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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Procreazione responsabile, amore umano e ministero pastorale
Lezioni al presbiterio di Carpi
Affi (VR), 6 novembre 2002

Il tema generale che occuperà oggi la nostra riflessione è al contempo di importanza fondamentale nel nostro ministero sacerdotale e di grande difficoltà teoretica: sia in sé considerato sia in ragione del contesto culturale in cui viviamo. Sarebbe una grave negligenza pastorale quella di risolverlo ignorandolo.

Per dare ordine al mio discorso lo dividerò in quattro parti. Nella prima parte farò un’esposizione della dottrina della Chiesa in tema di procreazione responsabile; nella seconda parte cercherò di far emergere i fondamenti antropologici di questa dottrina; nella terza parte compirò una contestualizzazione culturale della dottrina della Chiesa; nella quarta ed ultima parte rifletteremo sul compito che abbiamo come pastori.

PRIMA PARTE

La Procreazione Responsabile

Col termine Procreazione Responsabile si intende l’insieme delle condizioni che rendono l’atto di porre le condizioni per il concepimento di una nuova persona umana un atto eticamente buono. Queste condizioni attengono alla duplice dimensione che costituisce ogni condotta umana: la dimensione interiore (in termine tecnico actus interior) e la dimensione esteriore (in termine tecnico actus exterior).

Per dimensione interiore della condotta procreativa si intende la decisione di procreare/non procreare; con dimensione esteriore si intende l’esecuzione della decisione di procreare/non procreare. Sia l’una che l’altra dimensione debbono rispettare fondamentali valori morali.

1) [Etica della decisione]. Diamo per presupposto la dimostrazione che solo un uomo e una donna uniti in legittimo matrimonio hanno il diritto-dovere di porre le condizioni per il concepimento di una nuova persona umana. Poiché nella decisione di procreare/non procreare sono coinvolte fondamentalmente due persone create, la persona del futuro genitore e la persona del futuro concepito, i criteri per discernere una decisone procreativa giusta da una decisione procreativa ingiusta debbono essere dedotti dall’una e dall’altra.

La persona del futuro concepito esige di essere introdotta nella vita in un contesto nel quale si presume prudentemente possa aver accesso ai beni umani fondamentali, in primo luogo il bene dell'educazione. Sulla base di questa generica considerazione etica, si deve ritenere responsabile la decisione di procreare una persona quando si presume prudentemente, tenendo conto di tutte le circostanze rilevanti, che ad essa verrà assicurata almeno una educazione di base, così come quando si presume prudentemente che avrà i mezzi necessari e sufficienti per una vita umanamente degna. Quando questa prudente previsione venisse a mancare, la decisione di procreare una persona è da ritenersi eticamente imprudente.

Per quanto invece riguarda la persona del coniuge, si devono fare le seguenti considerazioni. Gravi motivi di salute dell’uno o dell’altro ma ovviamente soprattutto della donna, possono rendere la decisione di procreare eticamente ingiusta. Così come la capacità educativa della persona del genitore è un altro elemento da tenere nella dovuta considerazione: è certamente più difficile educare un figlio unico, ma la capacità educativa di una persona può incontrare difficoltà insormontabili se il numero dei figli è troppo elevato. Non sto parlando dal punto di vista semplicemente economico.

E’ da aggiungersi poi una considerazione oggi assai importante. Nessuna persona vive fuori da una società civile e ogni persona ha il dovere di promuovere il bene comune. La decisione di procreare/non procreare deve anche essere presa in base alla situazione demografica della società in cui i due sposi vivono. Questo criterio del bene comune non va inteso solo come indicazione di non procreare, ma anche, e in alcune società occidentali soprattutto, come indicazione di donare la vita con grande generosità.

In sintesi: la giustizia della decisione di procreare/non procreare dipende dal bene della persona del futuro concepito, dalla persona dei futuri genitori, dalle condizioni generali della società in cui e l’uno e l’altro sono chiamati a vivere.

Bisogno aggiungere una osservazione che reputo di grande importanza per cogliere correttamente il concetto di procreazione responsabile. Nel porsi il problema se procreare o non procreare i due sposi debbono partire dalla convinzione che debbono esserci ragioni gravi per non procreare e non ragioni gravi per procreare. Detto in altri termini: i due coniugi debbono sempre presumere di essere chiamati a donare la vita fino a quando non appare il contrario, e non viceversa. La connessione profonda fra coniugalità e dono della vita ha anche questo significato.

2) [Etica dell’esecuzione]. Il concetto di procreazione responsabile non connota solo le condizioni necessarie e sufficienti di una giusta decisione di procreare/non procreare, ma anche la modalità etica dell’esecuzione della stessa. Questa infatti non è eticamente indifferente, né riceve unicamente la sua qualificazione morale dalla decisione interna. Il problema si è posto alla coscienza dei cristiani in maniera nuova a causa soprattutto di due avvenimenti. Il primo è costituito dall’intelligenza teologica che la Chiesa cattolica ha affinato in questi anni, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, circa il significato della sessualità coniugale. Questa non è da intendersi esclusivamente in funzione alla procreazione, ma più profondamente come espressione-realizzazione del dono totale e reciproco delle persone dei coniugi. L’altro avvenimento è stata la scoperta della contraccezione chimica, nel senso che questa non interviene sulla costituzione fisica dell’atto sessuale coniugale.

La vera domanda attinente alla esecuzione della decisione eticamente giusta di non procreare è se il ricorso alla contraccezione sotto qualsiasi forma è da ritenersi oggettivamente ingiusto. L’Enc. Humanae vitae di Paolo VI ha inteso precisamente rispondere a questa domanda, ed ha insegnato che l’atto contraccettivo in esecuzione sia di una decisione eticamente giusta sia di una decisione eticamente ingiusta di non procreare, è sempre e comunque oggettivamente illecito.

In ordine però alla retta comprensione del concetto di procreazione responsabile è necessario avere chiara la definizione etica di atto contraccettivo. Per atto contraccettivo si intende ogni azione che in previsione, durante, o immediatamente dopo l’atto sessuale coniugale mira a impedire il concepimento di cui l’atto sessuale medesimo è capace. L’Enc. Humanae vitae parla esclusivamente di questo atto. Affermare quindi che impedire il concepimento durante o in previsione o immediatamente dopo un atto di violenza carnale, impedimento che sicuramente è eticamente giusto, sia una eccezione alla norma morale insegnata dall’Humanae vitae, è fare una grave confusione fra due concetti assolutamente diversi in genere morum, anche se descrittivi di due condotte umane assolutamente uguali in genere naturae.

Fatte queste debite precisazioni terminologiche e concettuali, possiamo dire che la decisione di non procreare trova la sua esecuzione eticamente lecita solo compiendo l’atto coniugale nei periodi infertili della sposa.

Questo non deve portare a confondere i metodi cosiddetti naturali di regolamentazione dei concepimenti con il concetto di procreazione responsabile. I primi sono semplicemente metodi attraverso i quali la donna può conoscere quando è fertile e quando è infertile: nulla di più. Essi pertanto attengono alla ricerca scientifica come tale. L’uso di questa conoscenza da parte dei coniugi può essere messa sia al servizio di una decisione procreativa, sia di una decisione non procreativa.

A questo punto possiamo credo definire rigorosamente il concetto di procreazione responsabile in quanto denota l’esecuzione della decisione procreativa/non procreativa. Procreazione responsabile significa l’esclusione della contraccezione da ogni atto coniugale fertile; significa la conoscenza da parte della donna in primo luogo del proprio ciclo di fertilità/infertilità; nel caso di decisione eticamente giusta di non procreare significa astinenza dal rapporto coniugale durante il periodo fertile della sposa e unione coniugale sessuale limitata al periodo infertile; significa capacità di autodominio della propria tendenza sessuale al fine di renderla veramente e solamente espressiva dell’amore coniugale e dell’autodonazione delle persone.

Fatte queste definizioni e rigorizzazioni concettuali, non è difficile vedere che il concetto di procreazione responsabile sopra definito in tutti i suoi elementi costitutivi pone fondamentalmente due problemi. Il primo è costituito dalla dimostrazione che ogni e singolo atto contraccettivo è per sua natura stessa un atto eticamente gravemente illecito (sulla colpevolezza soggettiva può giudicare solo il Signore); il secondo problema è costituito dal come i coniugi possono vivere in questo modo la loro sessualità coniugale.

2.1) Le ragioni per cui l’atto contraccettivo è sempre eticamente gravemente illecito sono fondamentalmente due. La prima ragione è desunta dalla verità e dal significato della sessualità coniugale. La sostanza di questa argomentazione è la seguente: l’atto contraccettivo è un atto gravemente illecito perché è contraddittorio all’amore coniugale. Ciò si desume dal fatto che la sessualità coniugale, o meglio l’atto con cui i due coniugi diventano una sola carne, è per sua natura stessa espressione-realizzazione del dono totale di sé. Questa è l’intima verità della coniugalità, che trova pertanto la sua espressione più alta e la sua realizzazione più profonda nell’atto sessuale coniugale. L’intervento contraccettivo esclude dal dono della propria persona una dimensione della stessa. In parole più semplici, quando i coniugi compiono un atto sessuale fertile l’uno dona all’altro anche rispettivamente la capacità di diventare padre/madre. Questa capacità non è un fatto meramente biologico, dal momento che, data l’unità sostanziale della persona, il meramente biologico nell’uomo non esiste. Non è il corpo ma la persona che è fertile ed è la persona che è resa capace di diventare rispettivamente padre/madre. L’intervento contraccettivo rende l’atto sessuale coniugale obbiettivamente una menzogna: afferma una totalità che in realtà è negata.

La seconda ragione rinvenibile nella tradizione cristiana è il carattere di anti-vita che la contraccezione implica necessariamente. E’ necessario tuttavia una rigorizzazione concettuale assai attenta al riguardo, per non cadere in grossolani errori. Il punto di partenza per capire questa seconda ragione è la distinzione fra volontà contra-concettiva e la volontà non-concettiva. Dal punto di vista etico la distinzione connota due atti umani essenzialmente diversi, perché diverso ne è l’oggetto. Supposto infatti che il porre le condizioni del concepimento di una nuova persona umana sia un atto buono, da questa supposizione non deriva che sia sempre e comunque obbligatoria compiere quell’atto: mentre ogni male è sempre da evitare, non ogni bene è sempre da fare. Ma da quella supposizione deriva che la volontà dei coniugi deve sempre avere una attitudine non di contrarietà all’atto del concepimento. E’ ciò che nel linguaggio del Magistero si chiama "apertura alla vita". Mi spiego con un esempio. L’atto con cui una persona si consacra a Dio nella verginità non implica e non deve implicare un’attitudine di contrarietà al bene della comunione coniugale: la volontà verginale non è anti-coniugale, ma semplicemente non-coniugale, poiché essa non sceglie fra un bene e un male ma fra due beni. L’astenersi dal rapporto sessuale coniugale nel periodo fertile poiché si ha il diritto-dovere di non procreare, esprime una volontà non contraria al concepimento ma semplicemente non procreativa. Dal punto di vista etico, ripeto, questa non è una sottigliezza ma è una distinzione fondamentale. Contra-concepire invece perché si è deciso di avere un rapporto sessuale coniugale durante il periodo fertile della sposa, manifesta una positiva contrarietà al bene che è il porre le condizioni del concepimento di una persona umana.

2.2) Il concetto di procreazione responsabile esprime anche e direi in primo luogo, tutta una teoria etica riguardante la virtù, e una pedagogia della virtù medesima. E’ la risposta alla domanda come è concretamente possibile per due sposi essere responsabilmente procreativi.

Mi si consenta di partire da un esempio. Una perfetta esecuzione di una Mazurca di Chopin esige nel pianista alte qualità professionali. Queste possono ridursi fondamentalmente a tre. Ovviamente in primo luogo deve saper leggere correttamente la musica; in secondo luogo deve possedere una grande capacità tecnico-manuale, a cui ogni pianista viene seriamente educato e che esige un prolungato esercizio quotidiano; ma soprattutto deve aver raggiunto una tale profonda sintonia spirituale con Chopin da riuscire a compiere l’esecuzione come se il pianista stesso componesse in quel momento il brano eseguito. In sintesi: conoscenza del linguaggio musicale, tecnica esecutiva, ispirazione artistica.

Alle tre suddette qualità corrispondono analogamente le tre fondamentali esigenze o meglio qualità permanenti della persona dei coniugi, se vogliono essere responsabilmente procreativi. In primo luogo debbono saper leggere il linguaggio della loro persona, il linguaggio del corpo: è in questa esigenza che si inserisce anche la conoscenza e l’insegnamento dei cosiddetti metodi naturali. Devono possedere una capacità di realizzare il linguaggio del corpo in modo tale da esprimere il loro amore che fa della propria persona un dono totale all’altro: questa capacità è la virtù della castità coniugale. Ma soprattutto ciò che consente ai due sposi di vivere responsabilmente la loro vocazione procreativa, e di essere l’uno dell’altro nel dono di sé, è la loro carità coniugale.

E’ necessario aggiungere allora alcune precisazioni. La castità coniugale indica e realizza l’integrazione dell’esercizio della sessualità nella carità coniugale. L’espressione più alta della castità coniugale non è l’astinenza: una virtù non si esprime in modo eminente nel non compiere un’azione ma nell’agire. L’espressione più alta della castità coniugale è l’atto con cui i due sposi diventano una sola carne.

La qualità più preziosa è la virtù della carità coniugale, la quale ha bisogno della castità per potersi esprimere. È la castità quindi al servizio dell’amore ed è dall’amore che la castità trae il suo senso. La proposta educativa dunque cristiana è una proposta che mira a non negare nulla di ciò che è veramente umano, ma ogni dimensione costitutiva della persona umana deve essere integrata dentro ad una unità che trova, come insegna S. Paolo, nella carità il vincolo che unisce ogni dimensione della persona. Tommaso insegnerà che la carità è la forma di ogni virtù morale e che nel cristiano anche le virtù morali, senza perdere la loro natura propria, sono infuse dalla grazia di Cristo.

In questa prospettiva procreazione responsabile significa uno stile di vita nel quale la triplice dimensione della sessualità coniugale, quella fisica, quella psichica, quella spirituale si realizza in una unità di integrazione, nella quale unità la persona degli sposi raggiunge la sua perfezione.

 

SECONDA PARTE

I Fondamenti Antropologici

L’esposizione precedente è stata inevitabilmente assai schematica. La forma espositiva, dovuta alla scarsità di tempo, può impedirci di coglierne le profonde implicazioni antropologiche. La dottrina etica suesposta ha al suo fondamento una visione della persona umana, che giova ora fare emergere chiaramente. Premetto subito che l’esposizione di questa visione non potrà essere completa: mi limiterò a tre fondamentali affermazioni sull’uomo presupposte da quella dottrina.

1. [L’unità sostanziale della persona umana]. Per unità sostanziale della persona umana si intende, come dice il Vaticano II, che l’uomo è "corpore et anima unus" [Cost. past. Gaudium et spes 14,1; EV1/1363]. La persona umana cioè non è un soggetto spirituale che possiede un corpo: è un corpo. Il rapporto fra l’io inteso in senso metafisico e il proprio corpo non è metafisicamente un rapporto di "avere", e di "uso". La persona umana, che è spirituale e corporale, è una. Pertanto dobbiamo dire che nell’universo delle persone, nel quale abitano anche le persone puramente spirituali [gli angeli] e le tre divine Persone, la persona umana ha questo di metafisicamente proprio: è una persona-corpo ed è un corpo-persona.

Questo non deve essere inteso come se la persona umana fosse il risultato di una "composizione" di anima e corpo, allo stesso modo con cui idrogeno ed ossigeno compongono l’acqua, perdendo le loro rispettive proprietà. Ma ogni persona umana è un essere unico ed irripetibile in virtù della sua anima spirituale. forma pura che riceve in sé dal Creatore l’atto di essere e lo comunica al corpo con cui quindi forma un solo ente. Non possiamo purtroppo prolungare ulteriormente questa riflessione.

Nella luce di questa verità sulla persona umana si ha la comprensione della verità della sessualità umana.

Essa ha una dimensione biologica: è la genitalità propria dell’uomo e della donna. Ha una dimensione psicologica: è la "passione" sessuale, intendendo passione in un senso molto classico, come la forza che ci trascina verso la realtà sensibile da cui siamo attirati: è la realtà sensibile della femminilità che attrae la persona-maschio e viceversa. E’ la dimensione erotica che fa della persona un essere desiderante, tesa al possesso effettivo del bene desiderato.

E’ a questo punto che la verità dell’unità sostanziale della persona getta nuova luce sulla realtà della sessualità. La dimensione biologica ed erotica sono parti integrali di un tutto che è la persona umana la quale nella ed attraverso la sessualità dice se stessa. Esiste una dimensione spirituale che è la forza integrante, unificante del bios e dell’eros, mediante la quale il corpo e la sessualità umana diventa il linguaggio della persona. Quale forza? Siamo alla seconda affermazione fondamentale sull’uomo.

2. [La verità dell’amore]. Siamo già entrati dentro alla seconda affermazione fondamentale dell’uomo: essa è ancora una volta espressa in maniera mirabile da un testo conciliare: "l’uomo… non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sè" [Cost. past. Gaudium et spes 24,3; EV 1/1395]. Cioè: l’atto in cui la persona realizza pienamente se stessa è l’atto di amare, inteso come dono di sé. Ma procediamo con ordine.

La persona è capace di conoscere la verità sul bene o valore delle realtà in se stessa, e non solo in funzione ai propri desideri o passioni. Essa è quindi capace di conoscere la verità sul bene o valore della persona come tale; di sapere che la persona non può mai essere solo usata in vista del bene di qualcosa d’altro: le pagine di Tommaso nella contra Gentes, lib. III, cap. CXI-CXIII sono assai profonde.

Di fronte a questo bene che è la persona, io non posso che avere un solo atteggiamento giusto, adeguato cioè alla misura del suo valore: l’amore. Ma che cosa è esattamente questo atteggiamento? Che cosa significa amare una persona?

E’ volere che essa sia; è il dire: "come è bene, come è bello che tu ci sia!". E’ la persona dell’altro, in ciò che lo fa essere ciò che è, che finalizza l’intenzione della persona che ama; questa è attratta dall’altro in ciò che lo costituisce nel suo essere stesso personale. E’ dunque un movimento estatico che ci fa uscire da noi stessi per appartenere all’altro. Che fa di sé un dono all’altro. "Nella relazione "io-tu" prende forma l’autentica comunità interpersonale (in qualsiasi forma o variante), se l’"io" e il "tu" persistono nella reciproca affermazione del valore trascendente della persona … confessando questo con i propri atti" [K. Woitila, cit. da Persona ed atto, Rusconi Libri ed., Milano 2000, pag. 731].

Mediante questo atto "l’uomo esperimenta affettivamente che il solo bene assoluto in cui può porre il suo fine è un’altra persona poiché essa è un bene sostanziale in ragione della sua natura spirituale. Il profondo realismo di questa esperienza esige poi un impegno efficace perché l’unione affettiva si compia in una unione effettiva" [P. Haegel, Le Corps quel défi pur la personne?, ed. Fayard, Paris 1999, pag. 250; trad. nostra]. In senso interamente vero può essere solo una Persona divina la persona in cui porre il proprio fine ultimo: nella fede ci è donato di istituire un vero e proprio rapporto "io" - "Tu" [adoro Te, devote].

E’ questa forza spirituale che integra nella persona la dimensione biologica ed erotica della sessualità umana. Questa integrazione è la castità.

La castità è l’incarnazione della libertà, nella sua più alta espressione costituita dal dono si sé, dentro alla dimensione biologica ed erotica della sessualità. E’ la virtù della castità che introduce questa duplice dimensione dentro alla dimensione del dono. In forza di questo, la persona diventa capace di dire se stessa, il dono di sé, nel corpo ed attraverso il corpo. Bios e eros diventano in verità il linguaggio della persona. Il dinamismo biologico ed erotico prendono parte attiva in questo linguaggio, tuttavia non ai loro propri livelli, ma a quello della persona come tale [cfr. K. Woitila, Persona e atto, cit., pag. 467].

3. [La libertà umana come capacità di dono]. Siamo alla terza ed ultima verità sull’uomo: la verità riguardante la libertà. "Alla luce di quanto si è detto finora la libertà nel significato più profondo della parola non deve essere intesa come una semplice facoltà di determinarsi immanente alla sostanza spirituale, ma deve essere intesa piuttosto come trascendenza personale, risposta ai valori ed autoderminazione in cui i beni e soprattutto le altre persone vengono considerati dal punto di vista della dignità che è loro propria e divengono oggetto dell’amore del soggetto persona, anzi della persona stessa che è soggetto dell’amore" [J. Seifert, Essere e persona, Vita e Pensiero ed. Milano 1989, pag. 350].

L’idea di libertà implicata nella dottrina cattolica della procreazione responsabile è assai profonda.

La libertà è in primo luogo la capacità della persona a muovere se stessa all’azione in vista del raggiungimento dello scopo che si è prefisso. E’ in forza della sua libertà che la persona agisce: è causa del suo atto. E’ essenzialmente diversa dalla spontaneità, in forza della quale l’azione ha la sua origine nella persona ma non dalla persona. "L’individuo particolare poi si trova in modo ancora più perfetto nelle sostanze ragionevoli che hanno il dominio dei propri atti [habent dominum sui actus], che agiscono per se stesse [per se agunt] e non sono solo spinte ad agire dall’esterno, come gli altri enti" [S. Th. 1, q.29, 1c]. Dunque, la libertà implica e presuppone l’autodominio, che non potrebbe darsi senza l’auto-possesso.

Ma l’agire libero della persona non può avere come sua finalità l’auto-possesso; non può avere come sua finalità l’auto-affermazione. Esso è sempre orientato verso un bene: di che natura è questo orientamento?

A causa del suo radicamento nell’intelligenza, esso è supremamente "amore di benevolenza" inteso come donazione di sé. "Volere il bene dell’altro non consiste semplicemente nel volere determinati beni per l’altro, ma nel volere bene all’altro per se stesso. Questo tipo di volere suppone la scelta dell’altro come bene, e ciò, anche se può sembrare un paradosso, si identifica colla propria donazione. Infatti non è possibile voler bene all’altro se non c’è donazione di se stessi, in quanto per volere bene all’altro è necessario non solo conoscerlo come un altro io, ma offrire all’altro il nostro amore, cioè l’amore con cui ci amiamo naturalmente" [A. Malo, Antropologia dell’affettività, Armando ed., Roma 1999, pag. 282]: ama il tuo prossimo come te stesso. K. Woitila ha espresso stupendamente questa concezione delle libertà in quanto capacità di ogni "io" di relazionarsi con il "tu" in quanto altro "io": "Ora io devo trovare me stesso in te, se devo trovare te in me stesso. Non comprendi che in questo caso non sei del tutto libera? L’amore, infatti, non lascia libertà di volere né a chi ama né a chi è amato e, nello stesso tempo, l’amore è una liberazione della libertà, perché la libertà solo per sé sarebbe orribile" [Op. cit. pag. 727].

Se ora comprendiamo in una visione sintetica queste tre fondamentali verità antropologiche, possiamo concludere nel modo seguente.

La persona umana nel suo essere "persona-corpo e spirito" è destinata a realizzarsi nell’atto di amore che consiste nell’auto-donazione alle altre persone: a Dio, alle persone create. La tradizione teologica e etica cristiana conosce tre forme o variabili: coniugale, verginale, pastorale.

 

TERZA PARTE

La Cultura Sessuale Attuale

Il nostro compito di maestri della verità sull’amore coniugale avviene oggi in un contesto culturale particolarmente difficile. Infatti la cultura occidentale ha progressivamente costruito, ed i grandi mezzi di "produzione del consenso" hanno progressivamente imposto una visione (della sessualità) dell’uomo che ha totalmente demolito quella cristiana. Vorrei ora brevemente illustrarvi questa contro-visione.

Essa è andata progressivamente costruendosi sulla scansione di tre separazioni: della sessualità dalla persona, dell’eros dall’amore, della dimensione unitiva della sessualità dalla dimensione procreativa.

1. La prima separazione, di gran lunga la più grave, è stata la separazione della sessualità dalla persona, causata dalla separazione del corpo dalla persona. Il risultato di questa separazione è stato che la sessualità ha perduto ogni serietà: ha cessato di essere "un caso serio" per trasformarsi progressivamente in gioco. La figura del Don Giovanni che a cominciare dal XVII secolo inizia a circolare nella letteratura dei popoli europei, è significativa.

Il processo della separazione del corpo dalla persona è stato un processo lungo e complesso. Mi devo limitare solo ad alcuni accenni. La tesi tomista dell’unità sostanziale della persona umana, è rimasta isolata nella cultura occidentale. Di fatto, essa non è risultata vincente nei confronti di una visione di lontane ascendenze agostiniane, secondo la quale il corpo manteneva pur sempre una alterità nei confronti della persona. Un’alterità sempre ambiguamente pensata in termine e/o metafisici e/o etici. Più semplicemente: l’innegabile esperienza di una scissione che ciascuno vive in se stesso era interpretata non solo in chiave diciamo congiunturale, ma anche tendenzialmente strutturale. A causa di questa ambiguità di fondo, il principio fondamentale dell’oggettività posto a base della scienza moderna, non trovò alcuna resistenza ad imporsi anche nella considerazione del corpo umano. Si innescò così un processo di oggettivazione del corpo (i sociologi parleranno di reificazione) in forza della quale la persona ha fondamentalmente nei confronti del corpo la stessa relazione che ha colla natura. La considerazione naturalistica del corpo, la sua spersonalizzazione ha comportato la negazione che la sessualità abbia in sé e per sé un significato proprio, possedendo solo quel significato che le viene attribuito dalla libertà creatrice della persona.

E qui si innesta una tremenda ambiguità, che è l’ambiguità presente nel rapporto uomo-natura, ed ormai la corporeità appartiene alla natura quale si è venuto configurando in questa cultura che chiamerei della disintegrazione. Potrei esprimere questa ambiguità con una formulazione molto sintetica: o la ragione-libertà umana è una ragione-libertà senza natura o la natura è una natura senza ragione-libertà umana. Mi spiego.

Poiché la sessualità è un fatto insignificante, posso fare di essa ciò che voglio. L’unica esigenza è che se nell’esercizio della sessualità è coinvolto un altro, questi deve liberamente consentirvi. Non è vero che solo l’etero-sessualità è un esercizio umanamente degno: l’esercizio omosessuale ha la stessa dignità e merita lo stesso riconoscimento. Non è vero che esistono solo due sessualità, quella maschile e quella femminile: esiste l’uomo, e la donna, l’uomo che è relativo alla donna, la donna relativa all’uomo, la donna relativa alla donna, l’uomo relativo all’uomo.

E qui si innesta una precisa corrente dell’ideologia femminista. Essa si costruisce precisamente su due affermazioni. Il rapporto originario fra l’uomo e la donna non è un rapporto di reciprocità nell’assoluta uguaglianza della dignità, ma è un rapporto di conflitto nell’affermazione dell’uno contro l’altro. E secondo: la vocazione originaria della donna non è né la sponsalità, né la verginità, né la maternità. La donna non deve essere né sposa, ne vergine, ne madre. Ecco ciò che significa, la ragione-libertà umana è una ragione-libertà senza natura.

Ma esiste anche una visione opposta. La sessualità è pura natura che deve semplicemente essere seguita, pena l’infelicità dell’uomo. In linea di principio, ogni "regola" dell’esercizio della sessualità è da considerarsi contraria alla felicità dell’uomo, una indebita oppressione. Il relativismo della prima posizione si abbraccia coll’istintivismo naturalista della seconda e generano quel permissivismo sessuale che è caratteristico della nostra cultura.

La rottura della connessione fra sessualità e persona legittima ormai qualsiasi esercizio della sessualità, escluso quello che pensa la sessualità come dono definitivo di sé, aperto al dono della vita; escluso cioè l’esercizio coniugale della sessualità.

2. La seconda separazione ha rotto l’armonia fra eros ed amore. E’ questa una grave malattia spirituale, come dirò dopo.

Il terreno su cui questa separazione ha potuto impiantarsi e crescere, è stato l’ingresso nel nostro ethos occidentale di quella visione utilitaristica dell’uomo, che formulata coerentemente e compiutamente per la prima volta da T. Hobbes è risultata di fatto vincente. Per visione utilitaristica intendo quella concezione dell’uomo secondo la quale, l’uomo non dispone di una ragione egemone capace di misurare e ordinare i suoi desideri secondo specifiche virtù. Al contrario: l’uomo è portatore di desideri, passioni, interessi, alla cui soddisfazione la ragione è posta al servizio. Richiamarsi ad una verità scoperta dalla ragione e quindi ad un bene intelligibile secondo cui guidare desideri e passioni, è di fatto una indebita ed infondata limitazione dell’uomo.

Nonostante le apparenze, questa proposta antropologica anziché liberare l’uomo, lo ha ridotto ad un’esistenza senza libertà che non fosse quella di seguire i propri istinti. Lo ha cioè fatto rinunciare alla sua inesauribile tensione alla verità, al suo desiderio di bene, di bellezza, di giustizia. Nel campo della sessualità significò e significa la espulsione della sua comprensione di ogni riferimento alla verità del dono, cioè dell’amore. Rimane solo la dimensione erotica come dimensione egemone.

La separazione dell’eros dall’amore ha così legittimato una visione edonista della sessualità. Ora non c’è dubbio che una visione prevalentemente o esclusivamente edonista lavora nel senso di una separazione della sessualità dal matrimonio e, quindi del matrimonio dalla famiglia. Per quale ragione? perché una visione edonista della sessualità de-responsabilizza profondamente la persona nei confronti della propria sessualità medesima: è un esercizio individualista.

3. La terza separazione ha rotto il rapporto fra le due capacità insite nella sessualità, in una duplice direzione. La "nobilitazione" della contraccezione ha separato nella coscienza (non solo nel comportamento) la capacità unitiva dalla capacità procreativa. La "procreatica artificiale" ha separato la capacità procreativa dalla capacità unitiva. E così il cerchio si è chiuso. L’amore coniugale non è più orientato al dono della vita sia perché si è pensato possibile un amore coniugale vero e nel contempo chiuso alla vita, sia perché esiste un modo di "produrre" la vita, che prescinde completamente dall’amore coniugale.

Per capire la portata culturale di questa distruzione del concetto di maternità, vorrei richiamare la vostra attenzione su due fatti accaduti in questi anni.

Il ricorso alla procreazione artificiale era stato presentato come rimedio ad una sterilità inguaribile, all’interno di una coppia legittima. Esso è andato progressivamente configurandosi come la possibilità offerta a chiunque ne sentisse il bisogno, di avere un figlio. E’ appunto la logica del "dominio" sulla natura per il soddisfacimento dei propri desideri.

L’altro fatto, solo all’apparenza contrario, sul quale vorrei attirare la vostra attenzione è la nobilitazione della contraccezione. Se non esiste, se non è inscritto nella sessualità umana l’orientamento , la destinazione alla comunione interpersonale fra l’uomo e la donna per il dono della vita, sarà conquista di libertà avere la possibilità di togliere dalla sessualità umana la capacità procreativa. Le due attitudini, "il figlio ad ogni costo" e "il figlio come il male da evitare", nascono dallo steso spirito: la paternità-la maternità non sono dimensioni costitutive dell’amore coniugale. Vale a dire: paternità-maternità, amore coniugale e sessualità umana sono tre grandezze non connesse da alcuna unità interna.

E’ accaduto un fatto che penso non era mai accaduto nella storia spirituale dell’umanità: è stata mutata la definizione stessa di matrimonio-famiglia. Ora siamo in grado di vedere tutta l’ampiezza di questa mutazione. Se il matrimonio è "l’unione legittima di uomo e donna per il dono della vita", la separazione di "dono dalla vita" dalla unione legittima e dalla sessualità umana ha distrutto l’istituzione.

E logicamente si è giunti al fatto forse più decostruttivo del rapporto matrimonio-famiglia: la progressiva legittimazione-equiparazione al matrimonio e alla famiglia, di qualsiasi tipo di convivenza, anche fra omosessuali. In vari paesi sono già stati riconosciuti diritti legati alle unioni fra omosessuali, di conseguenza si sta promuovendo anche il diritto di quest’ultimi ad avere figli mediante precisamente procreazione artificiale.

Conclusione. La situazione in cui ci troviamo è di un totale "spaesamento" dell’uomo da se stesso, per quanto riguarda la propria sessualità. Essa è stata privata di ogni serietà: il vuoto di verità ha generato il pieno di noia.

 

QUARTA PARTE

OMISSIS

 

Conclusione generale

Secondo Z. Bauman due sono le figure che in un insieme dialettico mostrano la condizione dell’uomo oggi: il turista e il vagabondo [in Il disagio della postmodernità, Bruno Mondadori ed., Milano 2002, pag. 91-105].

Per il primo "quel che più conta …(anzi l’unica cosa che conti) è conservare la capacità di movimento. Non si tratta quindi di scoprire in sé una vocazione data una volta per tutte … La postmoderna strategia di vita impone di evitare come il fuoco tutto ciò che esiste per sempre, nei secoli dei secoli e finché morte non ci separi" [pag. 98-99]. Il turista sceglie di vivere senza nessuna meta prestabilita.

Ma se uno si trova ad essere turista non per scelta, ma perché qualcosa/qualcuno l’ha spinto alle spalle fuori di casa, allora ho la figura del vagabondo: egli vive in questo mondo senza possibilità di avere una casa.

Le due figure ci introducono bene nel nucleo della condizione spirituale dell’uomo: privato di ogni consistenza veritativa, si trova ad esercitare una libertà senza senso, nella ricerca di episodiche esperienze di godimento.

Abbiamo ancora la possibilità di incontrare tanti giovani che chiedono ancora di sposarsi in Chiesa. E’ un’opportunità di straordinaria intensità: aiutarli a comprendere che cosa dicono fino in fondo quando dicono "io ti amo". E la scoperta della verità dell’amore è la via maestra per scoprire la verità della persona umana e fondare su questa verità un ragionato insegnamento circa la procreazione responsabile.