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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


L’ALFABETO CRISTIANO
Trasmesso a Telestense durante la Quaresima 1997


La rubrica ALFABETO CRISTIANO, che ho chiesto a Telestense di poter trasmettere, è molto semplicemente la spiegazione di alcuni termini-chiave del vocabolario cristiano, fatta seguendo le lettere dell’alfabeto. La prima puntata va da A ad I. Le parole spiegate saranno: amore, bene, coscienza morale, Dio, elemosina, fede, Gesù, indifferenza.
Dopo le celebrazioni pasquali, riprenderemo dalla lettera L.
Le ragioni di questa decisione sono molte. Mi limito a due. Il linguaggio cristiano sta diventando un linguaggio sempre più incomprensibile alla maggior parte della gente. L’incomprensibilità trova la sua spiegazione ultima nel fatto che molti non vivono più l’esperienza cristiana. La parola infatti è comprensibile quando esprime ciò che si vive. Era necessario quindi ripartire precisamente dall’abc del discorso cristiano, nel modo più semplice e nello stesso tempo il più vicino possibile alla quotidiana esperienza del nostro popolo. Inoltre mi sembra che una delle disgrazie principali del nostro tempo sia che non chiamiamo più le cose col loro nome. Il cominciare a farlo con le “cose cristiane” mi sembrava il primo e fondamentale passo verso una comprensione reciproca più intensa.


A come  amore

Uno dei più grandi scrittori di questo secolo, Franz Kafka, ha scritto: “Viviamo in un’epoca malvagia: lo si vede prima di tutto dal fatto che niente viene più chiamato con il suo nome preciso”.
 Allora ho pensato di fare cosa utile presentandovi un piccolo alfabeto cristiano. Mi spiego. Procederemo secondo l’ordine alfabetico, e per ogni lettera dell’alfabeto spiegherò una parola chiave della lingua cristiana. Spero così di rendervi più comprensibile il discorso cristiano. Lo spazio ed il tempo ci costringeranno però a omettere alcune lettere.
 La prima lettera A ci porta a spiegare il senso di una parola chiave nel discorso cristiano: AMORE. Se facciamo un po’ di attenzione alla nostra esperienza quotidiana, vediamo che ci sono tre modi possibili di volere qualcosa.
 Voglio qualcosa perché mi piace: il fumatore fuma a causa del piacere che gli procura la sigaretta. In questo senso diciamo: ama fumare. Sarebbe giusto dire: gli piace fumare. Voglio qualcosa perché mi è utile: siamo disposti a subire un intervento chirurgico, perché ci è utile anche se è spiacevole. Pensiamo ora al momento sublime in cui alla donna viene mostrato per la prima volta il suo bambino. Ella non pensa, non dice: “come mi piace che tu esista!”, né dice: “come mi è utile che tu esista!” Pensa e dice: “come è bello, come è bene che tu ci sia!” Ecco che cosa è l’amore. E’ volere che l’altro esista non per il mio piacere, non per la mia utilità: semplicemente perché giudico che è bello, che è bene che lui ci sia. L’amore è volere semplicemente il bene dell’altro senza alcun mio interesse. E’ possibile amare; qualcuno allora potrebbe chiedere, se amare significa questo?
Prova a pensarci bene. Vedrai che è possibile: la persona che dona la sua vita per i più poveri; i momenti di profonda comunione che vivi col tuo sposo/sposa. Sono lo stupendo avvenimento dell’amore. Se l’amore non fosse possibile, non varrebbe semplicemente la pena di vivere.

 B come  bene

La parola bene è strettamente legata colla parola già spiegata: amore. Sono state date tre spiegazioni di questa parola.
Il bene è ciò che ti piace. Poiché ciascuno ha i propri gusti, esistono tante concezioni di bene quante sono semplicemente le persone. Non si può dire che cosa sia vero o falso bene.
Il bene è ciò che ti è utile. I criteri per discernere ciò che è bene da ciò che è male, se accettiamo questa spiegazione, sono più chiari. Ci sono comportamenti che sono certamente dannosi, anche se piacevoli, come per esempio bere smoderatamente alcol. Dunque, il bene è solo una questione di piacere e/o di utilità?
Proviamo a fare una riflessine molto semplice. Quando S. Massimiliano Kolbe chiede ed ottiene di essere bruciato in una camera a gas al posto di un padre di famiglia, chiede qualcosa di piacevole? Non è piacevole essere bruciati vivi. Chiede qualcosa di utile? Chiedere di essere uccisi è chiedere la cosa a noi più dannosa. Non chiede nulla di piacevole, nulla di utile e quindi non chiede una cosa buona! Sono sicuro che tutti vi ribellereste a questa conclusione. Perché vi ribellate dentro di voi? Precisamente perché “sentite” che esiste un bene che non è semplicemente ciò che piace o ciò che è utile.
 Che cosa è questo bene? È ciò che è degno di essere voluto in se stesso e per se stesso: sono le azioni che manifestano una bellezza, una nobiltà della persona. E’ degno di una persona umana dare la propria vita per salvare un altro, dare a ciascuno il suo, beneficare chi è nell’indigenza. E quindi è bene dare la propria vita per salvare un altro, dare a ciascuno il suo, beneficare chi è nell’indigenza. In una parola: il bene è ciò che corrisponde alle esigenze della persona umana.
Ciascuna di queste tre spiegazioni della parola bene genera un modo di vivere personale e sociale molto diverso l’uno dall’altro. Se il bene è ciò che ti piace, vivrai dominato dall’edonismo; se il bene è ciò che è utile, vivrai dominato dall’utilitarismo: il tuo interesse sopra tutti e tutto. Se il bene è ciò che corrisponde alle esigenze della persona umana, vivrai ispirato dal senso di rispetto della dignità della tua persona e dell’altro.

C come  coscienza morale

Spiegando la parola bene, abbiamo detto: il bene è ciò che corrisponde alle esigenze della persona umana. Voi capite subito allora quanto sia importante sapere che cosa è bene - che cosa è male. Certamente è assai importante per noi sapere che cosa ci è utile - che cosa ci è dannoso: un cibo, un ambiente e così via. Ma sapere che cosa veramente è degno della persona umana e che cosa è contrario alla sua dignità, è la conoscenza che sta alla base di ogni vera vita umana, di ogni vera civiltà degna di questo nome. Abbiamo un occhio del corpo che ci fa discernere distintamente, se è sano, gli oggetti in modo da poterci muovere senza subire danni. Abbiamo anche un occhio dell’anima che mi fa discernere se l’azione che sto compiendo è degna o indegna di una persona umana, in modo da poter agire senza deturpare la mia dignità di persona.
Quest’occhio si chiama coscienza morale. Essa allora è quel giudizio della nostra ragine mediante il quale, prima di agire, io conosco la qualità dell’azione che sto compiendo. Quale qualità? Non se essa mi farà guadagnare o perdere; non se essa mi procurerà piacere, onore o potere. Ma se essa è degna o indegna della persona umana che io sono. Dunque: è la coscienza che ci preavverte se sto comportandomi da vero uomo o se sto tradendo, deturpando la mia dignità. Essa è la sentinella che veglia per avvertirmi se sta avvicinandosi il principale nemico dell’uomo: la rinuncia alla propria dignità. A chi è inviato questo messaggio? Alla libertà che potrà ascoltare (seguire) o non ascoltare (non seguire) la coscienza.
L’occhio del corpo ha bisogno della luce per vedere: anche la coscienza ha bisogno di luce. Quale è la luce della coscienza? E’ assurdo rispondere: è la coscienza stessa. Sarebbe come dire che l’occhio si fa luce da solo. La luce della coscienza è quella legge che ciascuno di noi scopre in se stesso e che non è lui a darsi, ma alla quale egli si sente profondamente vincolato. Questa voce, che lo chiama sempre a fare ciò che è bene ed a evitare ciò che è male, illumina la coscienza così che questa può discernere ciò che conviene e ciò che disdice all’uomo.
 
D come  Dio

Ci sono delle domande che non possiamo eludere: si impongono con una tale forza che ci costringono a rispondere. Fra queste ce ne sono due formidabili. Esse nascono dalla constatazione di un fatto talmente ovvio da risultare quasi banale: noi siamo al mondo senza aver mai deciso di esserci. Cioè: nessuno ci ha chiesto il permesso di venire al mondo. Una tale ovvietà nasconde in sé due formidabili interrogativi. Il primo: chi ha deciso che io ci sia? Non rispondete: i miei genitori. E’ una risposta falsa. I tuoi genitori hanno deciso di avere un bambino/una bambina. Ma che il bambino o la bambina da loro voluto fossi tu, proprio tu, non lo hanno deciso loro. Chi allora? un caso? Esisti per caso? Penso che nessuno è disposto ad accettare una tale risposta: se esisti per caso, tutta la tua vita  è priva di significato. Quando il vocabolario cristiano usa la parola Dio, intende precisamente rispondere a questa domanda. Tu sei stato voluto, tu esisti perché una Potenza infinita di Amore ti ha pensato ed amato: Dio.
Ma ci portiamo dentro una seconda domanda: e in vista di che cosa esisto? Come finirà la mia vita? In un nulla eterno? Ciascuno di noi, nel suo cuore, ancora una volta si ribella a questa soluzione. Se tutto finisce, che senso ha alla fine scegliere di essere onesto piuttosto che ladro? Ma noi sentiamo che questa distinzione ha un senso indistruttibile. Quando il vocabolario cristiano usa la parola Dio, intende precisamente rispondere a questa seconda domanda: Dio è il fine ultimo della tua vita. Chiamato da Lui all’esistenza, Egli sarà la tua beatitudine infinita. A dire il vero però questo significato della parola Dio, il vocabolario cristiano lo condivide col vocabolario ebraico e col vocabolario mussulmano. Esiste un significato propriamente  cristiano, che ci è stato rivelato da Gesù. Dio significa  la divina persona del Padre: Dio è il Padre di misericordia, che ci ha creati per puro amore predestinandoci a vivere con Lui nella sua felicità eterna e che, sentendo compassione per la nostra miseria, ha inviato Gesù che ci redime dalla nostra miseria. Nel vocabolario cristiano, Dio significa questo.

 E come  elemosina

Non vi meravigliate se fra le parole-chiavi del vocabolario cristiano ho scelto anche la parola “elemosina”. Perché è una parola chiave? Perché essa significa in modo perfetto il modo con cui il cristiano possiede le ricchezze, amministra le sue proprietà, gestisce i suoi denari. In una parola: la sua attitudine profonda verso le ricchezze.
Nel linguaggio cristiano, elemosina significa “far parte delle proprie ricchezze a chi si trova nel bisogno”. Non pensate solo, anche se spesso la parola è stata presa in questo significato, al gesto di prendere un po’ di denaro dalle vostre tasche e darlo al povero che incontrate per strada. Elemosina non significa solo questo. Significa, ripeto “far parte delle proprie ricchezze a chi si trova nel bisogno”. Perché nel costume cristiano, questo è ritenuto così importante? Per ragioni varie che ora cercherò di esporvi brevemente.
In primo luogo, i beni di questo mondo, tutta la ricchezza che il Signore nostro Creatore ha messo a nostra disposizione, è destinata a tutti gli uomini. Questa destinazione universale dei beni non deve essere praticamente distrutta dal pur legittimo diritto di proprietà privata. Possedere in proprio i beni di questo mondo (case, terreni, denaro) è legittimo, ma quando - per qualsiasi ragione - questo diritto viene esercitato in modo tale che di fatto vengono escluse persone dal necessario per vivere, tu devi far parte dei tuoi beni ad esse. Altrimenti tu rubi, nel senso che trattieni per te dei beni - sia pure guadagnati onestamente - che appartengono ai poveri. Tenere per sé quei beni sarebbe come se tu andando allo stadio volessi da solo occupare più di un posto, costringendo altri a stare in piedi. Non sarebbe stolto? Non ti basta un posto?
E qui scopriamo la seconda ragione per cui “elemosina” è una parola-chiave del vocabolario cristiano. Essa è il nemico numero uno del nostro egoismo. Egoismo significa affermare se stessi, i propri interessi a spese degli altri o perfino contro gli altri. L’egoismo quindi si nutre sempre di orgoglio. Il segno di quest’auto-affermazione è il possesso di molto denaro. L’elemosina distrugge tutto questo. Non si tratta di impoverire noi per arricchire gli altri: ma di fare uguaglianza.

F come  fede

E’ talmente importante questa parola nel vocabolario cristiano che spesso nel linguaggio comune viene usata per indicare semplicemente tutto il cristianesimo: non si dice infatti “fede cristiana”? e spesso per dire che una persona è un vero cristiano, si dice “è un uomo di grande fede”.
 Fede o credere significa, in generale, “ritenere per vero qualcosa sulla base della testimonianza di un altro”. In questo senso, la fede accompagna un po’ tutti i nostri rapporti sociali. Probabilmente molti di voi, cari ascoltatori, non sono mai stati in Australia. Tuttavia nessuno di noi dubita che esista il continente australiano, sulla base della testimonianza di chi c’è stato. Ma ci sono rapporti fra le persone che sono molto più seri ... della esistenza dell’Australia. Voi un giorno non vi siete sentiti bene. Siete andati dal vostro medico: avete parlato, vi ha visitato ed infine vi ha fatto la diagnosi e vi ha prescritto la cura. E voi avete accettato. Forse perché voi ne sapete come il medico? No, certamente. Ma avete fiducia in lui e quindi avete pensato che la sua diagnosi era vera e la cura giusta. In una parola: avete creduto in lui. Allora, credere significa: “ritenere per vero ciò che una persona mi dice semplicemente a causa della fiducia che nutro nei suoi confronti”. Fiducia è una parola-chiave per capire che cosa è la fede. Fiducia significa che voi ritenete quella persona competente, e quindi pensate che non si sbaglia, chi vi dice la verità e quindi che non vuole ingannarvi.
Guardate ora che cosa meravigliosa è il cristianesimo. Esso ti dice: Dio ti ha parlato (spiegando la parola successiva vedremo che cosa ha detto) e ti ha svelato uno stupendo progetto riguardante la tua esistenza. Di fronte a questa Parola che Dio ti dice tu puoi dire: non mi interessa, cioè rimanere indifferente; oppure puoi dire: non può essere vero tutto questo discorso, cioè rifiutare di accettarlo; oppure puoi dire: “tutto quanto mi dici, o Signore, lo ritengo vero anche se è talmente grande che non riesco a comprenderlo, ma sono sicuro che tu non mi inganni e quindi mi fido di te”. Ecco questa è la fede! Credere significa: affidarsi personalmente al Signore che si rivela e quindi ritenere vero ciò che mi dice. E’ adesione alla persona e alla verità: alla verità per la fiducia che si accorda alla persona che l’afferma.

G come  Gesù

Nella nostra spiegazione del vocabolario cristiano siamo arrivati al termine-chiave di tutto il cristianesimo, al Nome che è al di sopra di ogni altro nome, Gesù. Il cristianesimo, a differenza di tutte le religioni, non è una dottrina da imparare e da mettere poi in pratica né i cristiani sono coloro che appresa quella dottrina, cercano di vivere in conformità ad essa. Il cristianesimo in realtà è una persona, Gesù Cristo, e i cristiani sono coloro che decidono di credere a Lui e di vivere con Lui. Voi allora capite bene che sapere chi è la persona a cui è stato dato il nome di Gesù, equivale semplicemente a sapere che cosa è l’intero cristianesimo. Gesù è un nome ebraico e significa “Dio salva”. Attraverso il nome sappiamo chi è Gesù e quale è la sua missione.
Chi è? È Dio stesso che si è fatto uomo. Non cessando di essere Dio, ovviamente: questo è impensabile. Non si è fatto uomo solo in apparenza: veramente uomo. Dio ha vissuto veramente la nostra vita umana: è stato concepito nel corpo di una donna come ciascuno di noi e vi è rimasto nove mesi; è nato ed ha vissuto lavorando, soffrendo e godendo come noi. Ecco chi è Gesù: Dio fatto uomo. In queste tre parole Dio - fatto - uomo, è racchiuso tutto il cristianesimo.
Ma la parola “Gesù” non significa solo “Dio”. Significa: Dio salva. Perché Dio si è fatto uomo? Per salvarci. Quando noi parliamo di salvezza, pensiamo subito a pericoli dai quali siamo liberati, a situazioni così disperate dalle quali non c’erano vie d’uscita. Ed allora diciamo: “mi hai proprio salvato” cioè tolto da quel pericolo, fatto uscire da una situazione disperata. Ebbene questa è la nostra condizione. Non penso a pericoli del tipo, fallire economicamente o perdere il lavoro, o a situazioni disperate del tipo malattie senza rimedio o debiti cui non si riesce più far fronte. Penso al rischio di vivere senza più sapere per quale ragione vale la pena di vivere: è il rischio di vivere invano. Dio salva: Egli si è fatto uomo per impedirti di vivere invano, di perdere non ciò che hai, ma ciò che sei.
Quando tu dici “Gesù”, tu dici: Dio mi salva.

 I come  indifferenza

Un grande genio del cristianesimo immagina uno strano dialogo fra due persone che stanno facendo una singolare scommessa. Sentite: “ - O Dio esiste o Dio non esiste. Per quale di queste due ipotesi volete scommettere? - Per nessuna delle due. La risposta giusta è non scommettere affatto. - Vi sbagliate. Scommettere è necessario, non è affatto facoltativo. Anche tu sei incastrato”. Dunque, di fronte alla domanda: Dio esiste o Dio non esiste? Si può rispondere: Dio esiste; oppure: Dio non esiste; oppure: “non mi interessa affatto, perché tanto che Dio esista o Dio non esista la mia vita non cambia”. Quest’ultima risposta è ciò che chiamiamo l’indifferenza. Essa consiste nel non prendere neppure in esame la questione, pensando che essa non ha nessuna importanza per la vita. Ora non esiste un atteggiamento più sbagliato di questo. Per la seguente ragione: se tu rifiuti di rispondere, ti sei già di fatto impegnato in una risposta, senza saperlo. Avviene come per la morte: forse perché non ci pensi, non muori? La morte è una necessità che ci portiamo dentro. La questione religiosa è così radicata nella nostra condizione umana che non puoi non risolverla, ed allora tanto vale risolverla consapevolmente, affrontandola da persone ragionevoli.
Ma chi è indifferente contesta precisamente questa ineludibilità della questione religiosa e ti dice: è una questione inutile. E questo è il più pericoloso errore in cui una persona possa cadere.
Che cosa significa questione religiosa? Non significa chiedersi se alla domenica devo o non devo andare a Messa o cose simili. Significa sapere se è vero che ciascuno di noi è “un pacco, un campione senza valore, spedito dall’ostetrico al becchino”; prima dell’ostetrico, il niente assoluto; dopo il becchino, il nulla eterno. Nulla prima, nulla dopo e noi come un ombra che si agita molto per qualche istante. E’ vero tutto questo? Tu puoi rispondere: “no, non è vero” e così dicendo tu affermi che Dio esiste. Tu puoi rispondere: “si, è vero” e così dicendo tu neghi che Dio esiste. Ma non puoi rispondere: “non mi interessa”, perché si tratta precisamente di te, non di altri. Vedi come la questione di Dio è precisamente la questione sulla tua vita. Tu puoi dire che non ti interessa solo se decidi semplicemente di vivere, senza voler sapere niente sulla vita. Cioè: di vivere come vivono le piante e gli animali. Certo puoi decidere di farlo: ma che cosa perdi!