo precisare la domanda: che cosa pensa Dio dell’amore coniugale? La risposta anche si precisa nel modo seguente: Dio pensa all’amore coniugale come “sacramento” (partecipazione, simbolo reale) dell’amore umano di Cristo che dona se stesso sulla Croce.

Ma la domanda sull’amore coniugale nel progetto divino può avere anche un’altra portata, un altro significato molto connesso con quello precedente: perché Dio ha voluto che proprio l’amore coniugale fosse “sacramento” dell’amore umano di Cristo? quale significato ha questa misteriosa decisione del Padre di predestinare gli sposi ad essere “simbolo reale” dell’amore dell’Unigenito? Mi sembra che la Chiesa non abbia ancora trovato una risposta completa a questa domanda: su essa ha meditato lungamente soprattutto in questi anni.

Partiamo da una constatazione molto semplice ma suggestiva. L’amore coniugale è un amore fisico, nella carne: il suo linguaggio è il linguaggio del corpo. E così, nell’amore coniugale l’evento della salvezza raggiunge pienamente questo mondo, si incarna nel senso più letterale del termine. Nel disegno del Padre non ci sono dualiste contrapposizioni. La creazione è la sua creazione ed è pienamente redenta. La gratuità assoluta, la bellezza dell’ordine e la fecondità creativa non si situano fuori della carne: esse la inabitano, in essa e attraverso di essa rifulgono. Che il corpo degli sposi diventi sacramento dell’amore con cui il verbo incarnato ha amato, è la più radicale condanna di ogni forma di manicheismo e gnosticismo. Dio ha voluto che l’amore coniugale fosse sacramento dell’amore umano per riverlarci il suo amore per la creazione e dirci come dentro essa si pone la salvezza eterna.

 

Conclusione

 

“È questo il momento della vita, o caro Socrate — disse la straniera di Mantinea — che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un uomo, ossia il momento in cui un uomo contempla il Bello in sé... Che cosa, dunque, noi dovremmo pensare — disse — se a uno capitasse di vedere il Bello in sé assoluto, puro, non mescolato, non affatto contaminato da carni umane... ma potesse contemplarlo come forma unica lo stesso Bello divino? O forse tu ritieni — disse — che sarebbe una vita che vale poco, quella di un uomo che guardasse là e che contemplasse quel Bello con ciò con cui deve contemplare e rimanesse unito ad Esso” (Platone, Simposio, 211 D - 212 A).

“Ciò che i nostri occhi hanno visto… le nostre mani hanno toccato ve lo annunciano… e la vostra gioia sia piena” (1 Gv. 1, 1 ss). È difficile descrivere con tanta chiarezza due esperienze umane così simili, per un certo aspetto, e così dissimili fra loro.

Chi ha scritto le due pagine ha vissuto in tutta la sua intensità il desiderio che costituisce l’identità stessa dell’uomo, che lo definisce: il desiderio non di un po’ o di tanta beatitudine, ma della beatitudine come tale nella comunione colla Bellezza. Ambedue consapevoli che il male dell’uomo non è di desiderare troppo, ma di desiderare poco e di volere abbreviare la propria speranza.

Ma nel momento in cui i due iniziano il cammino del compimento del loro desiderio, le loro strade prendono direzione semplicemente opposte. Il Bello in sé non può essere contaminato da carni umane e, pertanto, il desiderio dovrà spingersi fuori da questo mondo: un itinerario di progressivo esilio dalla nostra quotidiana vicenda. Il Bello in sé è divenuto carne e abbiamo visto la sua gloria, il suo splendore che rifulge in questa carne. E, pertanto, il desiderio di godere pienamente di questa Bellezza e di bearti del suo splendore deve spingerti dentro questa storia del Verbo fatto carne: un itinerario di inserimento sempre più profondo dentro questa vicenda.

L’amore coniugale è il “sacramento” di questo evento: nel loro amore, il cui linguaggio è il corpo, gli sposi che hanno creduto sentono la presenza di un amore che li supera e li costituisce sposi, nello stesso tempo. E ritrovano in se stessi, gradualmente, l’originaria libertà del puro gratuito, la bellezza dell’ordine, la gioia della vita donata: ritrovano quella conformità al verbo incarnato, in vista del quale sono stati creati.